FERRARI, Francesco Luigi
Nacque a Modena il 31 ott. 1889, da Domenico e Luigia Golfieri de' Buoi, da una famiglia della piccola borghesia di provincia, di modeste condizioni economiche ma di intensa e profonda religiosità.
Il padre esercitò la professione di giornalista presso vari fogli cattolici dell'Italia settentrionale: consigliere comunale di Modena fin dal 1895 e segretario dell'Associazione elettorale cattolica della provincia, fu tra gli arrestati durante la repressione del 1898, evento che lasciò profonda traccia nel giovane Ferrari.
Questi, a motivo dei frequenti trasferimenti famigliari causati dal lavoro paterno, compì gli studi dapprima a Piacenza, presso i fratelli delle Scuole cristiane, quindi a Torino, presso il ginnasio "Gioberti" e infine a Modena nel collegio "S. Carlo". Iscrittosi nel 1907 alla facoltà di ingegneria dell'ateneo modenese, la lasciò due anni dopo per quella di giurisprudenza.
Fu in questi anni di studi universitari che cominciò a frequentare le associazioni giovanili cattoliche della sua città, nelle quali l'ispirazione democratico-cristiana di R. Murri si innestava nel preesistente intransigentismo legato alla figura di D. Albertario: diede allora vita al circolo Muratori, sezione locale della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI), circolo che ben presto, grazie anche all'opera del presidente, G. Casoli, e all'impegno dello stesso F., che ne era il segretario, divenne un centro promotore di attività culturali e sociali dei cattolicesimo modenese. Forti dell'appoggio dell'arcivescovo N. Bruni, il F. e Casoli estesero sempre più il campo d'azione del gruppo, che si impose così anche all'attenzione della dirigenza nazionale della FUCI, allora travagliata da dissidi interni e da difficoltà organizzative.
Contemporaneamente il F. proseguì a Modena l'impegno sociale, collaborando fra l'altro alla costituzione di un Ufficio del lavoro, che segnò di fatto la nascita del sindacalismo bianco in quella provincia. Da allora, la sua attività prevalente fu quella di organizzare le masse operaie e contadine in strutture associative cattoliche, concorrenti con quelle socialiste: nacquero così l'Unione cooperativa modenese, l'Unione agricola, la Società legale degli affittuari di Ravarino, la Cooperativa braccianti, la Lega femminile di Migliarino, le Casse rurali e un vivace settimanale: All'Erta!, mentre il vecchio Diritto cattolico, portavoce della curia arcivescovile e fino ad allora di tendenze clericomoderate, aprì sempre più le sue pagine alla penna del giovane Ferrari. Discussa, poi, nel luglio 1913la tesi di laurea, cominciò una brillante carriera professionale, che lo portò, giovanissimo avvocato, a conseguire il patrocinio presso la Corte di cassazione.
Eletto consigliere comunale di Modena nel luglio 1914, insieme con gli amici Casoli e M. Amorth, operò, tra l'altro, a favore dell'introduzione della tassa sulle aree fabbricabili.
Allo scoppio della grande guerra, da lui accolta con favore perché intesa come compimento del Risorgimento nazionale, partì per il fronte come sottotenente dell'8ºreggimento artiglieria da fortezza: al termine del conflitto, nei primi mesi del 1919 venne congedato, decorato al valore, con il grado di capitano. Nel sett. 1919 sposò la triestina Orsola Filbier, conosciuta appunto all'indomani della vittoria.
Tornato a Modena, trovò la situazione in seno al locale movimento cattolico gravemente compromessa: approfittando della partenza per il fronte dei più giovani esponenti democratici cristiani e di gran parte delle masse operaie e contadine, i capi del vecchio clericalismo intransigente avevano nuovamente assunto il controllo delle organizzazioni e della stampa cattolica. Fu così che, iscrittosi al Partito popolare italiano (PPI) fin dal 1919, il F. dovette subito scontrarsi con quella Destra cattolica integralista che aveva assunto la guida della locale sezione popolare. Al tempo stesso, il suo impegno socigle presso le masse contadine lo pose in forte contrasto sia con i socialisti, che giunsero ad aggredirlo, sia con gli stessi agrari, militanti per lo più nelle associazioni cattoliche e nel partito popolare. Fu solo attraverso aspri contrasti - all'origine di alcuni iniziali insuccessi elettorali dei popolari nel modenese - che il vecchio gruppo democratico-cristiano, guidato dal F., riuscì nuovamente a porsi all'attenzione del mondo cattolico locale in nome degli ideali del popolarismo: nelle amministrative del 1920 il F. fu infatti eletto al Consiglio provinciale, proprio vincendo l'opposizione di quanti fra i cattolici erano ancora legati a una concezione politica conservatrice e antisocialista.
Contemporaneamente egli cercò collegamenti di più ampio respiro, che gli consentirono di affacciarsi alla ribalta della politica nazionale.
Strinse, così, saldi legami con i gruppi più attivi dell'ala sinistra del PPI, con esponenti popolari come A. Mauri, G. Miglioli e A. Piccioni, e con gli ambienti che si riconoscevano nel Pensiero popolare di Torino e nell'Azione di Cremona. La prima comparsa del F. sulla scena nazionale avvenne, però, solo nell'ottobre 1921, in occasione del congresso di Venezia, quando intervenne nel dibattito sulla relazione Cingolani, circa la linea politica che il partito avrebbe dovuto assumere: affermò allora nettamente che nessuna forma di collaborazione dovesse essere stretta con nazionalisti e fascisti e che, qualunque accordo politico fosse stato stretto nel futuro con altre forze politiche, esso avrebbe dovuto essere concluso in condizioni di parità, senza alcun sostanziale cedimento rispetto alle idee e ai programmi dei popolari.
Fu quello l'inizio di una attività più vasta, all'interno del partito e con le forze della Sinistra, per l'avvio di nuove alleanze su basi programmatiche più ampie, volte alla trasformazione democratica della vita sociale e politica del paese. Una iniziativa politica che, purtroppo, cominciava in ritardo e che incontrava ostacoli sia nel partito popolare, soprattutto tra le correnti di destra, sia nel partito socialista, dove erano sempre presenti suggestioni anticlericali. Caduto il gabinetto Bonomi, il rifiuto di F. Meda di assumere l'incarico di formare il nuovo governo, insieme alle incertezze dei socialisti, segnò infatti la fine dei breve periodo in cui la Sinistra popolare, in accordo con il centro sturziano, aveva tentato di portare tutto il partito alla collaborazione di governo con i socialisti. Da quel momento la Destra clericale avrebbe sempre più avuto campo libero per le sue manovre di avvicinamento ai nazionalisti e ai fascisti.
Furono mesi, quelli del 1922, che il F. trascorse con amarezza e preoccupazione, combattendo la sua battaglia in difesa della democrazia sulle colonne dei numerosi fogli popolari, soprattutto su L'Azione di Miglioli, sul Pensiero popolare di A. Piccioni e G. Cappi e sul Popolo di Modena. Assistette così alla liquidazione del partito socialista e alle continue violenze delle squadre fasciste ai danni delle associazioni e dei circoli cattolici, nonché delle cooperative e delle leghe contadine bianche che egli stesso aveva fondato.
Fu allora che, per coordinare meglio le sparse energie della Sinistra popolare, il F. promosse con alcuni amici la nascita di una rivista: IlDomani d'Italia.
A questa, che riprendeva nel nome una vecchia, gloriosa testata del movimento democratico-cristiano degli inizi del secolo, collaborarono i più bei nomi del "popolarismo" di quegli anni, fra i quali G. e L. Meda, A. Canaletti Gaudenti, C. e L. Degli Occhi, G. Marchi, E. Vercesi, L. Pestalozza, E. Clerici, A. Turla e R. Lombardi. Dal dicembre 1922 al luglio 1924 il giornale combatté il fascismo e i suoi sostenitori "in base ai principi del popolarismo": il F. e i suoi amici, cioè, non limitarono il loro impegno alla polemica politica contingente, ma si sforzarono di sviluppare un organico discorso culturale. Fu un continuo approfondimento delle idee del "popolarismo", quali erano state originalmente elaborate da L. Sturzo, alla luce della crisi che stava sconvolgendo le basi stesse delle istituzioni liberaldemocratiche, crisi le cui radici erano individuate nel fallimento del Risorgimento m quanto rivoluzione liberale.
Con queste idee il gruppo de IlDomani d'Italia si presentò al congresso popolare di Torino (12-14 apr. 1923), esprimendo l'invito al partito a rompere definitivamente e in modo netto ogni forma di collaborazione con il fascismo. In quella circostanza, il contributo del F. e degli altri esponenti dell'ala sinistra del partito fu determinante nel consentire al centro sturziano di avere la meglio sulle tesi filofasciste sostenute dalla Destra popolare e di portare tutto il partito su posizioni chiaramente autonome rispetto al governo Mussolini.
Quanto questa linea politica, vincente a Torino, colpisse nel segno dimostrò pochi giorni dopo lo stesso Mussolini, quando invitò gli esponenti del PPI presenti nel governo a dimettersi dagli incarichi ministeriali.
Di lì a poco la discussione e il successivo voto sulla legge Acerbo (legge di riforma elettorale maggioritaria, 3 nov. 1923) rappresentarono un'ulteriore, immediata verifica dell'esatta diagnosi della situazione politica espressa dalla Sinistra popolare. L'abolizione della proporzionale, preceduta di poco e seguita da tutta una serie di eventi volti a isolare il PPI dal mondo cattolico, segnò il momento culminante dello sbandamento e della disgregazione del partito.
Fu una sconfitta decisiva per il partito e per la democrazia italiana. Nel mese seguente si dimisero via via dal PPI tutti gli esponenti della Destra: "Più liberi e più forti", commentò il F. dalle colonne de IlDomani d'Italia, poiché, a suo parere, l'abbandono delle file popolari da parte dei clerico-fascisti avrebbe aumentato la compattezza del partito e ne avrebbe accentuato il carattere democratico-cristiano. Tuttavia, solo con le elezioni del 1924, ma soprattutto con il delitto Matteotti e l'Aventino, il gruppo dirigente del partito popolare, facendo finalmente propria la politica di intransigenza più volte ribadita da Sturzo fin dall'ottobre 1922, avrebbe definitivamente abbandonato ogni speranza che una benevola attenzione verso il governo Mussolini avrebbe consentito il ripristino delle libertà statutarie. Con almeno un anno di ritardo - come rilevava IlDomani d'Italia - il PPI si era finalmente posto nel campo delle opposizioni; anche se ora, secondo la Sinistra popolare, si commetteva un nuovo errore di valutazione con il ritenere sufficiente, nella lotta al fascismo, la tattica dell'astensione.
Il partito popolare, ormai sempre più isolato dal suo naturale retroterra rappresentato dal mondo cattolico e costretto all'immobilismo dalla stessa S. Sede, che condannava la prospettiva di un'alleanza coi socialisti e invitava di fatto a sostenere il regime fascista per timore del "salto nel buio", non fu più in grado di svolgere un ruolo attivo nella vita politica del paese. Espulso Miglioli dal partito, assorbite le organizzazioni sindacali bianche nell'Azione cattolica, anche Il Domani d'Italia cessò le pubblicazioni.
Ultimo, coraggioso atto di vita del PPI fu la convocazione di un congresso a Roma nel giugno 1925, ma fu il suo "canto del cigno". In quell'occasione il F., imponendosi all'attenzione di amici e avversari, pronunciò forse il suo migliore discorso, col quale impostò in modo netto la questione istituzionale, nei termini in cui gli eventi stessi ormai la ponevano.
Ormai non si trattava più - avvertiva il F. - soltanto di un problema di tattica: partecipare o meno alle sedute del Parlamento era questione del tutto accademica, dato che gli organi costituzionali erano privi di ogni reale funzione. La riforma delle istituzioni si imponeva come condizione e, al tempo stesso, come naturale risultato finale del processo di crescita della coscienza civile del paese. Il decisivo appoggio elargito dalla monarchia al fascismo, fin dal suo sorgere, poneva e al tempo stesso risolveva il problema della riforma istituzionale, in favore dell'instaurazione di una repubblica. Era, dunque, idealmente tracciata la strada della futura democrazia italiana.
"Le democrazie cristiane - disse il F. - devono essere accanto alle democrazie socialiste. La piccola borghesia e il proletariato popolare devono essere a fianco del proletariato socialista nella rivoluzione che darà una nuova coscienza all'Italia di domani".
Di ritorno dal congresso, il F. fu aggredito di giorno, in pieno centro di Modena, da alcuni fascisti, che lo percossero duramente. per "lavare l'oltraggio" che, a loro avviso, aveva recato a Mussolini. Pochi giorni dopo, di notte, in aperta campagna, mentre era assieme all'avv. A. Taccoli, suo collega di studio, veniva nuovamente fatto segno di una vile aggressione da parte di "camicie nere", che presero entrambi a bastonate, lasciandoli a terra malconci.
Tuttavia, il F. non cessò dall'opporsi al regime. Sorvegliato dalla polizia fascista, colpito da gravi lutti famigliari - nel 1922 era comparsa la prima figlia, Angela Maria, di appena quindici giorni, per attacco broncopolmonare; mentre nel giugno 1924, a soli dieci giorni di distanza l'uno dall'altro, erano morti di scarlattina fulminante i due figli Domenico e Carlo - il F. non desistette dal promuovere una incessante attività contro la dittatura: nell'Azione cattolica come nella FUCI, nell'Associazione nazionale degli avvocati come in quella dei combattenti. La situazione, tuttavia, tendeva sempre più a deteriorarsi: nel nov. 1926, dopo l'attentato Zamboni, lo studio professionale che il F. aveva nel centro di Modena fu saccheggiato da fascisti; lo stesso giorno, la sua abitazione a Formigine subì un assalto, interrotto dall'accorrere della popolazione. La sera stessa dell'accaduto il F. partì per la Francia.
Dopo due brevi soste, a Parigi e a Bruxelles, durante le quali si incontrò con G. Donati, Sturzo e C. Sforza, si stabili a Lovanio, per seguire i corsi dell'Ecole des sciences politiques et sociales, presso la locale università cattolica. E nel giugno 1928, con il massimo dei voti e la lode, vi conseguì il dottorato in scienze sociali, discutendo una tesi dal titolo: Le régime fasciste italien (pubblicato nello stesso anno a Parigi).
Nei progetti del F. il dottorato avrebbe dovuto facilitargli il conferimento di un incarico di insegnamento presso quella stessa università: obiettivo che, anche grazie alla stima di eminenti studiosi di quell'ateneo, egli avrebbe certamente raggiunto, se non fosse stato contrastato da un ostile, pesante intervento compiuto presso le autorità accademiche dall'ambasciatore italiano a Bruxelles, sollecitato in tal senso personalmente da Mussolini.
Fallito, dunque, quel primo progetto di lavoro, che gli avrebbe consentito di mantenere la famiglia che nel frattempo lo aveva raggiunto a Lovanio, il F. riuscì a trascorrere i primi anni dell'esilio grazie alla vendita di alcuni beni di famiglia e, soprattutto, grazie ai continui, ma occasionali lavori che gli procuravano Sturzo e il conte Sforza. Fu solo verso la fine del 1929, quando G. Salvemini, con il quale già collaborava saltuariamente, gli offrì di aiutarlo stabilmente nelle sue ricerche sulla storia dell'Italia contemporanea, che il F. cominciò a godere di una relativa tranquillità economica.
Aveva dato vita, nel febbraio 1928, assieme con il liberale A. Zanetti e il socialista A. Labriola, al Comité italien de Bruxelles, un centro di studi politici e sociali, la cui unica iniziativa fu la pubblicazione, per circa un anno e mezzo, di un bollettino settimanale in lingua francese, L'Observateur, sul quale il F. scrisse numerosi articoli di argomento politico, culturale e religioso.
Fallì, invece, il più ambizioso progetto di dare vita ad una rivista politico-culturale, IlRinnovamento, diretta da Salvemini, Sturzo, Sforza, F. Turati e S. Trentin, che fosse espressione di tutte le forze democratiche antifasciste, da quelle liberali a quelle socialiste, dalle repubblicane alle popolari, con la sola esclusione di quelle comuniste. E falli dapprima per le preclusioni a ogni forma di accordo con i popolari da parte degli esponenti della Concentrazione antifascista di Parigi, in prevalenza massoni e anticlericali, quindi per il profondo solco di diffidenza scavato fra laici e cattolici dall'annuncio degli accordi del Laterano.
Tali difficoltà non impedirono, tuttavia, al F., a Sturzo e a G. Donati di mantenere, in ogni possibile occasione, forme di collaborazione con laici e socialisti.
Già alla fine del 1929, ad esempio, all'indomani dell'avventurosa fuga da Lipari, strettissimi si fecero i rapporti tra il F. e C. Rosselli, certamente favoriti dalle loro non poche affinità culturali. Da tale intesa nacquero i due opuscoli, scritti dal F. nel 1930-31 per il movimento di Giustizia e libertà, sotto forma di lettere aperte Ai parroci d'Italia, opuscoli che vennero clandestinamente diffusi anche in Italia.
Memorabile fu anche la testimonianza che nel settembre 1930 il F. rese a Bruxelles durante il processo contro F. De Rosa, accusato di avere attentato alla vita del principe Umberto di Savoia, quando, intervenendo a favore dell'imputato, accanto a F. S. Nitti, Turati, Marion Rosselli, A. Tarchiani, R. Rossetti e M. Pistocchi, egli fece una esposizione molto sintetica, ma efficace delle disposizioni contro la libertà introdotte dal regime fascista. E assieme a F. Passalecq e L. de Brouckère validamente coadiuvò P. H. Spaak nella sua azione legale di difesa del giovane e generoso combattente socialista.
Entrato quindi in contatto con L. De Bosis, parte non piccola ebbe nelle vicende dell'Alleanza nazionale, l'organizzazione clandestina antifascista creata e diretta da M. Vinciguerra e dallo stesso De Bosis, collaborando alla stesura dei suoi programmi e alla loro diffusione in ambienti cattolici italiani. E fu al F. che quest'ultimo, di fronte al parziale fallimento di tali progetti, prima di compiere il suo epico volo senza ritorno su Roma, consegnò il suo testamento spirituale, la Storia della mia morte, perché fosse pubblicata.
Accanto a queste forme di collaborazione con antifascisti di diversa tradizione culturale, il F. si prodigò anche per mantenere una visibile presenza politica "popolare": su mandato di don Sturzo, al quale la condizione di sacerdote, soprattutto all'indomani dei patti lateranensi, impediva di svolgere ogni attività politica, il F. tentò di organizzare a Bruxelles un segretariato del PPI all'estero, tentativo nel quale si erano già cimentati G. Stragliati, D. Russo e Donati.
Partecipò quindi agli incontri promossi dall'Internazionale popolare: nel settembre 1930, al congresso dell'azione democratico-cristiana per la pace, tenutosi a Ostenda, presiedette una delle sedute, svolgendovi un'importante relazione; nel luglio 1931, in rappresentanza del segretariato del PPI all'estero, prese parte ai lavori del congresso tra i partiti democratici europei, svoltosi a Lussemburgo.
Negli ultimi anni, trasferitosi a Parigi, dove diresse la casa editrice di proprietà dell'ex popolare E. Carozzo, il F. si dedicò alla redazione di una rivista politico-culturale, da lui fondata e diretta, intitolata Res publica. Revue d'études politiques internationales, fra le riviste promosse dai fuorusciti "la più bella", come la definì Pietro Nenni.
Con essa il F. realizzò il sogno da tempo nutrito da alcuni esuli fra i più sensibili, da Salvemini, Sturzo, Sforza, Turati e Trentin: uno strumento, in lingua francese, di dibattito culturale ad altissimo livello sugli aspetti fondamentali della politica contemporanea, dibattito al quale far partecipare non solo i più significativi esponenti dell'antifascismo italiano, ma soprattutto i politici e gli uomini di cultura delle democrazie occidentali.
Fra quanti collaborarono alla rivista durante i suoi due anni scarsi di vita - dall'ottobre 1931 al febbraio 1933 uscirono appena nove fascicoli, con cadenza bimestrale - debbono essere ricordati Sturzo, Salvemini, Sforza e A. Crespi, fra gli italiani, nonché, fra gli stranieri, lo storico inglese G. P. Gooch, l'ex-direttore del Times H. W. Stecd, il francese M. Prélot, giurista e storico del pensiero politico, il pubblicista francese W. d'Ormesson, il senatore de Brouckère del Parti ouvrier belge, presidente della commissione internazionale preparatoria della conferenza per il disarmo, l'ex-direttore dell'Economist F. W. Hirst, il belga prof. E. Mahaim, presidente del consiglio di amministrazione dell'Ufficio internazionale del lavoro, i professori M. A. Mendizabal Villalba dell'università di Madrid e R. Capitant dell'università di Strasburgo, i giornalisti W. Martin, direttore del Journal de Genève, J.Luchaire, direttore di Notre Temps, e C. Sprigge, redattore finanziario del Manchester Guardian, nonché la scrittrice angloamericana Barbara Barclay Carter, fondatrice e segretaria del People and Freedom Group, movirnento di ispirazione democratico-cristiana.
Il nome di Res publica siimpose ben presto all'attenzione degli organi di informazione europei, raggiungendo in tal modo quegli ambienti colti, quei ceti dirigenti della borghesia europea spesso troppo inclini a considerare il fascismo come un male necessario, idoneo a scongiurare il pericolo dell'avvento in Italia della rivoluzione bolscevica, ovvero come la forma di governo, più o meno transitoria, utile a tenere le sorti della penisola finché le sue popolazioni non avessero dimostrato quella "maturità" necessaria a reggersi con libere istituzioni democratiche.
Quella di dar vita a Res publica fu, dunque, impresa di alto significato politico e culturale nella lotta al fascismo e alle altre forze totalitarie. Legata tuttavia alle sole forze individuali del suo direttore, fu purtroppo esperienza assai breve: l'ultimo fascicolo, iniziato dal F. negli ultimi mesi di vita, venne da Sturzo stesso condotto a termine alla morte del Ferrari.
Spossato, infatti, dall'immane sforzo fisico e intellettuale cui si era sottoposto negli ultimi sei anni e colpito da due gravi influenze che gli riaprirono un vecchio trauma polmonare, il F. prematuramente morì a Parigi il 2 marzo 1933.
Ristampe anastatiche: del Pungolo, Bologna 1977, a cura di E. Camurani; dell'Observateur Bologna 1969, a cura dello stesso; di Res publica, Milano 1966.
Dell'Opera omnia di F. L. F., hanno visto la luce: "Il Domani d'Italia" e altri scritti del primo dopoguerra (1919-1926), a cura di M. G. Rossi, Roma 1983; Ilregime fascista italiano, a cura di G. Ignesti, ibid. 1983; Lettere e documenti inediti, a cura di G. Rossini e con note di S. Trinchese, ibid. 1986; "L'Azione cattolica e il regime" e altri saggi inediti sui rapporti Chiesa-Stato, a cura di M. C. Giuntella, ibid. 1991; Una democrazia senza democratici, a cura di G. Ignesti, ibid. 1995.
Fonti e Bibl.: Le carte del F., conservate per lunghi anni dalla famiglia, sono state da questa donate all'Istituto L. Sturzo di Roma. Molte lettere, inoltre, si trovano anche negli archivi di G. Salvemini e di E. Rossi, nonché negli archivi di Giustizia e libertà, custoditi a Firenze, presso l'Istituto per la storia della Resistenza in Toscana; nell'archivio di G. Donati, conservato a Roma dagli eredi; e nell'archivio di G. Micheli, presso la Biblioteca Palatina di Parma. Vedi anche il fasc., intestato al F., del Casellario politico centrale, custodito a Roma, presso l'Archivio centrale dello Stato, fasc. n. 4886. Corrispondenza del F. in L. De Bosis, Storia della mia morte (e ultimi scritti), pref. di G. Salvemini, Torino 1948, ad Indicem.
Biografie del F.: M. G. Rossi, F. L. F.: dalle leghe bianche al PPI, Roma 1965; Id., F. F. L., in Ilmovimento operaio italiano. Dizionario biografico (1853-1943), Roma 1976, II, pp. 317-321; Id., F. F. L., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, II, Casale Monferrato 1982, pp. 201-205; G. Ignesti, F. F. L., in Il Partito popolare in Emilia-Romagna (1919-1926), II, Roma 1987, pp. 128-144; G. Ignesti, Laici cristiani fra Chiesa e Stato nel Novecento, Roma 1988, ad Indicem (alle pp. 186-205 vasta bibliografla); F. Malgeri, Chiesa, cattolici e democrazia da Sturzo a De Gasperi, Brescia 1990, ad Indicem;Id., Luigi Sturzo, Milano 1993, ad Indicem.