BERTA, Francesco Ludovico
Nacque a Torino il 19 ag. 1719 dal vassallo lacopo Antonio, dei decurioni della città di Torino, e da Lucia Margherita Ormea. La famiglia era di origine fossanese. Vestito l'abito clericale nel 1735, ebbe come insegnanti Domenico Regolotti, Girolamo Tagliazucchi, il bearnese Giuseppe Roma, i domenicani Tommaso Crust e Francesco Mellet e il dottissimo Giuseppe Pasini. I primi interessi del B., che studiò greco ed ebraico, furono rivolti verso la Sacra Scrittura e la teologia, mentre dal punto di vista politico assorbì il moderato giurisdizionalismo e l'antipatia verso i gesuiti dei suoi maestri. La cultura religiosa torinese era orientata a un rigorismo etico e a una simpatia verso il giansenismo, documentata anche dai continui contatti che i giansenisti francesi avevano con il Piemonte. La volontà di ritornare alla purezza del messaggio evangelico, alla morale dei padri della Chiesa, per salvare il cattolicesimo dalla corruzione e dal lassismo gesuitico, e l'appassionata lettura di s. Agostino documentano la precoce iniziazione del B. al giansenismo. Amico di Amedeo Delle Lance e di tutto il gruppo dei giansenisti piemontesi, accompagnò il Delle Lance nel viaggio che questi fece a Roma nel 1747 in seguito alla sua elezione al cardinalato. Nello stesso anno, di ritorno da Roma, il B. fu proposto dal Pasini, che ne stimava la preparazione e probabilmente simpatizzava per le sue idee, come secondo assistente alla biblioteca regia, di cui egli era prefetto.
Il B. collaborò quindi con il Pasini e Antonio Rivautella alla compilazione del catalogo dei manoscritti latini, greci ed ebraici della Biblioteca del Regio Ateneo, pubblicato nel 1749 in due volumi, opera che doveva sostituire il catalogo manoscritto del Bencini e che conserva ancora oggi il suo valore di insostituibile strumento di ricerca per i manoscritti della Biblioteca nazionale di Torino.
Nel 1753,con il Rivautella, il B. compose un'altra opera erudita, Ulciensis ecclesiae chartarium animadversionibus illustratum, dedicata a Benedetto XIV, con una lunga prefazione, in cui si sosteneva che ci si era ispirati, oltre che all'attività erudita del Muratori, anche all'esempio del Mabillon, di cui si cita soprattutto il De gloriamartyrum, è composta di due parti: la Series praepositorum Ulcensium, di cui si conserva memorianei cartari, che è senz'altro del B. in quanto è rimasta la minuta di sua mano, e la Series chartariorum Ulcensium,cioè dei privilegi dei papi e dei vescovi, concessioni, controversie, donazioni, vendite dei secc. XI e XII.
Nel 1754 il B., per la morte di Antonio Rivautella, divenne primo assistente della biblioteca, assumendo così un posto di rilievo nell'ambito della cultura torinese. Fin dal 1749 era stato aggregato al Collegio delle Belle Arti, essendogli stata riconosciuta in questo settore una notevole competenza che il viaggio a Roma aveva certamente affinato. Custode del Museo dell'antichità annesso alla biblioteca, dovette attendere a nuove opere di carattere erudito che erano legate alle sue cariche. Ebbe l'incarico da Carlo Emanuele III di illustrare sul retro di ottanta medaglie altrettanti momenti salienti della storia sabauda. Successivamente gli fu commesso di ordinare in serie cronologica le monete della collezione di casa Savoia, corredandole di appunti storici.
Nel 1758 il B. fu nominato censore, con l'incarico di esaminare i libri che si stampavano a Torino e di controllare quelli che si introducevano negli Stati sabaudi. Nel 1770, essendo morto l'abate Pasini, gli fu proposto da Carlo Emanuele III di diventare prefetto della biblioteca, nonostante che questa nomina avesse l'opposizione di quanti erano contrari al suo indirizzo teologico. Accettò la nomina il 18 ag. 1770 e ricoprì tale carica fino alla morte. Come revisore dei libri italiani e stranieri aveva il controllo di tutta la vita culturale del Piemonte, ma si hanno scarse notizie su questa sua attività perché quasi tutto l'incartamento della censura all'Archivio di Stato di Torino è stato distrutto e il nome del B. non compare nei documenti restanti. Abbiamo però almeno due testimonianze che per la loro importanza sono veramente significative dei suoi limiti intellettuali.
Il primo episodio riguarda la sua attività di censore contro il conte Francesco Dalmazzo Vasco. Questi, fra il 1765 e il 1768, si era interessato alla rivolta corsa e aveva cercato di realizzare in Corsica una costituzione ispirata al Contrat social di J.-J. Rousseau. Arrestato a Roma dal governo piemontese, fu rinchiuso nel carcere di Ivrea. Nella forzata inattività della prigionia riprese a studiare le opere dei suoi maestri, e s'impegnò in una traduzione dell'Espritdes lois accuratamente discusso e confrontato con l'opera di Rousscau. Avendo scritto al fratello Giambattista, rettore del convento dei domenicani a Cremona, di questa sua attività, la lettera fu aperta e con uno stratagemma gli furono sottratti tutti i manoscritti, sottoposti quindi all'esame del B., il quale presentò una breve relazione il 6 dic. 1768. Mentre la prima operetta manoscritta del Vasco, Il Filosofo cristiano, non gli suggerisce niente di particolare, esaminando il Discorso sopra le imposizioni in uno Stato monarchico, rifiuta risolutamente il sistema moderno dell'autotassazione dei cittadini e afferma che l'autore "volendo ridurre a' principi la giusta misura de' tributi, richiama sempre il patto sociale". Accusa il Vasco di seguire il suo eroe Montesquieu denunciando con una certa finezza di lettura il relativismo implicito nelle teorie politiche del filosofo francese. Anche di fronte alle osservazioni che il Vasco aveva posto al libro del Beccaria, egli reagisce dicendole ispirate a un relativismo morale derivato dal Puffendorf. Ma è soprattutto sulla traduzione dell'Esprit di Montesquieu che si esercita il suo rifiuto della cultura illuministica, parlando di quest'opera "piena di sentimenti poco favorevoli alla religione, alla monarchia e ad ogni ben stabilito governo" e mostrandosi contrario alla sua pubblicazione: "grave danno apporterebbe alla nostra Italia inondata già di troppo da simili pemiciosissimi libri". Nel suo rifiuto della civiltà illuministica, il B. aveva però colto l'aspetto più ardito dell'opera di commento del Vasco rispetto al testo, che era stato integrato e discusso con Rousseau.
Del secondo episodio fu vittima Carlo Denina, il quale, pubblicando a Torino il Discorso sopra le vicende della letteratura, suscitò le invidie e i rancori del mondo piemontese. Il B. aveva almeno due motivi di odiarlo: il Denina era in ottime relazioni con i gesuiti e aveva tenuto in scarsa considerazione Girolamo Tagliazucchi, suo maestro. Quando l'abate infatti progettò su consiglio del Ferraris, segretario di Carlo Emanuele III, di scrivere una storia d'Italia, si vide preclusa la biblioteca e dovette ricorrere a quella dei gesuiti. Avendo presentato il manoscritto al sovrano, si vide fare alcune difficoltà, che egli riconobbe opera del Berta. Riuscito a superare l'opposizione di questo, che, come osserva il Venturi, era il portavoce di coloro "che tingevano di severità giansenistica una loro precisa volontà di opporsi in tutti i modi alla diffusione delle idee illuministiche", il Denina ebbe in lui un nemico implacabile. Nel 1777, quando apparve a Firenze l'opera del Denina, Dell'impiego delle persone, violando una disposizione delle Costituzioni del 1772 che proibivano ai Piemontesi di pubblicare in paesi stranieri opere senza l'approvazione della censura piemontese, il B., che era riuscito ad ottenere un breve ma significativo ritiro spirituale per l'autore imprudente, si prese la soddisfazione di distruggere personalmente il plico di copie provenienti da Firenze.
La corrispondenza del B. è molto interessante per completare il profilo della sua personalità intellettuale e morale. Fin dal 1763 appare in relazione con padre Paolo Maria Paciaudi, bibliotecario della Palatina di Parma, procuratore generale dei teatini, amico di monsignor Giovanni Bottari e del Passionei, di cui era stato bibliotecario. Nelle lettere intercorse si parla della Chiesa di Utrecht, a cui entrambi sono favorevoli e di cui non accettano la definizione di chiesa scismatica. Roma appare colpevole di non aver capito le "buone dottrine" degli Olandesi e di averli abbandonati nel momento del bisogno. Nella corrispondenza un altro elemento emergente è il tono profondamente antigesuitico: il Paciaudi nel 1768si era impegnato per ottenere l'espulsione dei gesuiti dal Ducato e ne parlò all'amico, sottolineando con ironia che era stato bandito tutto ciò che aveva sentore di gesuitismo.
La corrispondenza con Dupac de Bellegarde, il quale era venuto in Italia a far propaganda per la Chiesa di Utrecht e conobbe il B. a Torino, ha un carattere più impegnativo di rapporto fra persone che lavorano per la stessa causa. Tramite il Bellegarde il B. divenne diffusore di opuscoli e libri giansenistici. Le loro lettere (vanno dal 1774 al 1778) rivelano tutta un'organizzazione con una serie di intermediari e di punti di riferimento in Piemonte e in Liguria, oltre che in Francia. In esse si parla non solo di eventuali proseliti, ma delle vicende della Chiesa di Utrecht, che il papa Clemente XIV aveva tentato di far tornare all'interno della Chiesa, della elezione del nuovo papa nella persona del Braschi, della lotta contro i gesuiti. Ma Pio VI doveva rivelarsi una delusione, influenzato com'era dalla Compagnia di Gesù, che manteneva la sua voce in capitolo nonostante la sua ufficiale soppressione, come doveva rivelare il processo di canonizzazione dei vescovo Giovanni Palafox, sostenuto dai giansenisti. Con l'aiuto del Bellegarde, il B. raccoglieva a Torino un'ampia collezione di libri e di opuscoli giansenistici, e soprattutto delle Nouvelles Ecclesiastiques che erano l'organo ufficiale del giansenismo in cui si riflettevano tutte le vicende del movimento.
Non manca d'interesse la corrispondenza del B. con altri giansenisti, come Giuseppe Zola, Giovanni Bottari, il vescovo d'Asti monsignor Caissotti e altri minori. Fu in relazione inoltre con i librai ginevrini e olandesi per il suo impegno di bibliotecario, mostrando ancora una volta le sue simpatie nella scelta dei libri, in prevalenza classici del giansenismo. Fra gli scritti inediti del B. conservati alla Nazionale di Torino si trova un'Invectiva inquisitionum, che è chiaramente antigesuitica, in quanto le inquisizioni, che privano gli uomini della libertà, sono state instaurate dai gesuiti; ancora contro questi è una scrittura Sull'incapacità dell'Istituto dei Gesuiti a poter ricevere eredità anche a' comodi de' collegi non bisognosi, in cui accusa gli eterni nemici di venir meno al voto di povertà, ingannando il prossimo col mantenere alcune case in povertà e arricchendo per mezzo dei collegi. Non manca una conferma del suo giurisdizionalismo nella scrittura Ragioni di Stato ossia diritto della R. Casa di Savoia sopra i beni ecclesiastici. Sono brevi proposizioni in cui si dimostra che la Chiesa nei primi secoli non possedeva beni stabili, mentre l'origine del potere temporale viene fatta risalire a Costantino. Conferma il suo regalismo la memoria su Melchior Macanaz, il più noto regalista spagnolo, del quale aveva letto le opere.
Tra gli altri appunti e memorie, un trattatello dal titolo Analyse de la foi, appunti tratti dal De re diplomatica del Mabillon, varie tracce della sua attività come censore e il suo parere sulla tolleranza verso i protestanti nei villaggi prossimi a Ginevra, Chêne e Carouge, nel congresso del 1°maggio 1779: il B. sostiene una tesi intermedia fra quella del presidente Foncet, che voleva concedere la tolleranza completa e quella del vescovo di Ginevra, che deplorava la precedente tolleranza: non espulsione, ma cessazione del culto pubblico da parte dei protestanti. La sua più grande preoccupazione appare la loro sottomissione al sovrano per garantire la tranquillità delle frontiere.
Gli ultimi anni della vita del B. furono dedicati a un lavoro filologico, Lezioni intorno le iscrizioni volgari all'Accademia Fiorentina. Dovette sospenderlo per un anno, a causa di una malattia che lo colpì nel 1781 e dalla quale non si riprese più completamente. Nel 1784 ebbe una paralisi. Visse ancora per tre anni, ormai completamente estraneo al moto di vita intellettuale che ferveva in Europa, in Italia e aveva i suoi riflessi anche in Piemonte. Morì il 7 apr. 1787.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Controllo Finanze, vol. 20, c. 99; Istruzione pubblica, R. univ., mazzo 7, c. 1; Patenti e regi biglietti, vol. 43, c. 136; Biblioteca, cartella Vasco, J. b. x. 7 (F); Bibl. Naz. di Torino, Racc. mss. del Berta, Q,2, 11-12; Biblioteca reale di Torino, Epist. Berta,var. 266; Biblioteca Palatina di Parma, Epist. Paciaudi, cassetta 67; Arch. di Stato di, Parma, Carte Du Tillot, C.1-2; Archive d'Eglise vieille-catholique des Pays-Bas, P. R. et U. 2068; G. M. Mazzucchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 1025; [Orsini di Orbassano], Elogio accademico di F. L. B., Torino 1787; [Gaetano Donaudi], Elogio dell'abate B., Vercelli 1787; necrologio, in Nouvelles écclésiastiques, 9 ott. 1787; G. Claretta, Sui princip.storici piemontesi…, in Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino, s. 2, XXXI (1879), pp. 87 s.; C. Denina, La Prusse litteraire sous Fréderíc II, Berlin 1790, I, pp. 359-460; E. Dulio, Un illuminista piemontese. Il conte F. D. Vasco,Torino 1928, pp. 14 ss.; C. Frati, Diz. biobibliogr…, Firenze 1934, p. 74; L. Negri, Un accademico Piemontese del '700: C. Denina, in Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino, s. 2, LXVII (1933), p. 3; P. Stella, Giurisdizionalismo e giansenismo all'univ. di Torino nel sec. XVIII, Torino 1958, pp. 64-70; Id., Crisi religiose nel primo Ottocento piemontese, Torino 1959, p. 42; F. Venturi, F. D. Vasco, Paris 1940; Id., Illuministi italiani. Riformatori lombardi, piemontesi e toscani, III, Napoli 1958, pp. 708 ss., 818; F. D. Vasco, Opere, a c. di S. Rota Ghibaudi, Torino 1966, passim; L. Badino, Un giansenista piemontese…, tesi di laurea anno acc. 1959-60 (Ist. di storia moderna della fac. di lett. e fil. dell'univ. di Torino, VI G 5).