MOROSINI, Francesco Lorenzo
– Secondogenito del cavaliere Michele di Lorenzo e di Foscarina Marcello di Giacomo di Andrea, nacque a Venezia, nella parrocchia di S. Vidal, il 21 giugno 1714.
Risulta che con lui la natura sia stata generosa piuttosto nelle doti intellettuali che nel fisico, secondo una testimonianza del tempo: «Tutt’altro che bene aitante della persona, poiché pare che natura a coloro ai quali fu matrigna nello imbusto, rechi compenso colla larghezza dello ingegno, il proc. Morosini ebbe mente perspicacissima, facile e arguta parola» (Relazioni, 1965, I, p. 1117). Pertanto, mentre il fratello maggiore sposava Caterina Ruzzini, Morosini fu destinato alla carriera politica; divenne così savio agli Ordini dal 4 aprile 1739 fino a tutto giugno, e poi ancora dall’ottobre fino al marzo 1740, ma senza portare a termine il mandato, perché il 20 dicembre 1739 veniva inviato podestà a Chioggia. Lì rimase per un anno e mezzo, occupandosi della riorganizzazione del Monte di pietà, che fu approvata dal Senato con decreto del 18 maggio 1741. In seguito riprese posto nel Collegio come savio di Terraferma per il primo semestre del 1742 e poi ancora del 1743, ma solo fino al 27 aprile, allorché fu eletto ambasciatore in Spagna.
Lasciò Venezia il 1° maggio 1744 e proseguì per Torino e Chambéry; raggiunse il 27 luglio la corte di Filippo V, dove si sarebbe fermato fino all’agosto 1747. Nel corso di questi tre anni morì il re, «da niun altro, che dalla sola regina Elisabetta compianto» (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Dispacci Spagna, filza 163, n. 108, 12 luglio 1746), e ascese al trono il figlio Ferdinando VI; soprattutto però Morosini fu testimone della fase conclusiva della guerra di successione austriaca, che avrebbe portato sul trono di Parma l’infante Filippo. Scrisse l’ultimo dispaccio da Madrid il 7 agosto 1747, in unione al successore Giovanni Alvise Mocenigo.
Non era ancora rimpatriato che fu eletto (16 settembre 1747) a un’altra ambasceria, la più prestigiosa di tutte, quella di Francia. Ricevette le commissioni quasi un anno dopo, il 31 agosto 1748, e lasciò Venezia il 4 ottobre; anche stavolta si fermò a Torino, sosta ormai obbligata per i diplomatici che si recavano Oltralpe, data l’accresciuta importanza della corte sabauda, e giunse a Parigi il 2 dicembre.
Di questa ambasceria possediamo la relazione, letta in Senato il 9 maggio 1752. L’indole e le occupazioni del sovrano, della famiglia reale, dei ministri, della prassi di governo, caratterizzata da «molteplicità di partiti [che] pongono quella Corte in occulto, ma torbido movimento» (Relazioni, 1975, VII, p. 128), con l’effetto di indebolirne la condotta politica, formano oggetto dello scritto; tuttavia la sua importanza va ricercata nell’appendice a esso allegata (ibid., pp. 134-173) contenente il quadro dettagliato della situazione finanziaria del paese, che ha quasi la valenza di una profezia su quello che sarebbe rapidamente divenuto il suo problema principale.
Lasciata Parigi il 9 dicembre 1751, una volta rimpatriato Morosini entrò a far parte (primo semestre 1752) dei savi del Consiglio; non era ancora giunto a metà del mandato, quando, il 2 marzo 1752, fu eletto commissario ai Confini di Lombardia e Tirolo.
Dopo la pace di Aquisgrana, Maria Teresa aveva avviato una serie di trattative con la Serenissima per risolvere annose controversie. Le operazioni si sarebbero protratte per molto tempo in un clima sostanzialmente costruttivo; la prima questione, e la più dibattuta, era costituita dalla giurisdizione del lago di Garda che nella parte settentrionale apparteneva al vescovo di Trento. Nel corso di replicati incontri fu possibile risolvere il problema dei confini tra la Repubblica e il Tirolo, ma non quelli relativi al Garda. Pertanto, sciolto il congresso di Rovereto nel luglio 1755, la questione fu demandata a nuovi colloqui, che si aprirono a Mantova nel mese di dicembre. Qui Morosini, che il 22 luglio 1755 era stato eletto procuratore di S. Marco de Supra, dovette negoziare con il conte Beltrame Cristiani le linee di confine fra Mantovano e Bresciano, fra Crema e Cremonese e fra Milanese e Bergamasco; esse furono definite con una serie di trattati stipulati a Vaprio fra il 31 marzo e il 16 agosto 1756, ma neppure in questa circostanza ebbe soluzione l’affare del lago di Garda.
A Venezia Morosini ricoprì la carica di savio del Consiglio dall’aprile al settembre 1757; quindi (26 novembre) venne chiamato a far parte, per un biennio, dei due aggiunti ai deputati alla provvision del Danaro. Ancora savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre 1759 e 1760, nello stesso periodo fu anche riformatore dello Studio di Padova (eletto il 18 agosto 1759) e savio alla Mercanzia (28 novembre 1759), l’una e l’altra cariche biennali, ma compatibili con il saviato. Particolarmente significativa fu la sua azione come riformatore dello Studio, magistratura cui sarebbe stato eletto più volte, distinguendosi come innovatore; in tale veste, infatti, egli appoggiò il progetto elaborato da Simone Stratico, docente di medicina, un piano volto a ristrutturare l’ordinamento didattico dell’Università, approvato con decreto del 1° luglio 1761.
Anche nel corso della cosiddetta ‘crisi queriniana’ scoppiata nello stesso 1761, Morosini si distinse fra i capi del ‛partito novatore’ che propugnava il ritorno a una maggior partecipazione di tutta la classe patrizia all’interno dell’ordinamento costituzionale dello Stato; una linea che egli avrebbe costantemente perseguito in vari ambiti, a dimostrazione di uno spirito irrequieto – «furente» lo definiva, nel 1788, l’inviato imperiale a Venezia, Francesco Simone Corradini (Tabacco, 1980, p. 118) – comprovato dall’appartenenza alla loggia massonica di rio Marin. Nel corso degli anni Settanta e Ottanta, pertanto, Morosini fu partecipe a tutti gli sforzi innovativi dell’illuminismo veneto, dal tentativo di riforma delle Arti propugnato nel 1772 da Andrea Memmo alla protezione da lui accordata agli spiriti più aperti, come Giovanni Scola o Marco Carburi.
Il 22 novembre 1760 fu eletto ambasciatore a Londra, insieme al procuratore Tommaso Querini, per l’incoronazione di Giorgio III, ma la missione ebbe luogo molto più tardi, la qual cosa gli permise di ricoprire nuovamente il saviato del Consiglio (aprile-settembre 1761).
I due lasciarono Venezia a fine marzo 1762 e attraverso la Germania e l’Olanda giunsero a Londra l’8 giugno, ma se l’udienza avvenne poco dopo, l’ingresso solenne fu ritardato fino al 18 aprile 1763, onde consentir loro di intraprendere una serie di colloqui con l’ambasciatore russo Michail Voronzov. Il vero scopo della legazione era infatti quello di sondare la possibilità di un trattato di commercio veneto-russo, di cui si parlava da tempo, ma che non era mai andato in porto per il timore di destare l’irritazione dei turchi. Ancora una volta la trattativa fu avviata positivamente, ma in seguito alla morte di Pietro III e all’ascesa al trono di Caterina II, la sua continuazione venne affidata all’ambasciatore presso la corte di Vienna. Toccò a Morosini rivolgere al re il discorso ufficiale, dopo di che ripartirono per Venezia, dove giunsero il 7 agosto 1763; lessero la relazione in Senato il 10 settembre. Il documento è tutto incentrato sulla natura degli inglesi e sullo sviluppo allora in atto (ulteriormente rafforzato dalla felice conclusione della guerra dei Sette anni) riguardo al commercio e alle conquiste coloniali; incondizionata l’ammirazione per quella popolazione, le sue doti di concretezza, intraprendenza, patriottismo che tanto profitto recano al paese; evidente, tra le righe, il confronto con la ben diversa situazione della Repubblica.
A Venezia Morosini riprese un’intensa attività politica, di cui si forniscono le date di ingresso alle cariche: fu pertanto savio alla Mercanzia (1° settembre 1763, 17 settembre 1778, 8 aprile 1779, 6 aprile 1780, 5 aprile 1781, 2 aprile 1785 e 20 febbraio 1790) e riformatore dello Studio di Padova (24 settembre 1763, 19 dicembre 1771, 27 maggio 1777, 30 aprile 1785 e 30 giugno 1789), dimostrando spiccate attitudini per l’esame dei problemi economici e finanziari che vi erano connessi; fu poi savio del Consiglio nel secondo semestre nel 1765 e 1766 e, in diversi periodi, ininterrottamente dal 1769 al 1780 e dal 1782 al 1789. Assidua la sua presenza anche nell’ambito delle magistrature finanziarie (inquisitore sopra la regolazione delle Arti, 18 agosto 1768, 30 gennaio 1771 e 7 aprile 1787; aggiunto ai deputati sopra la provvision del Danaro, 7 settembre 1770, 23 novembre 1771 e 5 gennaio 1774; revisore e regolatore alle Entrate pubbliche, 2 gennaio 1773; provveditore sopra Ori e Monete, 8 gennaio 1774; deputato ad pias causas, 8 aprile 1775 e 21 gennaio 1789; aggiunto ai provveditori alla cassa di Ori e Argenti, 3 agosto 1782; deputato alla provvision del Danaro, 2 aprile 1783 e 2 aprile 1786; inquisitore sopra Ori e Monete, 13 aprile 1785); fu inoltre più volte savio all’Eresia (19 dicembre 1767, 14 dicembre 1769, 23 gennaio 1773, 9 aprile 1778, 22 aprile 1779, 15 aprile 1780, 5 aprile 1781).
La sua lunghissima carriera politica si concluse con l’elezione (20 aprile 1786) a provveditore alla camera dei Confini, per via di un contenzioso aperto fra il Trentino e il Bellunese; la trattativa, mal gestita dai veneti, penalizza tuttora i limiti tra le due province nella zona del passo S. Pellegrino.
Morosini morì a Treviso il 1° dicembre 1793.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti …, V, p. 352; Segretariato alle voci. Elez. Pregadi, regg. 22, cc. 20, 35, 36; 23, cc. 6, 12, 73, 76, 78, 156; 24, cc. 1-5, 34, 49, 51, 63, 71, 76, 103, 105, 138, 156, 157, 174; 25, cc. 3-10, 46, 47, 56, 57, 62, 63, 74, 88, 90, 93, 107, 108, 116, 117, 119, 128, 131, 141, 147, 150, 151, 155, 156, 190; 26, cc. 2, 3, 51, 86, 100, 103, 114, 134, 136, 144, 165; Elez. Maggior Consiglio, reg. 27, c. 135; 29, c. 113; Provveditori alla Sanità. Necrologi, reg. 980, p. 361; Senato, Dispacci Spagna, filze 161-163 e Rubricari Spagna, filza K 18, passim; Senato, Dispacci Inghilterra, filza 118, nn. 1-50; Venezia, Biblioteca del civico Museo Correr, Archivio Morosini-Grimani, b. 539/III: dispacci di F. M. podestà a Chioggia, 1740-1741; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, pp. 513 s.; V, ibid. 1842, p. 290, 623; F. Seneca, F.L. M. e un fallito progetto di accordo veneto-russo, in Archivio veneto, s. 5, LXXI (1962), pp. 19, 21-23, 35-38; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, I, Inghilterra, Torino 1965, pp. XXXVI, 1111-1151; V, Francia (1492-1600), Torino 1978, pp. XLIII s.; VII, Francia (1659-1792), ibid. 1975, pp. 123-173; G. Tabacco, Andrea Tron e la crisi dell’aristocrazia senatoria a Venezia, Udine 1980, pp. 118, 133, 136, 147, 150, 163 s., 177 s., 185; Relazioni dei rettori veneti nel Dogado. Podestaria di Chioggia, a cura dell’Istituto di storia dell’Università di Udine, Milano 1982, pp. 155, 166; P. Del Negro, I «Pensieri di Simone Stratico sull’Università di Padova» (1760), in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, XVII (1984), pp. 3, 20; F. Trentafonte, Giurisdizionalismo, illuminismo e massoneria nel tramonto della Repubblica veneta, Venezia 1984, pp. 13, 15, 47, 68, 90 s., 105, 109, 137, 170; R. Targhetta, La massoneria veneta dalle origini alla chiusura delle logge (1729-1785), Udine 1988, pp. 81, 89, 147, 150, 154, 158, 190; M. Pitteri, Per una confinazione «equa e giusta». Andrea Tron e la politica dei confini della Repubblica di Venezia nel ‘700, Milano 2007, pp. 69 s., 72-75, 107, 120.