LONGHI, Francesco
Nacque a Ravenna il 10 febbr. 1544, come risulta dai libri dei battezzati di S. Giovanni in Fonte a Ravenna, quintogenito del pittore Luca e di Bernardina Baronzelli, e fratello della più giovane Barbara, anche lei pittrice. Miniatore e poeta, oltreché pittore, onorato da importanti commissioni, il L. ebbe attività intensa, e la buona reputazione di cui godeva gli consentì di entrare a far parte del magistrato dei Savi nel 1600 e di ottenere dieci anni dopo un titolo nobiliare per sé e per i propri familiari.
Cresciuto nella bottega del padre con il quale collaborò finché questi visse, non sorprende che, soprattutto agli inizi della sua carriera artistica, ne ripetesse fedelmente, fino agli estremi di un mimetismo stilistico sostenuto da una discreta qualità esecutiva, i moduli compositivi e la sintassi. Anche dopo la morte di Luca, il L. sarebbe rimasto legato a quell'imprescindibile modello, inimitabile nella finitezza dei dettagli, nell'affettività espressa dai suoi personaggi.
La prima tela firmata del L., raffigurante La visione della beata Chiara di Rimini (1568), fu dipinta per la chiesa riminese di S. Maria Annunziata, poi degli Angeli. Dopo la soppressione dell'edificio (1810), la tela fu inviata nella cattedrale di Cervia, dove si trova tuttora.
Vi è raffigurato l'episodio di una visione della beata, distesamente riferita dall'autore della leggenda riguardante la sua vita (il brano è riportato in Garampi, p. 449). L'esame diretto del dipinto, che dal restauro condotto nel 1982 ha acquistato nuova leggibilità, solleva non poche incertezze per quanto riguarda l'autografia. L'eclettismo dei moduli compositivi e le tecniche di stesura differenti cautamente propongono di considerarlo frutto di collaborazione fra diversi membri della bottega (Viroli, 1982, p. 169).
Allo stesso 1568 risalgono le due lunette affrescate raffiguranti, rispettivamente, il Voto di Galla Placidia durante la tempesta in mare e la Consacrazione della basilica di S. Giovanni Evangelista.
I due dipinti che, dopo il distacco dalla parete, si conservano nel Museo nazionale di Ravenna, erano in origine nella chiesa cittadina dedicata a S. Giovanni Evangelista, dove li ricorda G. Fabri. Fra gli estensori di guide cittadine solo C. Ricci segnala nella sesta edizione della Guida di Ravenna (Bologna 1923, pp. 109 s.) le due lunette, fornendo altresì notizie sul loro distacco dalla parete, condotto nel 1921.
Ancora vivente il padre, il L. nel 1571 firmò e datò la Cena in casa del ricco epulone, ora in collezione privata (Viroli, 2000, p. 166). Nel percorso pittorico dell'artista il dipinto si inserisce in un momento di ricerca formale che si muove su più direzioni; l'opera cade a ridosso dell'importante dipinto del L., anch'esso datato 1571, con la scena della Crocifissione con la Vergine e i ss. Giovanni Evangelista, Apollinare e Vitale della Pinacoteca comunale di Ravenna.
Quest'ultimo dipinto, di notevoli dimensioni, è da identificarsi con sicurezza nel quadro che F. Beltrami registrava come esistente in una delle "stanze di radunanza del Magistrato de' Signori Savj", nel palazzo dello stesso magistrato in Ravenna (Viroli, 1982, p. 173). Il mesto soggetto - un Compianto intorno al Crocifisso - vede collocate le sacre figure, in costruzione simmetrica e convenzionale di sapore arcaizzante, entro il breve giro di un orizzonte che lascia appena affiorare, in un incombente primo piano, minimi accenni naturalistici. I personaggi rappresentati esibiscono un'insistenza calligrafica che già in Luca assumeva talora il valore di una cifra (le pieghe parallele delle vesti e dei manti, il preziosismo dei lineamenti, la blandizie delle mani gentilmente affusolate). La solenne staticità dell'impianto trova ragione nella necessità di decoro, ma l'artista è pronto a esibire citazioni di maniera che si precisano in G. Vasari, M. Venusti, negli Zuccari, e nel forlivese G.F. Modigliani (Fabbri).
Nei dipinti realizzati dal L. dopo la morte del padre (1580), come La Madonna con il Bambino e i ss. Matteo e Francesco (1586) per la chiesa ravennate di S. Giovanni Battista, la grazia e l'eleganza aulica e dimostrativa dei gesti dei santi, del tutto sfuggenti alla norma di Luca, si impongono a mitigare la prevedibilità delle forme. Al 1586 si colloca anche, tra gli altri, il dipinto del L. raffigurante La Madonna con il Bambino e due santi della Biblioteca Classense in Ravenna, firmato e datato.
Non sono stati reperiti documenti d'archivio o fonti antiche della letteratura artistica in grado di fornire contributi per conoscere la storia di questo dipinto, ignorato anche dalle guide cittadine e dalle voci dei repertori dedicate al pittore ravennate. Fino a un anno fa la sua collocazione era sul terzo altare a sinistra in S. Romualdo, ma la provenienza è sconosciuta, essendo peraltro da escludere che l'opera si trovasse in quella chiesa fin dall'origine. L'invenzione in questo dipinto appare strettamente legata a modelli parmigianineschi: la Vergine ripete quasi alla lettera la figura della Madonna dal collo lungo già nella chiesa di S. Maria dei Servi a Parma. Anche se non sembra fuori luogo immaginare una diretta conoscenza dell'opera di F. Mazzola (il Parmigianino) da parte del L., è plausibile che questi la conoscesse attraverso divulgazioni a stampa.
In opere realizzate all'aprirsi del nuovo secolo, come la Madonna con il Bambino e i ss. Girolamo e Clemente (1604) della chiesa ravennate di S. Giovanni Battista, il L. fa mostra di vitalità creativa e curiosità di interessi.
Imbeve infatti i sacri personaggi di tinte livide e ne allunga e assottiglia le membra per reminiscenze dal Parmigianino. La composizione, perfettamente equilibrata nello schema piramidale, manifesta alcuni dei caratteri tipici della sua pittura: si direbbe che nelle sue figure umane, rassomiglianti a quelle del padre, ma di esse più deboli, non vi sia solidità di membra. Sono silhouettes, corpi vacui che si atteggiano nebulosamente senza sfondo. Le carni sono tinte di un unico colore violetto, che vira appena al rosa nei punti maggiormente illuminati. Hanno grandi mani dalle dita lunghe e affusolate. Le loro membra sono avviluppate da sobri e ampi panneggi, le cui pieghe appaiono come irrigidite rispetto a quelle più fluenti di Luca. Anche il colore è come smaterializzato, dipinto in un velo sottile.
Al 1605 risale la pala, firmata e datata, raffigurante La Madonna Assunta e santi che si conserva nella chiesa di S. Maria in Porto a Ravenna.
Vi troviamo le riprese dai collaudati, poetici motivi compositivi e tipologici, ma anche rinnovate esplorazioni di una materia pittorica sfibrata, di rare gamme cromatiche, e l'elaborazione di uno schema di netta partizione fra terra e cielo, dove le figure della Vergine e degli angeli fluttuano su gonfie matasse di nubi.
Punta in questa direzione anche la pala conservata in S. Francesco di Ravenna, raffigurante La Madonna con i ss. Naborre e Felice e un bambino (1607). L'opera si struttura in una pesante macchina dove lo spazio è faticosamente definito in senso prospettico da una quinta di colonne abbassate nella zona inferiore. Un'analoga situazione compariva già, del resto, nel dipinto del L. raffigurante S. Chiara da Montefalco e committente, nell'omonima chiesa di Montefalco, firmato e datato 1600.
In queste opere tarde non mancano riflessi della cultura del manierismo veneto, nell'uso di una gamma coloristica talora vivace, ricomposta entro schemi di naturalizzazione concettuale e figurativa, in piena rispondenza ai dettami della Chiesa controriformata. Nel dipinto di Montefalco è da sottolineare l'evidenza del ritratto del committente in primo piano - il brano più interessante della raffigurazione - in cui il pittore mostra di saper aderire, per una volta, alle capacità ritrattistiche del padre.
Non vanno qui dimenticati, seppure minori, i lavori del L. nella fase più tarda: la Visitazione, firmata e datata 1611, nella chiesa dei Ss. Nicolò e Francesco a Castrocaro Terme, e la Decollazione del Battista, del 1612, ora nella Pinacoteca di Ravenna.
Quest'ultima opera presenta un imbarazzante problema attributivo. Reca infatti un tradizionale riferimento a Luca Longhi, risalente a Beltrami, che la ricordava esistente in S. Giovanni Decollato a Ravenna. Un restauro, condotto in occasione della mostra longhiana del 1982, ha portato alla luce firma e data, rivelando che l'autore è il L. e che il quadro fu dipinto nel 1612. È verosimile che il dipinto sia stato realizzato in due tempi diversi, spettando quindi al padre l'invenzione e la prima stesura, e al figlio, a distanza di più di un trentennio, l'esecuzione definitiva.
Altre opere tarde del L. sono la notevolissima tela ex voto, firmata e datata 1609, già in un oratorio di villa Pianta presso Alfonsine e oggi irreperibile, raffigurante L'Immacolata Concezione con i ss. Francesco e Chiara e i donatori e la Madonna fra i santi apostoli Pietro e Paolo nella cattedrale di Bertinoro, ricca di sottigliezze pittoriche, e vicina a una teletta siglata della sorella, conservata nella Pinacoteca di Ravenna. Del resto, strettissime affinità con le opere di Barbara si colgono in numerose tele del L., al punto tale da rendere a volte problematica la distinzione delle due personalità, come accade per la tela della Pinacoteca di Argenta, che è stata volta a volta assegnata a Luca, a Barbara e al L., ma che spetta quasi sicuramente alla mano di quest'ultimo. Così come a lui è assegnato, in inventari e cataloghi, un dipinto del Museo civico di Vicenza, raffigurante lo Sposalizio di s. Chiara, non distante dalle opere di Barbara alla quale, nello stesso museo, è riferita, giustamente, una teletta con Madonna che allatta il Bambino.
Il L. morì a Ravenna nel 1618.
Fonti e Bibl.: G. Fabri, Le sagre memorie di Ravenna antica, Venezia 1664, ad nomen; G. Garampi, Memorie ecclesiastiche appartenenti all'istoria e al culto della b. Chiara di Rimini, Roma 1755, pp. 447-450, 452; F. Beltrami, Il forestiere istruito delle cose notabili della città di Ravenna e suburbane della medesima, Ravenna 1783, ad nomen; G. Viroli, in Luca Longhi e la pittura su tavola in Romagna nel '500 (catal.), a cura di J. Bentini, Bologna 1982, pp. 168-177; S. Prosperi Valenti Rodinò, in Il costume e l'immagine pittorica nel Seicento umbro (catal., Foligno), a cura di E. Bettoni, Firenze 1984, p. 33; G. Viroli, La Pinacoteca civica di Argenta, Bologna 1987, pp. 69-71; A. Colombi Ferretti, in La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1988, II, pp. 751 s.; A. Marchi, F. L., in Quaderno della Pinacoteca comunale di Cesena, 1990, pp. n.n.; A. Fabbri, in Biblia pauperum. Dipinti dalle diocesi di Romagna 1570-1670 (catal., Ravenna), a cura di N. Ceroni - G. Viroli, Bologna 1992, pp. 57-64; G. Viroli, Quadreria Classense, Ravenna 1993, pp. 70-76, 78-80; Id., La Ravenna artistica, in Storia di Ravenna, IV, Dalla dominazione veneziana alla conquista francese, Venezia 1994, pp. 270-272; Id., La quadreria della Cassa di Risparmio di Ravenna, Ravenna 1995, pp. 174 s.; Id., Chiese ville e palazzi del Forlivese, Bologna 1999, pp. 42 s., 195 s.; Id., I Longhi: Luca, F., Barbara pittori ravennati (sec. XVI-XVII), Ravenna 2000 (con bibl.); Id., in Pinacoteca comunale di Ravenna. Museo d'arte della città. La collezione antica, a cura di N. Ceroni, Ravenna 2001, pp. 95-97 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 356.