LINGUARDO, Francesco
Nacque nei primi decenni del Cinquecento, da Beltrame; la famiglia era di origine pavese. Nel 1548 si trovava a Bologna, come collaboratore della bottega libraria dei fratelli Dossena, con ogni probabilità proprietario di una libreria associata, ubicata accanto alla basilica di S. Petronio, tra la via Clavature e l'ospedale di S. Maria della Morte.
Anche i Dossena erano di origine pavese, ma in precedenza si erano trasferiti a Torino, dove Giovanni, nel 1524, esercitava l'attività di stampatore e libraio; nei documenti bolognesi essi vengono indicati come "de Turino". Giovanni Andrea e Cristoforo Dossena, figli di Giovanni, avevano aperto la libreria bolognese almeno dal 1541; nell'agosto di quell'anno, infatti, furono ammoniti dal vicario vescovile per la sospetta presenza di libri eterodossi.
È probabile che il L. allora collaborasse già con i Dossena; a costoro egli era legato anche dal matrimonio con Caterina, figlia di Giovanni Andrea. Quest'ultimo morì tra il 1541 e il 1548, lasciando eredi i fratelli Cristoforo e Athos.
Il 26 apr. 1548, su ordine del cardinale legato di Bologna G. Morone, il L. fu fatto incarcerare per eresia insieme con G.G. Ziletti, altro collaboratore dei Dossena, a opera di A. Massarelli, segretario del concilio di Trento durante la fase bolognese; C. Dossena era fuggito da Bologna, dove fece ritorno il 6 agosto. Probabilmente le disavventure giudiziarie furono all'origine della causa civile che oppose il L. e la moglie Caterina ai fratelli Dossena, per la quale i coniugi chiesero l'assistenza legale del procuratore A. Ruggeri (8 giugno 1548). Poco dopo anche il L., che era stato scarcerato provvisoriamente per motivi di salute il 19 maggio, su cauzione offerta dal bolognese G. Ferro, fuggì dalla città. Al suo ritorno, nel settembre, le indagini condotte dalle autorità giudiziarie avevano ormai chiarito che il L. era al centro di una vasta rete di rapporti tra i membri delle conventicole eterodosse bolognesi: lo stesso Ferro, L. Sozzini, U. Aldrovandi, S. Mainetti, il francescano L. Anguissola e molti altri. Il L. condivideva pienamente il loro orientamento, più vicino a H. Zwingli che a M. Lutero (un'informazione anonima, attribuibile al noto eretico bolognese G.B. Scotti, descriveva il L. come "immerso in errori lutherani et zuingliani"), e forniva loro numerosi libri riformati, tra i quali opere di B. Ochino e di Giulio da Milano (Giulio Della Rovere). Aveva inoltre tentato di convertire alle dottrine riformate Marta, madre di C. Dossena.
A suo favore si schierarono numerosi personaggi illustri, tra cui l'ambasciatore francese al concilio C. Durfé, il duca di Ferrara e molti nobili bolognesi. Ciononostante, nell'ottobre il L. fu di nuovo incarcerato. Durante i suoi interrogatori si mostrò pentito e disposto a collaborare con i giudici, denunciando le persone a cui aveva venduto libri proibiti. Al termine del processo (novembre-dicembre 1548), il L. venne scarcerato, ma la sua bottega dovette restare chiusa per almeno sei mesi e i suoi libri venduti per soddisfare i creditori. Le vendite erano anzi cominciate ancora prima della fine del processo; dagli atti di una di queste, avvenuta il 24 ott. 1548, si può ricavare la straordinaria ricchezza che doveva contraddistinguere la bottega del L., tenendo anche conto del fatto che i volumi giudicati più pericolosi erano stati certamente sequestrati dalle autorità giudiziarie bolognesi. I titoli erano in tutto circa 1200; tra questi, molte opere di Erasmo (gli Apophtegmata, i Colloquia, l'Enchiridion militis christiani, il De conscribendis epistolis, la traduzione commentata del Nuovo Testamento e altro ancora), di I. Sadoleto, ma anche di R. Lullo, di N. Machiavelli, di G. Savonarola, il De arte cabalistica di J. Reuchlin, il De inventoribus rerum di P. Virgili, il dizionario ebraico di S. Münster, oltre naturalmente a un'infinità di classici latini e greci, di testi di giurisprudenza, di edizioni bibliche e patristiche.
Non sappiamo dove si recasse il L. dopo il processo, che, secondo un testimone che ricordava la vicenda nel 1560, si era concluso con il bando da Bologna. In un atto notarile del 1566, con il quale Ferro accusava la ricevuta di 75 scudi come pagamento di libri da lui venduti nell'ormai lontano ottobre 1548 a C. Dossena e al L., il nome di quest'ultimo risulta cancellato con un tratto di penna orizzontale. È dunque assai probabile che a quella data il L. fosse morto o avesse comunque cessato l'attività di libraio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Legato, Expeditiones, reg. 28, c. 76r (18 maggio 1548); Notarile, Atti dei notai Landini Bailardi Assalonne, b. 1, atti dell'8 giugno 1548, 14 e 24 ott. 1548, 23 nov. 1548; ibid., Balzani Marco Antonio, b. 10, atto del 18 sett. 1566; Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la dottrina della fede, S.O., Stanza storica, L.6-n; Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, a cura di M. Firpo - D. Marcatto, I, Roma 1981, p. 293; II, ibid. 1984, p. 382; IV, ibid. 1987, pp. 74, 319; G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien um die Mitte des XVI. Jahrhunderts, Paderborn 1910, ad ind.; L. Carcereri, Cristoforo Dossena, F. L. e un Giordano, librai, processati per eresia a Bologna (1548), in L'Archiginnasio, V (1910), pp. 177-192; Id., Giovanni Ferro bolognese processato per eresia, ibid., pp. 224-227; G. Dall'Olio, Eretici e inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Bologna 1999, ad indicem.