FRANCESCO II d'Este, duca di Modena e Reggio
Nacque il 6 marzo 1660 da Alfonso IV d'Este duca di Modena e Reggio e da Laura Martinozzi, nipote del card. G. Mazzarino, sposata nel 1655. Alla morte prematura di Alfonso, nel 1662, dopo soli quattro anni di regno ininfluente, fu la giovane vedova ad assumere la reggenza in nome del figlio minore, assistita da due ministri, G. Graziani e B. Gatti.
La gestione del piccolo Stato fu sorretta dall'esperienza diplomatica dei due fratelli del duca Francesco I, Cesare e soprattutto il cardinale Rinaldo. L'economia era ormai ridotta a uno stato di irrimediabile precarietà, il tessuto sociale impoverito, causa non ultima del diffuso banditismo, il clero sempre più potente, incoraggiato a corte e collocato in posti chiave dalla religiosissima Martinozzi. Parallelamente anche la politica estera aveva perso le velleità grandiose - e dispendiose - di Francesco I e si era attestata nel mantenimento di una stretta neutralità orientata di necessità verso i Francesi fin dal tempo della pace dei Pirenei. Inserito a margine di ben più ampi contenziosi il Ducato estense aveva ottenuto la sospirata investitura di Correggio, il riconoscimento del pagamento dell'eredità di Isabella di Savoia, nonna di Alfonso IV, e una generica dichiarazione di interessamento da parte delle grandi potenze per la reintegrazione dei possedimenti di Romagna.
Ma l'alleato francese, intendendo il rapporto con gli Estensi esclusivamente come del tutto funzionale alle proprie esigenze di grande potenza, propose nel 1673 il matrimonio dell'allora quindicenne primogenita della Martinozzi, Maria Beatrice, con l'erede al trono inglese, il maturo Giacomo Stuart, già vedovo e con figlie adulte. Resistenze affettive della madre e della figlia, già intenzionata a entrare nel convento delle salesiane della sua città, non valsero davanti alla perentoria richiesta. La proposta - irrifiutabile - portò alla celebrazione del matrimonio il 30 settembre di quell'anno, essendo lo sposo rappresentato da H. Mordaunt conte di Peterborough.
Il 5 ott. 1673 Maria Beatrice, accompagnata dalla madre e dal giovane zio Rinaldo, nato dalle terze nozze di Francesco I con Lucrezia Barberini, partiva alla volta dell'Inghilterra. La reggente lasciava a Modena il giovane F., poco più che tredicenne: accanto a lui i fidati ministri del Consiglio e i principi, di poco più anziani, Luigi, Foresto e Cesare Ignazio, eredi di un ramo collaterale della famiglia.
Durante l'assenza della madre l'adolescente F., malaticcio e di carattere imbelle, tenterà la via di un'emancipazione, che dovette essere umana ancor prima che politica, grazie all'interposta persona di Cesare Ignazio d'Este, marchese di Montecchio. Nonostante la valutazione - velenosamente di parte - tramandataci da L.A. Muratori, legato del resto al partito del futuro duca Rinaldo, più che un compagno corrotto e depravato Cesare Ignazio si dimostrò ben presto mentore non privo di talento politico di un personaggio del tutto carente di personalità.
Di qualche anno più anziano, dotato di intelligenza notevole, volitivo, ambizioso e inquieto, certo insoddisfatto degli spazi - e non solo fisici - offerti da una piccola corte di provincia a lui che aveva conosciuto e frequentato nel suo apprendistato la mondana Versailles, Cesare Ignazio non ebbe grandi difficoltà a controllare la fragile figura del cugino sino ad allora tenuto sotto la tutela oculata ma bigotta e spenta della madre, istruito da mediocri istitutori ecclesiastici, sorretto fin da piccolo nella salute precaria da uno stuolo di clinici, tra cui il celebre M. Malpighi.
Il 5 marzo 1674 la duchessa rientrava in Modena; il giorno successivo - alla scadenza del quattordicesimo anno di età - F. si emancipò ufficialmente dalla tutela e "assunse il governo dei suoi stati" (Muratori, p. 594).
A riprova del fatto che fu subito correttamente percepito l'occulto regista dell'operazione, da quell'istante gli atti pubblici di una qualche rilevanza e gli stessi ambasciatori anche ufficialmente fecero capo a Cesare Ignazio, dal 25 dic. 1674 insignito del titolo di "generale in capo", ma in realtà depositario e referente di ogni potere.
La duchessa Laura non tardò a comprendere le estreme conseguenze della nuova situazione e, dopo alcuni tentativi per opporvisi, pose fine al suo disagio allontanandosi definitivamente da Modena nel 1676: nei circa dieci anni che seguirono, sino alla morte sopraggiunta nel 1687, divise la sua vita tra Roma, Bruxelles e soste pie ai santuari di Loreto e Padova. A Modena restava il giovane zio di F., Rinaldo, allora diciannovenne, riflessivo e posato, erede della carriera ecclesiastica del vecchio card. Rinaldo cui era succeduto nel 1670 come titolare dell'abbazia di Nonantola. Già vicino alla Martinozzi, ma soprattutto precocemente attento a costruirsi una carriera prestigiosa e autonoma dalla corte estense, nella nuova configurazione del potere egli puntò al titolo cardinalizio, del resto tradizionale ormai da due secoli in casa d'Este. Dietro la fattiva mobilitazione della corte di Modena a questo scopo è dato vedere certo l'interesse per l'assegnazione di un titolo prestigioso e proficuo agli interessi della casata, ma anche - non inferiore - la volontà di Cesare Ignazio di allontanare, gratificandolo, un pericoloso concorrente politico. Ma la chiave di volta dell'intera operazione era rappresentata da Luigi XIV di Francia, referente tradizionale degli Estensi, per il cui assenso sarebbe dovuto passare anche l'appoggio scontato degli Stuart. A Versailles si era tiepidi: al di là delle generiche dichiarazioni di interesse tese soprattutto a non urtare la suscettibilità della duchessa di York, non si intendeva puntare sulla nomina a cardinale di un giovanissimo e inesperto, nel momento in cui più teso si faceva il conflitto con Clemente X proprio sul terreno delle nomine ecclesiastiche. Le evidenti titubanze francesi spinsero Modena a cercare contatti privati e informali con gli Spagnoli rinverdendo così il gioco altalenante che aveva caratterizzato il periodo di Francesco I d'Este. L'iniziativa diplomatica allora non ebbe seguito e la vicenda si risolse positivamente solo nel 1686, grazie ai buoni uffici di Maria Beatrice, dall'anno precedente regina d'Inghilterra.
Ma la saturazione del rapporto franco-estense doveva emergere a poca distanza da un episodio gravido di ben altre conseguenze politiche, apertosi nel 1678 con la morte senza eredi maschi di Ferrante (III) Gonzaga, duca di Guastalla.
Il piccolo Stato si inseriva strategicamente sulla destra del Po tra Modena e Mantova. L'interesse di entrambi i confinanti era comprensibile e nel caso degli Estensi suffragato dalla parentela della duchessa vedova Margherita, sorella del duca Francesco II. A complicare lo scenario stava anche la ben più delicata successione di Mantova e Monferrato, la cui coppia ducale non aveva eredi. Dietro queste vertenze apparentemente locali si erano ben presto schierate le grandi potenze: l'imperatore appoggiava le pretese di Mantova, le cui truppe già avevano invaso Guastalla; la Spagna stava dietro Vespasiano Gonzaga conte di Paredes, terzo contendente perché fratello del defunto Ferrante (III); Modena, infine, sperava nella Francia.
Si trattava, in realtà, nelle intenzioni di tutti, di mantenere la vertenza a livello diplomatico ben sapendo che un vero intervento armato sarebbe stato improponibile e quasi controproducente. In particolare neppure F. e Cesare Ignazio se la sentivano di chiamare perentoriamente in gioco le armi francesi, inimicandosi così tutti i governi della penisola. Del resto Luigi XIV non andava oltre elusive e generiche espressioni di solidarietà con l'alleato ufficiale estense, mentre trattava concretamente in favore di Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers duca di Mantova, in cambio della cessione della vitale rocca di Casale. L'operazione giunse in porto definitivamente con il trattato sottoscritto l'8 luglio 1681, ma già nel 1678 si era intravista la soluzione che escludeva, quasi beffandoli pubblicamente, gli Estensi. Ma le scelte di politica estera dovevano giocoforza essere estremamente prudenti per i piccoli Stati come Modena, già afflitti all'interno da pesanti situazioni economiche e da finanze che costringevano a grette contabilità anche corte e ambasciatori.
In effetti, imposizioni fiscali su contadini e comunità, istituzioni di nuovi monopoli e dei relativi appalti, vincolismi e protezionismi e persino l'opposizione al privilegio ecclesiastico, non riuscirono neppure ad accennare a una reale riorganizzazione dello Stato verso forme di moderno assolutismo. F., nella sua impotenza, non demeritò particolarmente rispetto ad altre figure estensi di ben diversa nitidezza e intraprendenza. I meriti o, comunque, gli interessi di F. andarono essenzialmente verso la musica, di cui Modena divenne attivo centro diffusore potendo avvalersi dell'opera di autori del livello di A. Stradella e A. Scarlatti, mentre la tanto declamata azione di protettore degli studi e della cultura di tradizione muratoriana va certo ridimensionata. Persino l'istituzione dell'università con provvedimento dell'ottobre del 1683 è da considerarsi come esternazione di una politica di mero prestigio e "riputazione" secentesca dal momento che Modena era una delle pochissime capitali italiane ancora priva di uno Studio.
Fu in questi anni che F. e soprattutto Cesare Ignazio spostarono il Ducato dall'alleanza con la Francia verso gli Asburgo d'Austria.
La crisi si acutizzò quando da Versailles si arrivò persino a dettare i comportamenti graditi in occasioni di etichetta, del tutto irrilevanti politicamente: era il caso della reprimenda ricevuta perché da Modena si intendeva inviare una missione a Madrid in occasione delle nozze di Carlo II di Spagna con Maria Luisa d'Orléans. Ma i rapporti erano divenuti tesissimi nel 1684, quando l'intraprendenza estense totalmente invisa a Parigi - che correttamente la identificava con Cesare Ignazio - riusciva a fare sposare, a dispetto delle ripulse francesi, la principessa Angela Maria Caterina d'Este, sorella proprio di Cesare Ignazio, con il cinquantaseienne principe Emanuele Filiberto di Savoia, erede del Ducato di Carignano, fisicamente minorato.
Le nozze - volute anche da parte sabauda a sottolineare la volontà di uscire dalla stretta tutela imposta dalla Francia - furono celebrate segretamente ma non tanto da sfuggire all'attenzione e alle reazioni di Luigi XIV, la cui volontà, così, veniva patentemente disattesa. Le intimazioni di scioglimento del matrimonio rimasero inattuate, ma il prestigio transalpino offeso dovette essere soddisfatto. Nonostante le resistenze opposte da F., nel giugno 1685 Cesare Ignazio dovette allontanarsi da Modena e ritirarsi a Faenza: è certo che per questa soluzione aveva premuto a lungo sul fratello anche Maria Beatrice, da sempre ostile al favorito cui attribuiva la responsabilità dell'esilio della madre. Data ufficialmente soddisfazione alla Francia, di lì a un anno tutto rientrava nella normalità con il ritorno nel loro ducato dei principi di Carignano e a Modena di Cesare Ignazio, indispensabile al duca per la gestione stessa degli affari pubblici. Ma il caso era stato al centro dell'interesse di tutte le Cancellerie. Soprattutto grande era il risentimento per la prepotenza francese; a Modena, in particolare, sempre più coscientemente si pensava di sottrarsi alla pesante tutela di Versailles. Di lì a poco la scelta sarebbe necessariamente caduta sugli Asburgo che, respinti definitivamente i Turchi, si preparavano a rivolgersi verso Occidente. Inoltre, il generale riassetto dell'equilibrio europeo di fine secolo troverà un'ulteriore giustificazione negli avvenimenti dell'Inghilterra dove, nel 1688, il Parlamento aveva messo fine, deponendo Giacomo II, al Regno degli Stuart e alla loro ottusa politica invisa a tutta la nazione: il nuovo orientamento che ne emergerà sarà nettamente antifrancese.
Da Modena si era guardato a quei lontani avvenimenti con costernazione: dopotutto l'esilio in terra di Francia della sorella significava per F., a parte le implicazioni affettive, anche perdere una potente protettrice che più volte aveva consigliato e sostenuto le decisioni dei suoi familiari in Italia. Si misero in moto tutte le armi diplomatiche possibili, si progettò una crociata di principi cattolici per una improbabile restaurazione, soprattutto si puntò sul pontefice Innocenzo XI servendosi del card. Rinaldo, per la cui nomina Maria Beatrice si era inimicata tutto il clero cattolico inglese. Si ritentò con il successore Alessandro VIII, ma ciò che il papa voleva in quel momento era soprattutto il ridimensionamento dell'odiato Luigi XIV e dei suoi alleati.
Alla fine anche a Modena ci si quietò: la situazione di sempre più netto isolamento della Francia e la posizione imbarazzante degli Estensi induceva a grande cautela e a dichiarare infine la più ligia neutralità. Sarà per questo motivo che F. intimerà allo zio Rinaldo - inimicandoselo definitivamente - di rifiutare l'allettante e lusinghiero titolo di protettore di Francia presso la S. Sede, concesso da Luigi XIV nel tentativo di dare un segnale di grazioso favore. Ma, attorno al 1690, l'Impero ritornava a essere una presenza minacciosa con una Lombardia rigurgitante di armati; nell'ambito familiare poi i fratelli dell'amato Cesare Ignazio erano elemento di inquietudine per Francesco II. A questo quadro, già pesante, si aggiunse un inopinato matrimonio, che il medico curante - allora B. Ramazzini - parve favorire confidando evidentemente nel suo effetto terapeutico, non potendo ormai più molto il solito repertorio della farmacopea più accreditata. Palesemente F. non costituiva un partito prestigioso: si vide perciò rifiutare in successione la prediletta tra le figlie illegittime di Luigi XIV, madamigella di Blois, così come le eredi delle casate di Neuburg, Baviera, Hannover e della Toscana. Dovette ripiegare sulla più domestica e quasi consanguinea Margherita Farnese, figlia di Ranuccio II duca di Parma. Le trattative si chiusero nell'aprile 1690 e il matrimonio fu celebrato il 14 luglio 1692.
Di fatto le condizioni di salute di F. si aggravarono sempre di più: ma non dovettero essere estranee al progressivo peggioramento le pesanti pressioni politiche provenienti a scansioni regolari da Vienna perché contribuisse alle spese di guerra, aggravate dall'onere di mantenimento nel Ducato dei quartieri invernali di alcuni reggimenti imperiali. Quando, il 6 sett. 1694, F. morì a Sassuolo al termine di un anno di crisi gottose sempre più acute, consegnava allo zio Rinaldo - in mancanza di eredi diretti - un Ducato depauperato e ormai nettamente sotto controllo austriaco. Il cardinale fu chiamato così ad abbandonare la carriera ecclesiastica e a perpetuare una ormai esangue dinastia.
Fonti e Bibl.: L.A. Muratori, Delle antichità estensi, II, Modena 1740, p. 594 e passim; E.J. Luin, Repertorio dei libri musicali di… F. II d'E. nell'Archivio di Modena, in LaBibliofilia, XXXVIII (1936), pp. 418-445; G. Beltrami, Il Ducato di Modena tra Francia e Austria, in Atti e mem. della Dep. di storia patria per le antiche prov. modenesi, s. 8, IX (1957), pp. 100-142; M.C. Nannini, Gli Estensi di Modena, Modena 1959, pp. 29-81; Id., Umanità e pietà di un duca di Modena: F. II d'E., Modena 1961; Id., F. II d'E. e L.A. Muratori, in Atti e mem. della Dep. di storia patria per le prov. modenesi, s. 9, II (1962), pp. 213-216; L. Amorth, Modena capitale, Milano 1967, pp. 144-158; G. Chiappini, Gli Estensi, Milano 1967, pp. 423-436; A. Namias, Storia di Modena, Bologna 1987, pp. 402-413; A. Venturi, La reale Galleria estense in Modena, Modena 1989, pp. 279-295; Storia illustrata di Modena, a cura di P. Golinelli - G. Muzzioli, Milano 1990, II, ad Indicem.