GUINIGI, Francesco
Nacque a Lucca da Lazzaro di Bartolomeo di Guinigio, probabilmente intorno agli anni Venti del secolo XIV. Non abbiamo notizie sulla sua formazione giovanile di mercante e sulla sua istruzione (che non dovette essere priva di una qualche ricercatezza).
Il G. compare nelle fonti alla fine degli anni Quaranta: nel 1348 fu designato come esecutore testamentario di Duccio di Nero Guinigi, insieme con lo zio paterno Francesco di Bartolomeo; il 14 maggio dello stesso anno faceva testamento, forse perché colpito dalla peste, e fondava un altare nella chiesa dei Ss. Simone e Giuda, patronato della famiglia. A partire da questi anni, in particolare dal 1350, il G. risulta impegnato nell'incremento della proprietà immobiliare. La sua azione spaziava ampiamente nella città, dove acquistò beni fin dal 1354, quasi sempre guardando alla contrada dei Ss. Simone e Giuda, dove insieme coi fratelli avrebbe edificato il noto palazzo, segno dell'identità familiare. Molti investimenti si collocano nelle zone immediatamente limitrofe alla città e in quelle più lontane del contado.
Dall'analisi di un libro di contratti spettanti al G. e a suo zio, Francesco di Bartolomeo, risulta che i due furono a lungo soci in una compagnia che rispondeva al nome di Società e compagnia de' Guinigi, certamente già attiva a metà degli anni Cinquanta. Capo della consorteria e della compagnia fu fino al 1358, anno della sua morte, Francesco di Bartolomeo; dopo quella data il G. ne ereditò la posizione a tutti gli effetti, divenendo l'edificatore delle fortune mercantili, fondiarie e politiche della famiglia. In epoca successiva gli interessi della compagnia si andarono concentrando su traffici che facevano capo alla Curia romana.
Mentre dispiegava, prevalentemente a Lucca, il grosso della propria attività economica e finanziaria, svolse diversi incarichi pubblici nella sua città natale, all'epoca soggetta al dominio pisano (1342-69): ricoprì la carica di anziano nei bimestri ottobre-novembre 1352, giugno-luglio 1354, probabilmente nel novembre-dicembre 1355, di nuovo nel novembre-dicembre 1358 e, probabilmente, nel novembre-dicembre 1359.
Il suo nome compare una prima volta nelle Croniche di Giovanni Sercambi sotto l'anno 1367, allorché il cronista ricorda come il G., per sfuggire alle pressioni del doge di Pisa Giovanni Dell'Agnello, intenzionato a imporgli un prestito di 6000 fiorini, scelse di allontanarsi da Lucca alla volta di Genova; ne conseguì il sequestro dei suoi beni da parte di Dell'Agnello. Ma la figura politica del G. crebbe d'importanza negli anni immediatamente successivi; partecipò attivamente alla vita pubblica cittadina in coincidenza con la riconquistata libertà dal dominio pisano, ottenuta a suon di fiorini versati all'imperatore Carlo IV di Lussemburgo. In un contesto dominato dalla precarietà e irto di tensioni emerse appunto l'autorevolezza del G. già presente a Lucca nell'aprile del 1369, quando fu inserito in una Balia: fu lui che, convocato il 28 ag. 1369 il Consiglio generale, ottenne l'invio di ambasciatori all'imperatore e a Urbano V per porre un limite ai poteri del vicario di Carlo, Guido di Boulogne, la cui autorità era sentita dai cittadini come eccessiva e opprimente. Anche dopo la partenza del vicario il G. mantenne una posizione di primo piano nell'ambito del governo, ricoprì in diverse occasioni l'anzianato (settembre-ottobre 1369, gennaio-febbraio 1371, marzo-aprile 1372, marzo-aprile 1374) e fu il primo membro della famiglia a ottenere la carica di gonfaloniere nel 1371. Il suo nome figura inoltre assai di frequente tra i componenti e tra gli invitati del Consiglio generale e del Consiglio dei trentasei; tra il 5 agosto e il 15 ott. 1370 prese parte al Consiglio dei diciotto super regimine, organo istituito nel luglio del 1370 per deliberazione del Consiglio generale con il compito specifico di vegliare "super quiete Lucana", rivelatosi di fatto uno dei principali cardini per la difesa e il funzionamento del nuovo assetto politico. Questa straordinaria assiduità nel ricoprire le massime cariche dello Stato non è che un sintomo del grande prestigio di cui la sua figura si ammantò in quel periodo.
Sempre in quel torno di anni notevole fu la sua attività di prestatore a vantaggio del Comune: per esempio, furono assegnate al G., a Simone Boccella e a Bartolomeo Balbani le entrate delle gabelle del vino, dell'olio e del pane del distretto delle Sei Miglia, in corrispettivo di 600 fiorini necessari al pagamento di vari debiti fra i quali 80 fiorini dovuti al podestà Ugolino dei Galluzzi. Approvando una proposta del G., il Consiglio generale autorizzò il 3 ott. 1370 il pagamento di 150 fiorini al podestà, ricorrendo ai denari stanziati per la guerra in Garfagnana e per l'approvvigionamento della città. Nel novembre del 1370 fu eletto tra i cittadini addetti alla riforma degli statuti, ma il suo nome non fu tra quelli dei riconfermati all'incarico allorché si procedette a ricostituire la commissione i cui lavori, a sette mesi dalla nomina, non erano stati ancora avviati.
Il G. svolse anche incarichi di ambasciatore: come capo della fazione dei Guinigi e membro autorevole della compagine di governo infatti egli optò per un collegamento tra Lucca e Firenze. Il 19 ott. 1374 appoggiò in un appassionato intervento - definito "prudens atque elegans" negli atti del Consiglio generale - l'invio di ambasciatori per far lega con Firenze; di lì a poco, il 4 novembre, fu eletto fra i cittadini incaricati di svolgere tale missione.
È nota l'amicizia che legò il G. a Coluccio Salutati, della quale abbiamo testimonianze risalenti proprio a questo periodo, come la lettera stilata da Coluccio il 7 dic. 1374, in cui il cancelliere si rallegrava che l'ambasceria lucchese, della quale faceva parte anche il G., fosse valsa a riaccendere l'antica amicizia tra le due città; la lettera è in sostanza un'esortazione al G., di cui si riconosce tutta l'influenza sul piano locale, a indirizzare la politica cittadina verso l'intesa con Firenze.
Nel novembre dello stesso anno il G. propose al Consiglio generale, che l'accettò, la formazione di una Balia temporanea di dodici cittadini, i Conservatores libertatis, dotata di ampi poteri mai conferiti in precedenza a un'istituzione del genere (la Balia divenne poi permanente e il numero dei componenti passò da dodici a ventiquattro).
Questo atto costituì la vera e propria chiave di volta nello sviluppo della linea politica progettata dal G.: i Conservatori si arrogarono infatti poteri legislativi ed esecutivi sempre più larghi, finendo con il sancire definitivamente la trasformazione delle istituzioni cittadine in senso oligarchico. La forza politica della fazione capeggiata dal G. riposava, oltre che sulla ricchezza, sulla stabilità delle clientele cittadine e anche sulle relazioni intrattenute con uomini del contado, come non mancò di sottolineare Sercambi nella propria cronaca. La rete di rapporti stabiliti dal G. in seno alla vita cittadina è testimoniata anche dalle relazioni intrattenute con le istituzioni caritatevoli: in quello stesso 1374 era consigliere dello spedale della Misericordia, di cui nell'agosto del 1370 era stato deputato alla direzione.
Di pari passo con il prosieguo della sua attività politica (di nuovo degli Anziani nel maggio-giugno 1375, luglio-agosto 1378, luglio-agosto 1380, gennaio-febbraio 1382, marzo-aprile 1383, gonfaloniere nel 1382) si infittirono, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, i rapporti della Curia papale con la compagnia lucchese facente capo al G. e con quella facente capo al cugino Dino di Nicolao, le cui fortune furono parallele e talvolta integrate: grandi vantaggi procurò la crisi delle relazioni tra la Curia e le compagnie fiorentine, intervenuta a causa della guerra degli Otto santi (1375-78): di questa crisi seppero avvantaggiarsi il G. e i suoi soci.
È infatti a partire dal novembre 1376 che la documentazione conserva memoria dell'ottenimento delle collettorie apostoliche in diverse province; ai servizi dei Guinigi si appoggiò Gregorio XI, al momento di ristabilire la propria residenza in Italia. La compagnia risulta in effetti agli inizi degli anni Settanta la più grande e importante tra le lucchesi, disponendo inizialmente di succursali a Pisa, Napoli, Bruges, a cui vennero poi aggiungendosi Genova, Venezia, Roma e Londra. Lo sviluppo della società, pur ancora fiorente, conobbe tuttavia una battuta d'arresto agli inizi degli anni Ottanta: a quanto risulta dall'organico del 1381 alcune filiali erano state chiuse. Ancora nel 1382, tuttavia, potevano approdare a Genova dall'Inghilterra nonché da Bruges e da "Sclusis" quattro navigli carichi di panni di lana per conto del G. e dei suoi soci (Regesti, II, p. 160).
Il 5 maggio 1384 ebbe luogo la divisione dei beni tra il G., il fratello Michele e gli eredi del defunto fratello Nicolao; dalla divisione rimaneva esclusa la proprietà del bel palazzo dei tre figli di Lazzaro, del quale il G., in virtù della primogenitura, aveva occupato il primo piano, mentre il fratello Nicolao aveva abitato il secondo e Michele il terzo.
Interessante risulta l'analisi delle scelte del G. in materia di politica matrimoniale: le alleanze matrimoniali rientravano infatti nell'ambito delle strategie messe a punto dalla famiglia per costruire e consolidare le basi della fazione; la notevole discendenza dei Guinigi (lo stesso G. ebbe cinque figli maschi, Lazzaro, Roberto, Antonio, Bartolomeo, Paolo, e dieci femmine) permise di allacciare numerosi legami fertili di conseguenze sul piano politico. La prima moglie del G. era figlia del conte Guglielmo Guidi di Modigliana; la seconda fu Francesca figlia del giudice Giovanni Sbarra che morì dopo circa un anno di matrimonio (avvenuto probabilmente nel 1359), lasciando il marito amministratore dei propri beni; la terza fu Filippa di Arbore Serpenti, appartenente a una famiglia di vicini e alleati politici dei Guinigi. Pare certo che tutti i figli maschi del G., a eccezione del primogenito Lazzaro, fossero nati dall'unione con Filippa Serpenti.
Il G. morì a Lucca, nel proprio palazzo, il 5 giugno 1384.
Il funerale fu celebrato con grande partecipazione di cittadini e il governo riconobbe le sue eccezionali qualità decretando che due degli Anziani assistessero alla cerimonia in veste ufficiale, privilegio assolutamente straordinario; egli fu ricordato negli atti delle Riformazioni della Repubblica come "non civitatis civis sed pater patrie" (Riformagioni, 9, p. 118). Le sue spoglie furono deposte nella cappella di famiglia, nel chiostro della chiesa di S. Francesco.
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