GUIDOTTI, Francesco
Nacque a Bologna intorno al 1365, terzogenito di Filippo di Gerardino e di Anna di Iacopino Angelelli.
Come la maggior parte dei fratelli venne avviato dal padre all'attività nell'impresa bancaria e mercantile di famiglia, che aveva il suo centro nel grande palazzo in "cappella" di S. Damiano.
La rete di interessi si estendeva peraltro da Venezia all'Europa orientale e nell'ottobre 1389 il G., munito di lettere del Comune di Bologna, partiva per un lungo soggiorno a Cracovia e Breslavia. La nomina del fratello Giacomo nel 1395 a nunzio apostolico e collettore per la Camera apostolica in Polonia trasse motivo con tutta probabilità dalla presenza in loco del Guidotti. Ancora nel 1398 egli faceva parte insieme con il fratello Pietro del seguito della regina Edvige d'Angiò.
L'improvvisa morte del padre il 22 nov. 1398 provocò notevole sconcerto negli affari dell'impresa di famiglia specie per l'anticipo di 18.000 ducati versati pochi giorni prima per conto di Sigismondo di Lussemburgo, re d'Ungheria ai suoi creditori. A nome del padre Filippo aveva agito Bartolomeo, ma i fratelli, proseguendo in comune l'attività paterna, affidarono al G. la cura dell'affare. Giocò certamente in questa scelta il gradimento dello stesso Sigismondo, che con decreto del 26 febbr. 1399 nominò il G. suo familiare. Il 29 nov. 1402 Sigismondo riconosceva ancora l'esistenza di questo debito dichiarandone creditori il G. e il fratello Pietro, ma quale esito abbia avuto l'affare non è possibile conoscere.
Poco dopo il G., lasciate le corti dell'Europa orientale, sembra sia rientrato a Bologna in un periodo di forte incertezza politica.
La signoria viscontea, affermatasi con le armi il 26 giugno 1402, si era conclusa il 3 sett. 1403, quando il legato pontificio, cardinale Baldassarre Cossa, era entrato in Bologna riaffermandovi la diretta sovranità pontificia. Affrontando con spietata decisione oppositori interni ed esterni, il Cossa si garantì il dominio sulla città, fino a convocarvi il conclave che il 17 maggio 1410 lo elesse papa Giovanni XXIII.
Ben poco si conosce della vita del G. in questo periodo. La sua iscrizione insieme coi fratelli nella matricola dei cambiatori del 1410 ne fa presumere un esercizio dell'attività bancaria in comune per la gestione dell'impresa ereditata dal padre. Cronache contemporanee ricordano che nel 1408 e nel 1410 il G., come molti altri eminenti cittadini, fu al seguito del Cossa a Firenze e in Romagna; ma più che da una loro adesione al dominio del cardinale è probabile che la presenza in tale seguito dipendesse dalla volontà del Cossa di mantenere su di loro un diretto controllo.
Significativo è invece il fatto che nel 1411, quando una rivolta popolare provocò il ripristino di un regime di autonomia, il G. assunse il suo primo incarico pubblico, regolatore delle entrate e delle spese della Tesoreria comunale.
Il ritorno nel settembre 1412 di Bologna alla sovranità pontificia portò a misure repressive verso coloro che avevano appoggiato il precedente regime o che potevano comunque costituire una fazione di opposizione. Nell'aprile 1413 il G., accusato di tradimento insieme con i fratelli e altri congiunti, fu condannato al carcere perpetuo, condanna mutata poi nel bando dalla città. Nel gennaio 1416, nel vuoto di potere provocato dalla prolungata sede vacante, l'oligarchia cittadina impose con la forza un mutamento di regime. Cacciato il legato pontificio, restituita autonomia alle magistrature cittadine, gli esuli vennero richiamati. Anche il G. rientrò in città, dove già prendeva corpo il contrasto fra Antonio Bentivoglio e la fazione dei Canetoli che caratterizzò poi i due successivi decenni.
In un primo tempo il G. manifestò simpatie per il Bentivoglio che aveva guidato l'azione conclusasi con il ripristino dell'autonomia e la riammissione degli esuli. Nello stesso 1416, insieme con Gozzadino Gozzadini fautore del Bentivoglio, andò a Venezia, ambasciatore del nuovo regime.
Il 6 ag. 1420, fallito il tentativo di Antonio Bentivoglio di instaurare con le armi una sua signoria, il Consiglio generale del Comune deliberò una nuova dedizione al papa e inviò un'ambasceria a Martino V che si trovava a Firenze. Tra gli ambasciatori vi fu anche il Guidotti. Non era comunque un esponente di spicco della fazione dei Canetoli, al momento prevalente, ma ne era, al più, un fiancheggiatore, prezioso per le vaste relazioni d'affari e la competenza in materia finanziaria.
Soprattutto agli affari sembra infatti che il G. si fosse dedicato da quando era rientrato in Bologna dall'Europa centrale. Proseguendo in comune con i fratelli l'attività paterna, aveva lasciato peraltro poche tracce di sue iniziative particolari: l'acquisto nel 1411 di una casa in cappella di S. Damiano e nel 1419 quello di un'altra casa, nella contigua cappella di S. Andrea degli Ansaldi, pagata 415 lire.
Ancora più scarse sono le notizie sulla sua vita privata. Si conosce il nome della moglie, Margherita, ma se ne ignora il casato e la data del matrimonio. Ne nacque, sembra, solo una figlia, Elena, che andò sposa a Ludovico da Canzano. Il G. ebbe anche un figlio naturale, Albino, natogli probabilmente da una sua schiava e cresciuto nel palazzo di famiglia accanto ai cugini e ai parenti. In questo contesto l'elemento più sicuro resta quello dello stretto legame mantenuto con i fratelli, che si espresse nella comune abitazione nel palazzo paterno, ampliato e arricchito da ulteriori acquisti, nella sostanziale coesione del gruppo familiare, destinatario pressoché esclusivo delle disposizioni testamentarie dei vari fratelli, e nella comunione dei beni ereditati dal padre prolungatasi a lungo. La divisione dell'eredità, sancita da un accordo del 18 marzo 1424, attribuì al G. una quota di beni valutata 2750 lire e costituita in gran parte, sembra, dalle proprietà terriere intorno a Budrio. Ma della sua successiva gestione di tali beni restano ben poche testimonianze.
Documentato è invece il suo progressivo coinvolgimento in posizioni di responsabilità nel governo della città con l'affermazione della fazione dei Canetoli. Nell'agosto 1428 fece parte del Collegio dei riformatori dello Stato di libertà, nominati di fatto dai Canetoli, allora al potere e in aperto contrasto con il legato pontificio. Nello stesso mese fu commissario al campo nell'esercito di Luigi Sanseverino, al soldo di Bologna, impegnato nell'assedio di Castel San Pietro, che aveva rifiutato di adeguarsi alla politica dei Canetoli. Nell'agosto 1429, confermato dei Riformatori, fu tra gli ambasciatori che, dopo ripetuti scontri tra le milizie pontificie e quelle assoldate dalla città, negoziarono con il legato un accordo che fu approvato dal papa.
Nel marzo 1431, scomparso Martino V, gli succedette Eugenio IV, il veneziano Gabriele Condulmer. L'oligarchia cittadina, sotto l'influenza dei Canetoli in amichevole relazione con il Condulmer da quando nel 1420 era stato legato pontificio in Bologna, avviò subito un'azione diplomatica per ottenere dal nuovo papa un miglioramento del rapporto tra la città e la S. Sede. Il 12 marzo Galeotto Canetoli si diresse a Roma, precedendo l'invio della missione ufficiale, la cui composizione fu decisa il 19 marzo seguente. Di essa facevano parte il Canetoli, il G. e altri cinque esponenti delle prime famiglie cittadine. Il 22 marzo essi chiesero a Giovanni Bosco, commissario nell'esercito pontificio accampato a San Giovanni in Persiceto, il lasciapassare per Roma, ma egli pretese di ricevere preventivamente un formale atto di incondizionata dedizione della città alla S. Sede. Ne ebbe un rifiuto. Nei trenta giorni successivi un fitto intreccio di comunicazioni tra Bologna e Roma consentì di pervenire a un primo accordo, sottoscritto a Roma da Galeotto Canetoli a nome della città, che pur riconoscendo l'autorità pontificia ne attenuava in parte i termini. Ne seguì l'ingresso in Bologna dei rappresentanti pontifici, tra i quali Giovanni Bosco, nominato nuovo governatore, accolto e onorato alla certosa dal G. a nome della città. Il 14 maggio il G. e gli altri ambasciatori partirono per Roma. Al rientro, ai primi di settembre, accompagnati dal nuovo governatore pontificio, Fantino Dandolo, recarono il testo dei nuovi accordi raggiunti con il papa.
In base a essi Eugenio IV aveva scelto venti cittadini con l'incarico di designare i componenti degli organi di autogoverno della città, ma ponendoli di fatto in sostituzione del Collegio dei riformatori. Tra i venti scelti dal papa vi fu anche il G., in rappresentanza del quartiere di Porta Procula, e in tale incarico fu confermato anche l'anno seguente.
Nel novembre 1435, in un contesto politico molto diverso, il G. fu ancora inviato ambasciatore al papa.
Il 10 agosto precedente, la guerra di Firenze, Venezia e il papa contro Filippo Maria Visconti si era conclusa con un trattato, stipulato a Firenze, che prevedeva tra l'altro l'abbandono da parte del Visconti di ogni pretesa su Bologna. La città che, dominata dai Canetoli, si era da ultimo sempre più accostata al duca di Milano, venne avvertita che doveva provvedere ad accordarsi con il papa. L'accordo fu raggiunto il 27 settembre e il 6 ottobre il nuovo governatore, Daniele da Treviso, vescovo di Concordia, entrò in Bologna. Fu subito chiara la sua intenzione di imporvi un ferreo controllo. Le milizie che Battista Canetoli teneva al suo comando furono sostituite dalla compagnia di Francesco Sforza agli ordini del governatore. E mentre molti dei Canetoli e dei loro sostenitori lasciavano Bologna, il governo della città decise l'invio di cinque ambasciatori al papa, da tempo in Firenze, per pregarlo di venire a Bologna. A questi ambasciatori il governatore pontificio ne aggiunse altri tre: il G., Giovanni Isolani e Carlo da Saliceto. Eugenio IV mostrò di gradire l'invito, ma il suo arrivo a Bologna, inizialmente previsto per il febbraio successivo, slittò di due anni.
Nel 1438, quando le milizie di Niccolò Piccinino occuparono Bologna nel nome di Filippo Maria Visconti, il G. sostenne il suo ultimo incarico pubblico, riformatore dello Studio, un incarico prestigioso, ma di scarso rilievo politico.
Morì a Bologna 14 apr. 1442, lasciando solo la parte iniziale di un testamento olografo.
Dei legati in esso disposti principale beneficiario era il figlio naturale Albino. Ma il testamento stabiliva che, alla morte di Albino, i beni assegnatigli - la quarta parte del palazzo e due case in città; terre, fornaci e un'osteria a Idice - dovevano pervenire ai discendenti legittimi di Pietro e Bartolomeo, fratelli del Guidotti.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Capitano del Popolo, Libri matricularum, reg. 4, c. 180; Notarile, Pietro Bruni, filza 8, n. 51; Bologna, Fondazione Guidotti Magnani, Archivio Guidotti, Instrumenti, bb. 19, nn. 49-51; 20, nn. 9, 42; 21, nn. 7, 9, 18, 47, 48, 57; 22, nn. 6-7, 10-11, 16, 19, 42, 44; Ricordi di Giovanni Guidotti, c. 58v; Ibid., Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Gozzadini, b. 74, f. 19; Manoscritti, B.456; B.698/2°, c. 64; Ibid., Biblioteca universitaria, Manoscritti, 720; 788; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 1, vol. III, ad ind.; M. de Griffonibus, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., XVIII, 2, ad ind.; P. Zambeccari, Epistolario, a cura di L. Frati, Roma 1929, p. 95; G.N. Pasquali Alidosi, Li confalonieri di giustizia…, Bologna 1616, p. 9; C. Ghirardacci, Historia di vari successi d'Italia e particolarmente della città di Bologna, Bologna 1669, p. 636; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna…, Bologna 1670, p. 423; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, IV, Bologna 1872, p. 335; Id., I riformatori dello Stato di libertà della città di Bologna dal 1394 al 1797, I, Bologna 1876, pp. 31, 50; C. Ghirardacci, Historia di Bologna, III, a cura di A. Sorbelli, Bologna 1933, ad ind.; Gli uffici economici e finanziari del Comune dal XII al XV secolo. Inventario, a cura di G. Orlandelli, Roma 1954, ad ind.; C. Piana, Nuove ricerche su le Università di Bologna e di Parma, Quaracchi 1966, p. 154; L'Archivio dei Riformatori dello Studio. Inventario, a cura di C. Salterini, Bologna 1997, pp. 230, 318.