GUIDI, Francesco
Unico figlio maschio di Roberto (Roberto Novello) di Carlo, conte di Battifolle, e della sua seconda moglie Margherita di Arcolano Buzzacarini da Padova, sposata nel 1381, nacque presumibilmente nel castello di Poppi, nell'Aretino, fra il 1382 e il 1387, dato che nel 1404 non era considerato ancora maggiorenne.
Con il suo testamento il padre - morto il 26 luglio 1400 - lo aveva posto sotto la tutela del Comune di Firenze per cercare di preservargli i possessi signorili che rischiavano di essere persi a causa del tradimento ch'egli aveva compiuto passando dalla parte dei Visconti. Probabilmente proprio tale testamento spinse la classe dirigente fiorentina a perdonare la ribellione paterna e ad assumere correttamente la tutela del giovane Guidi. Nell'ottobre di quell'anno era pertanto a Poppi come commissario fiorentino uno fra i principali politici del momento, Maso Albizzi, anche perché Paolo di Cristofano Giraldi, ex amministratore del conte Roberto, coinvolto in una trama organizzata da esuli fiorentini, aveva rivelato che il progetto mirava anche ai territori del G. dietro istigazione dei signori di Pietramala, a loro volta sostenuti da Gian Galeazzo Visconti. Nel novembre Maso, avendo appurato che non c'erano rischi e disposte le truppe fiorentine in Casentino, tornò a Firenze, sebbene lo stato di guerra con i Visconti fece sì che fino al 1402 fossero inviati presso il G. a Poppi altri commissari fiorentini.
Da tale anno, con la fine in autunno della minaccia viscontea, il G. poté probabilmente cominciare a esercitare le sue prerogative signorili, nonostante il controllo del governo fiorentino fosse ancora stretto. Nel giugno 1404, infatti, la Signoria fiorentina deliberò di intervenire nella controversia che opponeva il G. a Elisabetta Guidi, figlia del conte Roberto da Battifolle; questa, alla morte del padre del G., aveva fatto pressioni a Firenze per riprendersi Castel Castagnaio, già reclamato ai tempi di Roberto Novello, oltre che rivendicare il possesso già in atto del castello di Borgo alla Collina. In ottobre i Signori decisero che Castel Castagnaio rimanesse al G. purché questi versasse ogni anno 250 fiorini a Elisabetta.
Ancora nel febbraio 1405 non erano però terminate le offese fra gli uomini della contessa e del G.; a quel punto Firenze impose perentoriamente a quest'ultimo di far cessare ogni molestia contro gli uomini della contessa e di inviare un messo a Firenze per stipulare un accordo: "Non dichiamo di più. Ma fa' sì che non paia tu sia fanciullo ma huomo et che tu intenda seguitare, come buono figliuolo, ogni nostra deliberatione, che non fieno mai se non tuo bene, honore et stato" (Arch. di Stato di Firenze, Signori, Legazioni e commissarie, 3, cc. 58v-59r).
Nello stesso 1404, comunque, la Signoria aveva lasciato che in Romagna gli uomini del conte prendessero i villaggi di Strabatenza e Radiracoli ai conti Guidi di Bagno, nonostante la gran parte dei residui possessi di detti conti venisse riscattata proprio da Firenze. Giunto presumibilmente nel 1405 alla maggiore età, in ottobre il G. si sposò con Maddalena, figlia di Luchino Novello Visconti e della fiorentina Maddalena di Carlo Strozzi.
Come accomandato del Comune di Firenze il G. fornì nel 1406 propri uomini all'esercito impegnato alla conquista di Pisa ma ben presto, secondo quanto prevedeva implicitamente il suo status, lui stesso si dedicò attivamente alla carriera delle armi. Con molta probabilità, infatti, di là dall'essere inserito quale alleato fiorentino nei vari trattati, prese personalmente parte alla guerra di Firenze contro Ladislao d'Angiò Durazzo nel 1409-11 e nel 1414, ed è possibile che in tali campagne sia entrato in rapporto con la compagnia di Braccio da Montone (Andrea Fortebracci). Si distinse, inoltre, anche nelle giostre fatte a Venezia nel 1415 e in quelle allestite a Firenze nel 1419 per onorare la presenza in città di papa Martino V.
In quegli anni il G. consolidava anche i propri rapporti con alcune delle principali famiglie fiorentine (Albizzi, Strozzi, Guicciardini, Bordoni), rafforzando legami già intrecciati dal padre. Il G., fra l'altro, possedeva in Firenze anche una casa nell'odierno borgo degli Albizzi e una torre nella zona in cui ora sorge il palazzo Strozzi.
La sua rimaneva, in sostanza, una posizione di dipendenza nei confronti del Comune di Firenze: quando, nel maggio 1421, alcuni uomini del castello di Moncione uccisero il giovane Guido Guerra di Battifolle, di un altro ramo del casato, il G. intervenne con suoi uomini per punire gli omicidi e per rivendicare a sé i possessi in quanto unico parente del giovane, ma il vicario fiorentino di San Giovanni Valdarno inviò anch'egli proprie truppe ad assediare il castello e i colpevoli preferirono consegnarsi a lui, che prese poi possesso dei castelli di Moncione e di Barbischio nonostante le rivendicazioni del Guidi. Il G. era sempre sotto l'occhio vigile di Firenze: nel maggio 1424 Rinaldo Albizzi, che per sfuggire la peste villeggiava a Pratovecchio, fu incaricato dai Dieci di balia di appurare se il conte desse rifugio a uno sbandito. Proprio nello stesso periodo venne anche chiamato dal Comune a partecipare con 300 fanti all'esercito messo in piedi contro Filippo Maria Visconti. Non sappiamo se fu in Romagna - ov'era dislocata la maggior parte delle truppe - e se abbia quindi partecipato alla disastrosa rotta di Zagonara, subita a fine luglio dai Fiorentini; sicuramente in settembre era con i suoi uomini a Pisa, quando la moglie Maddalena ne sollecitò il ritorno scrivendo ai Dieci di balia, poiché il conte Ranuccio di Marsciano con 2000 cavalieri viscontei si apprestava ad assalire il Casentino.
Respinta tale minaccia, è possibile che il G. sia poi tornato a condurre i propri fanti fra le truppe assoldate da Firenze, entrando in rapporto con Niccolò Piccinino che - con la propria compagnia, fra l'ottobre del 1424 e quello successivo - costituì il nerbo delle milizie fiorentine. Tuttavia, non passò certamente, insieme col Piccinino, dalla parte dei Visconti (ottobre 1425), e fu quindi compreso fra gli alleati di Firenze negli accordi di pace cui si giunse nel maggio del 1428. L'anno seguente con i suoi uomini fece parte delle truppe messe insieme dai commissari Rinaldo Albizzi e Palla Strozzi per reprimere la ribellione di Volterra e in tale occasione ebbe modo di consolidare i rapporti con Niccolò della Stella, figlio di una sorella di Braccio da Montone ed erede, come il Piccinino, di parte della sua compagnia. Non sappiamo invece se prese parte anche alla successiva campagna contro Lucca.
In quegli anni si era mantenuta viva, a dispetto delle disposizioni fiorentine, la serie di violenze fra gli uomini del G. e quelli della contessa Elisabetta a Borgo alla Collina; nel 1432 il G. assalì tale castello prendendo numerosi prigionieri, con il pretesto di un accordo fra la contessa e Gherardo Gambacorta - cui Firenze aveva dato la signoria su Bagno di Romagna - per assalire Poppi. Il governo fiorentino subito gli intimò di rilasciare i prigionieri presi e di porre fine in via definitiva alle questioni che lo opponevano all'abate di S. Fedele di Poppi. Tale controversia risaliva addirittura al 1410, quando il G. aveva fatto cacciare l'abate, il romano don Iacopo; tuttavia il sostituto da lui imposto non aveva potuto prendere appieno il governo e nel 1419 era stato destituito per indegnità dal priore generale dell'Ordine vallombrosano. L'anno seguente il G. scrisse a papa Martino V, lamentando la situazione in cui versavano le chiese casentinesi, ma per tutta risposta si vide rinviare nuovamente in Casentino don Iacopo, sia come abate di Poppi, sia come commissario apostolico. I contrasti fra i due non potevano che acuirsi e si giunse così al 1433, quando l'abate scrisse a Eugenio IV, lamentandosi che il G. lo aveva molestato nei beni dell'abbazia, nonché personalmente. Il papa aveva appunto fatto pressioni per un intervento della Signoria fiorentina.
In quel periodo il G. si era accostato a Niccolò della Stella che andava ritagliandosi un proprio dominio personale nello Stato della Chiesa; per di più con lui si imparentò dandogli in moglie, nell'ottobre del 1434, la figlia Ludovica. Caduto politicamente ed esiliato da Firenze Rinaldo Albizzi, il G. strinse rapporti di clientela politica con Cosimo de' Medici anche perché doveva smentire le voci che circolavano a Firenze in merito al fatto che Rinaldo e gli altri esiliati avrebbero potuto far conto su di lui e i suoi uomini per un colpo di mano in città. A Cosimo il G. scriveva nel febbraio del 1435, facendo riferimento a una visita a lui fatta da Luca di Maso Albizzi e Piero di Luigi Guicciardini, per discutere della sua posizione, e al maldestro comportamento dei commissari preposti all'esercito fiorentino accampato in Casentino. Quindi, nel maggio, si fece mediatore fra Niccolò della Stella, che si trovava ad Assisi in guerra contro Francesco Sforza, e Piero Guicciardini, Niccolò Valori e Cosimo de' Medici per far ottenere a Niccolò un appoggio politico da parte dei Fiorentini: ma il favore di Cosimo era da tempo rivolto a Francesco Sforza e non se ne venne a niente. Nonostante ciò il G. scriveva in luglio a Cosimo dichiarandosi felice della proposta, poi non concretizzatasi, di dare in moglie al figlio di questo, Piero, una sua figlia. In agosto Niccolò della Stella moriva in seguito a una ferita riportata in battaglia contro Francesco Sforza; il G. in quel momento teneva Sansepolcro per conto di Niccolò e, con la sua morte, prese il controllo del centro con il pretesto di dover garantire la restituzione della dote della figlia. Quindi inviò un suo messo a Firenze proponendo ai personaggi più influenti della politica fiorentina di cedere Sansepolcro a Firenze, che tuttavia non intendeva in quel momento inimicarsi Eugenio IV (il quale, oltretutto, risiedeva in città): pertanto tale proposta fu rifiutata, così come fu sconsigliato al conte di tenersi Sansepolcro.
Il G. cercò allora, tramite gli stessi esponenti politici fiorentini, una mediazione con il papa: questi, però, si mostrò intransigente nel voler riappropriarsi di un centro che apparteneva allo Stato della Chiesa; Cosimo de' Medici e gli altri, pertanto, fecero sapere al G. che non avrebbero potuto difenderlo se il pontefice avesse inviato proprie truppe per riavere la cittadina. Poiché il G. tentò comunque di resistere, Eugenio IV gli inviò contro Giovanni Vitelleschi che, con circa duemila cavalieri, si portò in Casentino dove, invece di porsi all'assedio di Poppi ben difeso, prese Pratovecchio e altri centri minori. Tali prede furono offerte dal Vitelleschi al Comune fiorentino, con l'intento di ottenerne l'appoggio. Questo rifiutò inizialmente tale proposta ma successivamente accettò di prendere i castelli, allorquando Cosimo de' Medici e Neri Capponi riuscirono a ottenere da Eugenio IV di poterli restituire in seguito al Guidi. Ritiratosi il Vitelleschi, Sansepolcro tornò subito nelle mani del papa, mentre per i castelli del conte dovettero passare più di due anni, dato che erano stati inseriti nel territorio fiorentino e furono necessarie votazioni dei Consigli e manovre politiche perché infine il conte potesse riaverli.
Il G. fu quindi costretto ad andare a Firenze, nel giugno 1439, con i tre figli maschi - Carlo, Roberto e Luchino - per perorare la sua causa e rinnovare solennemente la sua accomandigia al Comune, impegnandosi anche a non dare asilo ad alcuno fra gli esiliati del 1434. Non è da escludere, infatti, che il conte avesse mantenuto rapporti con loro, soprattutto con Rinaldo Albizzi: questi, infatti, in vista di una incursione in Toscana da compiere insieme con le milizie viscontee condotte da Niccolò Piccinino, pensava di poter contare, fra gli altri, proprio sull'appoggio del Guidi. Non sembravano in ogni caso essersi raffreddati i rapporti con Cosimo de' Medici: nel luglio di quell'anno il G. gli scriveva sia per raccomandargli persone, sia per aiutarlo a sbrogliare una questione a Sansepolcro per la quale sosteneva di avere l'uomo giusto. Nel gennaio e nel febbraio 1440 aveva ancora uno scambio di lettere amichevoli con Cosimo e con suo fratello Lorenzo; intanto, con la prospettiva di un'offensiva viscontea, il G. aveva inoltre avuto il titolo di commissario in Casentino con rinforzi in uomini e armi. In aprile Niccolò Piccinino era giunto in Mugello e faceva scorrerie spingendosi fino alle vicinanze di Firenze, ma le speranze di Rinaldo Albizzi e degli altri fuorusciti di una rivolta in città andarono deluse. Il G. era probabilmente in una situazione di incertezza: da un lato scrisse a Niccolò Piccinino invitandolo a passare in Casentino dove l'avrebbe accolto; dall'altro il 18 aprile scriveva ai Dieci di balia e a Cosimo fornendo indicazioni sul procedere delle truppe nemiche, chiedendo aiuti per la difesa e indicando le vie migliori per condurre rinforzi. Mentre il Piccinino passava appunto in Casentino, il figlio del G. Luchino tentò di far tornare il padre sui suoi passi, ma il conte, pur dubitando come suo figlio della caduta di Firenze - forse per le promesse e i legami con i fuorusciti, forse per un rancore che covava, forse temendo le mire sui suoi territori -, decise di schierarsi apertamente con Niccolò Piccinino. Questi, dopo aver espugnato vari centri del Casentino, si spostò in Val Tiberina, mentre il G. rimasto da solo condusse alcune scorrerie nel Valdarno superiore. L'esercito raccolto da Firenze si portò incontro alle truppe del Piccinino e questi, già richiamato da Filippo Maria Visconti in Lombardia, cercò uno scontro risolutore: la battaglia si svolse il 29 giugno ad Anghiari e si concluse con la vittoria fiorentina. Niccolò Piccinino riprese allora la strada verso la Romagna e il G. si trovò esposto alla rivalsa di Firenze. Neri Capponi e Alessandro degli Alessandri con parte dell'esercito, infatti, entrarono in Casentino, presero Rassina, Bibbiena, Romena e Pratovecchio, quindi posero l'assedio a Poppi. Il G. chiese di poter trattare sperando in un atteggiamento amichevole, per riguardo almeno alla sua casata, ma Neri Capponi pretese che rinunciasse in favore di Firenze a tutti i suoi territori. Il conte, pur sdegnato e adirato e tuttavia non avendo via d'uscita, il 29 luglio fu costretto a capitolare.
Il G. si recò quindi a Bologna con la famiglia presso Annibale Bentivoglio, signore della città, cui era legato da rapporti di amicizia. Nel 1445, dopo l'uccisione dello stesso Bentivoglio, il G. ebbe l'occasione di giocare ancora un ruolo significativo: segnalò infatti ai maggiorenti della città l'esistenza di un presunto figlio illegittimo di Ercole di Giovanni Bentivoglio, avuto dalla moglie di Agnolo da Cascese (appartenente a una famiglia fedele al conte), Sante da Cascese, nato a Poppi quando Ercole vi era stato venti anni prima. Furono dunque inviati messi a Firenze dove Sante viveva e, con l'approvazione e l'appoggio interessato di Cosimo de' Medici e Neri Capponi, Sante divenne il nuovo signore di Bologna.
Alcuni anni dopo, ma non sappiamo quando, proprio in Bologna il G. morì senza lasciare ai figli niente, ormai, dell'antica potenza del casato.
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