GRIFONI, Francesco
Nacque nel 1337 circa (denuncia "novanta anni e più" nella portata al Catasto del 1427) da ser Ugolino di Genesio, notaio, e da Lisa Borromei, a San Miniato, tra Firenze e Pisa.
La famiglia Grifoni, tradizionalmente dedita alle professioni legali, cui doveva le sue fortune economiche e la sua preminenza politica, era una delle più eminenti di San Miniato, come dimostra, tra le altre cose, la casa di abitazione, posta nel terziere di Castelvecchio, che in realtà era un vero e proprio palazzo, dotato di una loggia antistante, detta "la loggia de' Grifoni".
Il G. ebbe almeno tre fratelli, di cui due, Michele e Giovanni, si dedicarono alla vita religiosa, mentre il terzo, Benedetto, si laureò in utroque iure e intraprese la carriera di giusdicente in vari Comuni dell'Italia centrale (Prato, Modigliana, Città di Castello); ebbe anche una sorella, di nome Bartolomea.
San Miniato era a quell'epoca un libero Comune, agitato dalle lotte di fazione tra guelfi e ghibellini e se questi ultimi traevano forza e nuovo spirito di iniziativa dalle periodiche discese in Italia degli imperatori, i primi trovavano il loro naturale punto di appoggio nel vicino e potente Comune guelfo di Firenze, tanto che nei periodi di loro preponderanza la città si trasformava in una sorta di protettorato di Firenze, che, tra le altre cose, imponeva propri cittadini per il ruolo di giusdicente. Era pertanto naturale che il Comune di Firenze cercasse di mantenersi il favore dei guelfi sanminiatesi con privilegi, esenzioni e facilitazioni di vario genere, soprattutto nei periodi in cui la prevalenza della fazione avversa aveva su di loro pesanti ripercussioni.
Il G., che apparteneva a una delle famiglie più in vista della fazione guelfa, ebbe pertanto a beneficiare di questa politica: il 1° sett. 1365, in un periodo in cui la Toscana centrale era agitata dalle lotte tra i Comuni di Firenze, Pisa e Lucca, fomentate, oltre che dalle tradizionali rivalità, dall'espansionismo visconteo ed era teatro di incessanti passaggi di truppe, che desolavano le campagne e rendevano infide le strade, il Comune fiorentino concesse licenza ad alcuni guelfi sanminiatesi, tra cui il G., di portare le armi anche entro i confini del suo territorio. Il 27 luglio 1367 il G. e il fratello Benedetto ottennero, su loro richiesta, di essere ammessi alla cittadinanza fiorentina; nella petizione da loro presentata alla Signoria di Firenze si sottolineava il fatto che i richiedenti erano da sempre veri e leali guelfi e devoti servitori della Repubblica fiorentina e che erano pronti a trasferirsi stabilmente nella città e a sottostare al regime fiscale vigente. La loro istanza fu accolta dai Consigli a grande maggioranza, sia pure con il divieto per trent'anni di accedere alle cariche maggiori del Comune di Firenze.
Nonostante questa clausola, del resto comune anche a chi richiedeva l'ammissione alla cittadinanza provenendo dallo stesso contado di Firenze, tale concessione appare ottenuta in condizioni privilegiate: non solo il G. e il fratello ottennero di non essere tassati per i beni che possedevano a San Miniato, ma si sorvolò anche sul possesso di una residenza in città che, a norma di statuti, doveva essere una pregiudiziale per richiedere la cittadinanza, ma che i Grifoni sembra non abbiano mai avuto, né prima né dopo il 1367.
Quando poi Firenze, traendo spunto da ennesimi disordini e lotte armate scoppiati a San Miniato, la sottomise definitivamente, il G., che del Comune di Firenze era uno dei più leali sostenitori, presenziò, insieme con altri esponenti della fazione guelfa, alla stipula della relativa capitolazione, in data 18 febbr. 1370. In questo stesso anno si instaurò a Pisa il governo di Pietro Gambacorta, capo della fazione dei bergolini, che fu acclamato capitano generale del Comune pisano e che inaugurò una politica nettamente filofiorentina. Il G. divenne stretto e assiduo collaboratore, almeno a partire dagli anni Ottanta, di questo regime, che andava nello stesso senso delle sue convinzioni e della sua militanza politica. Il G. - che aveva finalizzato la sua formazione culturale all'esercizio del notariato e che aveva anche, per qualche tempo, esercitato in San Miniato la professione - fu impiegato nel governo gambacortiano con varie mansioni sia politiche, sia militari, nessuna delle quali aveva però a che fare con il notariato.
Le notizie sui vari incarichi portati a termine dal G. per il Comune pisano negli anni del governo di Gambacorta sono piuttosto frammentarie, ma il fatto che alla caduta di questo regime (21 ott. 1392) il G. non sia stato in grado di precisare l'ammontare dei suoi crediti, a titolo di stipendio, nei confronti del Comune di Pisa induce a pensare che la sua collaborazione con Gambacorta sia stata abbastanza continuativa, sia pure nella diversità degli incarichi di volta in volta a lui affidati.
In quest'ambito abbiamo le seguenti notizie: nel novembre 1381 fu inviato a Firenze, come rappresentante di Gambacorta, per guidare il contingente di cavalleria che i Fiorentini avevano richiesto ai loro alleati, tra cui, appunto, il Comune di Pisa, in occasione dell'ennesimo passaggio dal loro territorio di truppe mercenarie che sembravano intenzionate a rivolgersi contro la loro città. Al 15 ott. 1384 risale l'elezione del G. a ufficiale "degli sbanditi di Pisa e massime del Valdarno" (Arch. di Stato di Firenze, Archivio Grifoni, 217, c. 11v), incarico destinato a durare sei mesi e diretto, come il titolo lascia intuire, alla salvaguardia dell'ordine pubblico e alla cattura dei fuorusciti politici del Comune di Pisa che potessero aver trovato riparo nelle campagne del medio Valdarno. Il 16 giugno 1386 fu inviato ambasciatore del Comune di Pisa a papa Urbano VI, che si trovava allora a Lucca, e ai cardinali di S. Prassede e di S. Marcello.
Si ignorano i contenuti di questa ambasceria, in quanto nella lettera credenziale si accenna soltanto al fatto di considerare il G. come portavoce fedele delle intenzioni del Comune di Pisa; si può solo supporre che riguardasse il prestito di 10.000 fiorini a favore del papa poco prima deliberato dagli organi del Comune pisano e l'invito da questi rivolto allo stesso pontefice a recarsi nella loro città, invito che però non fu accolto.
Intanto a Pisa, di pari passo con l'opposizione interna al regime di Gambacorta, andava diffondendosi anche un più generale sentimento di ostilità contro i Fiorentini, che dalla città era dilagato anche nel contado pisano, fomentato dagli esponenti della fazione dei raspanti, nonché da agenti viscontei. In questo clima maturò una vera e propria aggressione contro due oratori fiorentini che, di ritorno da una missione a Pisa, si erano fermati a Peccioli, località a poche decine di chilometri di distanza, per pernottare in una locanda. Durante la notte la locanda era stata circondata da una moltitudine di abitanti del luogo che non si erano limitati a inveire contro i rappresentanti del Comune di Firenze, ma avevano anche tentato di appiccare il fuoco all'albergo. I due oratori si sarebbero trovati in una situazione di estremo pericolo se in loro difesa non fossero intervenuti tempestivamente il G. e un certo Gherardo di Buonconte. Non risulta chiaro dalle fonti quale fosse il ruolo esercitato dal G. e dal suo compagno nel castello di Peccioli. Nella lettera di protesta inviata in data 1° genn. 1388 dalla Signoria di Firenze al Comune pisano, in conseguenza di questi avvenimenti, essi vengono detti "pro vobis milites ibidem constituti" (ibid., 231, c. 93), ma si può ipotizzare che si trattasse di funzioni di pattugliamento del territorio a salvaguardia dell'ordine pubblico, simili a quelle esplicate nel Valdarno qualche anno prima.
Il 1° genn. 1391 il G. fu eletto per la seconda volta ufficiale per i banditi del Valdarno, carica destinata a durare un anno; infine il 21 apr. 1392 fu ingaggiato per sei mesi come provvisionato, con l'onere di mantenere a disposizione del Comune di Pisa "tre cavalcatori, un paggio, quattro cavalli ed un ronzino" (ibid., 217, c. 11v). Fu questo l'ultimo degli incarichi espletati dal G. per conto del governo gambacortiano; lo scadere del suo mandato coincise infatti con il rivolgimento che provocò in Pisa la fine di questo regime, l'eliminazione fisica di Pietro Gambacorta e di due dei suoi figli e la sostituzione dei principali collaboratori.
Il G. si rivolse allora a Firenze, ove fino dal 1380 aveva ottenuto l'iscrizione all'arte dei giudici e notai, il che gli consentiva l'accesso alle cariche pubbliche di tipo amministrativo, riservate appunto a questa categoria professionale: dal 1° ag. 1399 fu per due mesi uno dei notai custodi degli Atti della Camera del Comune; dal 3 giugno 1405 fu per un anno notaio dei Contratti di Arezzo; dal 1° giugno 1410 fu per un anno notaio dello Specchio, con il compito di annotare i debitori morosi al pagamento delle imposte; dal 1° ott. 1411 fu per due mesi notaio delle Entrate della Camera del Comune. Nell'ambito dell'assetto istituzionale fiorentino rivestì anche incarichi di giusdicente in diverse località del dominio: dal 23 dic. 1399 fu per sei mesi podestà di Subbiano; dal 23 apr. 1402 fu, sempre per sei mesi, podestà di Carmignano, infine dall'11 apr. 1404 fu, per lo stesso periodo, podestà di Foiano.
A Firenze poteva contare, oltre che sulla gratitudine del ceto dirigente (di cui era stato leale sostenitore, prima come rappresentante del partito guelfo di San Miniato, poi come collaboratore del regime filofiorentino di Gambacorta a Pisa), sull'amicizia di Coluccio Salutati.
Non si sa per quali vie i due uomini siano entrati in rapporto, ma è probabile che Salutati, che nel periodo precedente alla sua assunzione come cancelliere fiorentino aveva rivestito vari incarichi di cancelliere o assessore alle corti di giustizia in varie località della Toscana, abbia soggiornato per qualche tempo a San Miniato. L'unico fatto certo è che il loro rapporto di amicizia risale a prima del 1389, quando il G. era ancora impegnato con il Comune di Pisa: al 9 novembre di quell'anno risale infatti una lettera del cancelliere fiorentino a Pellegrino Zambeccari, cancelliere del Comune di Bologna in cui, tra l'altro, gli chiedeva di favorire la candidatura del G. per l'incarico di capitano della Montagna di Bologna, che evidentemente doveva essere assegnato in quel periodo; al 14 novembre dello stesso anno risale la risposta dello Zambeccari che assicura al Salutati tutto il suo impegno per favorire il G., ma sembra che alla fine l'incarico sia andato ad altra persona.
Al 1° ag. 1397 risale invece un'altra lettera di Salutati indirizzata direttamente al G., in occasione della morte del fratello Benedetto, evidentemente, a sua volta, ben conosciuto da Salutati. Si tratta di un'epistola di tono molto alto che, benché motivata da un'occasione luttuosa e da intenti consolatori, non rinuncia a una lunga digressione di argomento biblico. Nonostante l'uso della lingua latina e il tono alto ed eloquente, traspare un vero sentimento di affettuosa partecipazione all'evento luttuoso e un legame non superficiale né recente con il G., che viene appellato "dulcissime frater". L'epistola esordisce infatti con un accenno alle recenti sventure familiari che hanno colpito il G. (si allude presumibilmente al figlio Giovanni e alla figlia Piera che, nominati nel suo testamento del 1385, non sono più presenti in occasione della portata catastale del 1427). Dopo una lunga ed eloquente esortazione a rassegnarsi alla superiore volontà di Dio, Salutati ricorda al G. che ha già dato in passato molti esempi di grande forza d'animo e che anche in questa occasione deve mostrarsi pari alla stima che ha suscitato. Chiudono la lettera una citazione di s. Agostino e un reiterato incitamento alla pazienza e alla forza d'animo.
Non si ha notizia che il G., dopo la morte dei due figli e del fratello Benedetto, abbia cambiato le sue ultime volontà, fissate nel testamento dell'8 maggio 1385; in esso egli designava il fratello come esecutore testamentario con il compito di dividere il suo patrimonio tra i tre figli maschi (Michele, Benedetto e Giovanni, nati dal suo matrimonio con Luisa Ciccioni) e di assegnare la dote alle figlie Piera e Nanna (quest'ultima andata sposa al noto medico e maestro di scienze e filosofia Giovanni Chellini da San Miniato), nonché alla sorella Bartolomea. Altro amico famoso del G. dovette essere Franco Sacchetti, che per un semestre nel 1392 fu podestà di San Miniato per conto del Comune di Firenze e a sua volta amico di Gambacorta, cui diresse una lettera da questo luogo, ma di ciò non si hanno notizie certe.
Intanto il Comune di Pisa, dopo effimeri governi sotto il protettorato visconteo, era definitivamente passato nel 1406 sotto la giurisdizione fiorentina. Dopo l'assoggettamento il G. pensò di richiedere l'appoggio del governo di Firenze per recuperare i crediti da lui vantati nei confronti del Comune di Pisa, per stipendi rimasti insoluti a causa del crollo del regime gambacortiano. La Signoria di Firenze scrisse nel 1411 varie lettere in favore del G. al podestà fiorentino di Pisa, chiedendo l'impiego di ogni diligenza perché al G. fosse restituito quanto di sua spettanza, ma la confusione che regnava nelle scritture contabili, unita al lungo periodo di tempo decorso, non consentirono che ciò avvenisse, tanto che ancora nel 1427, in occasione della portata al Catasto, il G. lamentava crediti inesigibili nei confronti del Comune di Pisa.
Nonostante la sanguinosa caduta del governo dei Gambacorta e il conseguente scompaginamento subito dalla famiglia, il G. non interruppe del tutto i rapporti con i membri superstiti e tali legami dovettero riannodarsi soprattutto durante l'effimero ritorno al potere di Giovanni Gambacorta, durato soltanto alcuni mesi e finito nell'ottobre 1406 con la capitolazione a Firenze. Se ne ebbe la prova nel 1408, in occasione di un'ambasceria inviata da Firenze al re di Napoli, Ladislao di Durazzo, che poco prima aveva occupato militarmente la città di Roma, allo scopo di complimentarsi con lui per la conquista e nello stesso tempo protestare per le frequenti incursioni delle sue truppe in territorio fiorentino.
Ai quattro membri dell'ambasceria, tutti eminenti cittadini fiorentini, fu aggregato il G., in qualità di rappresentante personale di Giovanni Gambacorta; egli tuttavia effettuò il viaggio fino a Roma da solo, in quanto gli oratori fiorentini dovevano far tappa a Siena. Il compito del G. era quello di ragguagliare gli oratori sulle questioni inerenti Gambacorta che dovevano essere sottoposte al sovrano, ma il compito di esporle spettava agli oratori, che con la dignità di rappresentanti del potente Comune di Firenze, avrebbero conferito più incisività all'intervento.
Fu presumibilmente questo l'ultimo incarico espletato dal G.; egli fece ancora in tempo a redigere di sua mano la portata al Catasto del 1427, in cui denunciò il possesso di un ragguardevole patrimonio immobiliare, costituito da alcune case nel centro di San Miniato e da numerosi poderi situati nelle campagne circostanti. Il nucleo familiare risulta composto, oltre che da lui e dalla moglie Luisa, dai due figli maschi superstiti, Michele e Ludovico, entrambi notai, come il padre, dalle loro mogli e dai loro figli.
Il G. morì presumibilmente a San Miniato poco dopo il 1427 (la portata successiva, del 1430, fu redatta dal figlio Ludovico). Se la sua volontà testamentaria fu rispettata, deve essere stato sepolto nella cappella di famiglia da lui fatta edificare nella chiesa dei frati minori di quella città.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Archivio Grifoni, 217, cc. 2-3, 6, 9, 11-12, 15-16; 231, cc. 79-96; 263, c. 15; Diplomatico, S. Cristina di S. Croce, 3 marzo 1360; Tratte, 900, cc. 189v, 201v, 209r, 232r; 982, cc. 50v, 64v, 81v; Provvisioni, Registri, cc. 81-82; Catasto, 27, cc. 344-353; Delizie degli eruditi toscani, XVIII (1784), p. 370; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, II, Roma 1893, pp. 214 s.; III, ibid. 1893, pp. 192-196; IV, ibid. 1905, p. 290; P. Silva, Il governo di Pietro Gambacorta in Pisa e le sue relazioni col resto della Toscana e coi Visconti, Pisa 1910, pp. 320 s.; D. Stiaffini, Una grande famiglia di San Miniato: i Grifoni fra tardo Medioevo e prima Età moderna, in Boll. stor. pisano, LXIII (1994), pp. 116-119.