GRIFFOLINI, Francesco
LINI Nacque nel 1420 ad Arezzo da Mariotto, mercante in Ungheria, e dalla sua seconda moglie Bartolomea, figlia di Giovanni detto il Piccino. Alla tragica perdita del padre - coinvolto in una cospirazione con i Senesi ai danni della patria e giustiziato sulla pubblica piazza il 19 maggio 1431 - seguì la confisca dei beni, la fuga del fratello maggiore Andrea, poi ucciso a Napoli, e la condanna all'esilio, che portò il G. undicenne con la madre e i fratelli a Ferrara.
A causa dell'appellativo "Franciscus Aretinus" con cui è solitamente indicato nelle fonti, il G. è stato a lungo confuso con il giurista Francesco Accolti, pure nato ad Arezzo, attivo a Ferrara e in relazione con umanisti e letterati. Solo dalla fine del secolo scorso si è acclarata la distinzione fra i due a partire dall'attribuzione al G. del profilo coevo contenuto nel De viris illustribus di Bartolomeo Facio, che menziona una serie di traduzioni ascrivibili ad anni in cui l'Accolti si trovava in sedi diverse da Roma e che quindi sono da assegnare al Griffolini.
Non è sicuro se a Ferrara il G. abbia seguito studi giuridici e sia stato lettore di diritto canonico, come si è ritenuto per l'identificazione con il "Franc. de Aretio" nominato nei registri universitari dal 1445 al 1451 (Pardi; Mancini, 1920, pp. 191-194). Certo è che nello Studio ferrarese egli fu discepolo di Guarino Veronese e di Teodoro Gaza, con il quale mantenne poi rapporti di cordiale amicizia. Forse a questo periodo giovanile risalgono i perduti epigrammi latini di cui riferiscono il Facio e Vittore da Parma, che menziona inoltre spregiativamente alcuni componimenti scenici dal G. stesso recitati a Ferrara. In una lettera a Giovanni Tortelli del 22 marzo 1441 (Mittarelli, coll. 408 s.) il G. fa riferimento ai Commentaria de ratione disserendi et artis dialecticae praeceptis del corrispondente, elogiandoli per la capacità di congiungere eloquenza e sapienza e chiedendo che, una volta finita, l'opera gli venisse rispedita, perché intendeva farla conoscere a Leonello d'Este. Una lettera a Giovanni Aurispa di Antonio Beccadelli (Panormita), che sollecita la restituzione di commentari di Donato su Terenzio "ab Arretino tuo, olim meo", attesta la presenza del G. a Ferrara ancora nel 1444, e documenta inoltre i rapporti intrattenuti con l'Aurispa e l'amicizia, destinata a lunga consuetudine, con il Panormita.
Qualche anno più tardi il G. si trasferì a Roma con la madre e la sorella, forse già nel 1447, se egli è nominato in una lettera di Lauro Quirini a Ognibene da Lonigo dove si parla dell'elezione di Niccolò V; ma con sicurezza alla fine del 1448, quando il G. è indicato tra i primi allievi delle lezioni di retorica, inizialmente private poi pubbliche, di Lorenzo Valla, al quale poteva essere stato presentato su raccomandazione dell'Aurispa e del Tortelli, e che continuò negli anni a considerare come il suo "praeceptor". Già nel 1449 Valla stimava a tal punto il G. da sottoporgli la redazione delle Elegantiae affinché vi potesse studiare (lettera nel ms. Laur., plut., 65.90 sup., c. 137 della Biblioteca Laurenziana di Firenze).
Non ci sono prove che il G. abbia ottenuto incarichi sotto Niccolò V, benché sia stato identificato con il "Franciscus Aretinus" che nel 1452 si recò in missione a Costantinopoli come familiaris del cardinale Isidoro di Kiev, legato pontificio che quando la città fu espugnata dai Turchi fu fatto prigioniero e poi riparò a Candia. Dall'isola è spedita la lettera di questo "Aretinus" al cardinale Domenico Capranica, datata 15 luglio 1543: indizio dell'identità che il mittente e il G. sarebbero la medesima persona è l'autoriferimento come "legato tuo […] comes" nel carme dedicatorio a Niccolò V premesso da Franciscus Aretinus al ms. Vat. gr. 534 della Biblioteca apostolica Vaticana, un codice contenente le Omelie di Giovanni Crisostomo sul Vangelo di Matteo recuperato proprio in occasione di quel viaggio. Non è neppure sicuro se a Roma il G. abbia insegnato grammatica, come riferisce la testimonianza di Vittore da Parma, ma certo è che egli prese parte, in qualità di traduttore dal greco, al programma di latinizzazione di fonti greche concepito e promosso dal papa.
Risale probabilmente agli anni del pontificato nicolino la più importante impresa versoria del G., la traduzione delle Epistulae dello Pseudo Falaride, per la quale egli conseguì grande fama in età umanistica grazie anche alla cospicua fortuna editoriale del testo, poi volgarizzato da Bartolomeo Fonzio (la princeps, per i tipi romani di Ulrich Han, è databile agli anni 1468-69; una seconda stampa, sempre per Han nel 1470-71, venne curata da Giovanni Antonio Campano). Nel dedicare il corpus delle 138 lettere al signore di Cesena Malatesta Novello il G. svolgeva tra l'altro considerazioni di più ampio interesse letterario, affermando la maggiore veridicità del genere epistolare rispetto alla historia ("nullum verius quam epistolas existimo"). Nelle stampe è spesso presente anche una seconda dedicatoria al giurista padovano, poi consigliere regio di Alfonso d'Aragona, Francesco Pellati, cui il G. corrispose la versione su richiesta (i testi delle dedicatorie sono in Mittarelli, coll. 402-404, 407). Oltre all'elevato numero di manoscritti e di stampe, documenta l'ampia circolazione e la notorietà di questa traduzione l'attacco di Vittore da Parma, in una lettera datata 13 sett. 1457, divulgata dal prete veneziano Andrea Contrario, in cui il G. era accusato di aver plagiato l'interpretatio di Falaride appresa alla scuola di Teodoro Gaza, e di averla poi fatta correggere a Pietro Odo di Montopoli (le lettere, contenute nel cod. H.VI.32 della Biblioteca comunale di Siena, sono edite in Sabbadini, pp. 409-413). L'attacco, svolto nei modi più tipici dell'invettiva umanistica e a sua volta ascritto da Vittore a un tale Tiburtino, investiva insieme la personalità e i meriti letterari del G., come di chi si appropriava occultamente di altrui fatiche vantandosi tra l'altro di aver emendato il testo di Catullo e di altri autori.
In realtà, appena l'anno precedente Gaza, secondo quanto afferma nella lettera introduttiva al Panormita alla sua traduzione di Eliano, aveva potuto avvalersi del lavoro del G., riportando versi omerici da lui tradotti. Del resto, sempre al G., che nella latinizzazione dei poemi omerici avrebbe profuso negli anni seguenti particolare impegno, riesce fondatamente attribuibile la traduzione versificata del libro XIV dell'Iliade contenuta in una miscellanea umanistica redatta da Agnolo Manetti (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., XXV.626).
La dedica ad Alfonso I d'Aragona di altre quattro lettere dello Pseudo Falaride scoperte dopo la traduzione del corpus, unita alla promessa di intitolare al re futuri lavori, documenta come il G., già negli anni del soggiorno a Roma, fosse in contatto con la corte di Napoli; ciò è suffragato dalle parole a lui riferibili contenute in una lettera del Panormita allo stesso re, nonché dalla presenza di un "Aretinus" nell'elenco degli accademici alfonsini. Il G. tuttavia, nonostante qualche breve viaggio ai bagni di Pozzuoli per cure termali, mantenne stabilmente la sua residenza a Roma ancora durante i successivi pontificati di Callisto III e di Pio II.
Sono anni di intensa concentrazione nella lettura e traduzione di autori greci, come confermano i prestiti dalla Biblioteca Vaticana, tra il 1455 e il 1457, di autori quali Tucidide, Eliodoro, Demostene, Origene, Giovanni Crisostomo. Ne seguì la traduzione di oltre cento Omelie di quest'ultimo, alcune dedicate ai datari di Callisto III, l'arcidiacono Valentino e l'aragonese Cosimo di Monserrat. Agli anni 1456-57 si possono forse far risalire le Omelie sopra la prima lettera di s. Paolo ai Corinzi di Crisostomo, e con qualche probabilità a questo stesso periodo rimonta la prima stesura delle Omelie sul Vangelo di Giovanni, menzionate da B. Facio e dedicate al vescovo di Arras Giovanni Jouffroy, già allievo di Valla. Inoltre, dopo il 1455 e non oltre il 1462 il G. trascrisse e acutamente annotò il testo di Ammiano Marcellino (Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 6120) basandosi sull'antico codice di Fulda. Alla sua mano sono da riportarsi anche l'attuale Fonds lat. 7840 (contenente panegirici latini) e un pergamenaceo non identificato contenente Catullo e le Sylvae di Stazio, codici registrati in un inventario della Biblioteca Aragonese di Napoli, dove evidentemente il G. stesso avrebbe in seguito portato i manoscritti da lui allestiti.
Al nuovo papa Pio II il G. donò, con duplice dedica in versi elegiaci e in prosa, la traduzione delle epistole di Diogene Cinico, che riscosse gli elogi del Panormita (in una lettera a Gaza) e di Leon Battista Alberti, che mostrava di apprezzare nel G. la scrittura sia in prosa, sia in versi. Altra impresa versoria di grande rilievo, realizzata su incarico del pontefice, fu la traduzione in prosa dell'intera Odissea, databile agli anni 1458-60 (Valla, p. 230; alle pp. 224 s. vi è anche la dedicatoria al papa contenuta in Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., VIII.114) o a dopo il 1464 (Mancini, 1890, p. 38), comunque successiva al completamento della versione dell'Iliade (ultimi otto libri) lasciata interrotta da Lorenzo Valla, dal G. imitato nello stile di prosa eloquente. Ancora a Pio II era dedicato, infine, il Libellum de mirabilibus civitatis Putheolorum (poi stampato a Napoli, Arnaldo da Bruxelles, 1475), dove il G. parafrasava in prosa il duecentesco trattatello in versi di Pietro da Eboli da lui riscoperto.
Nel 1459 il G. si recò al seguito di Pio II, diretto al convegno di Mantova, facendo sosta per alcuni giorni a Firenze, dove poté incontrare Cosimo de' Medici. In occasione di questo soggiorno ricevette l'incarico di redigere l'epigramma funebre per la tomba di Carlo Marsuppini in S. Croce, di cui parla la lettera indirizzata da Mantova a Piero de' Medici il 19 luglio 1459. Allo stesso Cosimo il G. dedicò la già composta traduzione delle Omelie di Giovanni Crisostomo sul Vangelo di Giovanni, rielaborata intorno al 1461 e inviata a Firenze il 2 nov. 1462, accompagnata da una lettera nella quale il G. svolgeva il motivo della superiorità dei moderni sugli antichi onde esaltare il destinatario, da cui forse sperava di ottenere qualche beneficio materiale. Ancora al 1461 è sicuramente databile la traduzione dell'orazione di Luciano De calumnia, dedicata a John Tiptoft conte di Worcester, prima del rientro di questo in Inghilterra appunto in quell'anno (la dedicatoria in Valla, p. 237).
Le condizioni finanziarie del G., tuttavia, stentavano a migliorare, visto che egli doveva provvedere al mantenimento della madre e alla dotazione di una sorella nubile ormai avanzata negli anni. Non andavano a buon fine i tentativi di riacquisire la proprietà di alcuni terreni della famiglia materna nel comune di Città di Castello, per cui il G. aveva intentato causa al marchese Cerbone del Monte Santa Maria, protetto dalla Signoria medicea. Oltretutto, con lettera del 23 sett. 1461 scritta per la Cancelleria fiorentina da Benedetto Accolti (in Black, pp. 189 s.), fu chiesta a Pio II la revoca del beneficio ecclesiastico di S. Michele Arcangelo nel territorio di Castiglion Fiorentino, concesso dal papa al G., ancora in nome del crimine politico commesso dal padre ai danni della città natale suddita di Firenze. Solo con la nomina a scriptor apostolicus, attestata con certezza nel 1464, il G. poté raggiungere una soddisfacente sistemazione economica che gli avrebbe consentito di dedicarsi con più serenità all'attività letteraria.
Con le restrizioni portate da Paolo II al Collegio degli abbreviatori, tuttavia, il G. si risolse, grazie ancora alla mediazione del Panormita, per il trasferimento a Napoli, tra 1466 e 1468, come istitutore di Alfonso duca di Calabria. Ad Alfonso dedicò la traduzione degli Heroica di Filostrato (tradita nel già citato Magl. XXV.626, cc. 28r-69v; la prefatoria in Valla, pp. 255-257) e a Napoli il G. trascorse il resto della sua vita, che dovette estendersi ancora per un certo numero di anni, se il Pontano parla di lui come di un uomo piuttosto avanzato in età ("aetate provectior").
Il G. morì improvvisamente per una caduta da cavallo mentre stava partendo alla volta di Napoli, secondo la testimonianza di Paolo Cortesi nel De hominibus doctis scritto nel 1490-91 (dove è indicato come "Franciscus Lippus Aretinus", forse a causa di una sopravvenuta cecità), notizia corroborata dalle Historie dell'antichità d'Arezzo di Attilio Alessi (1552).
Fonti e Bibl.: B. Facio, De viris illustribus liber, a cura di L. Mehus, Florentiae 1745, p. 15; G. Pontano, De sermone, a cura di S. Lupi - A. Risicato, Lugano 1954, p. 197; L. Valla, Opuscula tria, a cura di M.J. Vahlen, in Id., Opera omnia, II, Torino 1962, pp. 193-259; P. Cortesi, De hominibus doctis, a cura di G. Ferraù, Palermo 1979, p. 73; G. Ciampini, De abbreviatorum de Parco Maiori, sive assistentium S.R.E. vicecancellario in literarum apostolicarum expedictionibus…, Romae 1691, p. XI; G. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, I, Brescia 1753, pp. 68-76; G.B. Mittarelli, Bibliotheca codicum manuscriptorum monasterii S. Michaelis Venetiarum prope Murianum, Venetiis 1779, coll. 402-410; I. Morelli, Operette, II, Venezia 1820, pp. 261-265; A. Battaglini, Dissertazione sopra l'autore della prima traduzione latina delle lettere greche di Falaride e di altre traduzioni…, in Dissertazioni dell'Accademia romana di archeologia, II (1825), pp. 369-400; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, III, Milano 1833, pp. 40-42; G. Mancini, F. G. cognominato Francesco Aretino, Firenze 1890; G. Pardi, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara nei secc. XV e XVI, Lucca 1900, pp. 16-25; R. Sabbadini, Andrea Contrario, in Nuovo Archivio veneto, XXXI (1916), pp. 409-413; G. Mancini, Giovanni Tortelli cooperatore di Niccolò V nel fondare la Biblioteca Vaticana, in Arch. stor. italiano, LXXVIII (1920), pp. 191-195; G. Mercati, Scritti di Isidoro il cardinale ruteno e codici a lui appartenuti che si conservano nella Biblioteca apostolica Vaticana, Roma 1926, pp. 128-132; M. Messina, Francesco Accolti di Arezzo (umanista, giureconsulto, poeta del sec. XV), in Rinascimento, I (1950), pp. 302-304; A. Pertusi, Leonzio Pilato fra Petrarca e Boccaccio. Le sue versioni omeriche negli autografi di Venezia e la cultura greca del primo Umanesimo, Venezia-Roma 1964, pp. 142 n. 3, 523 n. 1; La caduta di Costantinopoli, a cura di A. Pertusi, Milano 1976, pp. 112-119; R. Fabbri, Nuova traduzione metrica di Iliade, XIV. Da una miscellanea umanistica di Agnolo Manetti, Roma 1981, pp. 48-53; R. Black, Benedetto Accolti and the Florentine Renaissance, Cambridge 1985, pp. 185-191; R. Cappelletto, Attribuzione di un Ammiano e di altri manoscritti a F. G. Aretino, in Studi urbinati, LIX (1986), pp. 85-103; C. Bianca, Stampa, cultura e società a Messina alla fine del Quattrocento, I, Palermo 1988, pp. 148-161; R. Fabbri, Ancora su F. G. e sugli esperimenti di traduzione da Omero, in Studi latini in ricordo di Rita Cappelletto, Urbino 1996, pp. 195-206; R. Bianchi, Le "Epistolae" di Falaride, Filippo Beroaldo il Vecchio e Poliziano in un codice scritto a Macerata e nel suo circondario…, in Aspetti della cultura dei laici in area adriatica, Napoli 1998, pp. 216-218; P.O. Kristeller, Iter Italicum, A cumulative index to volumes I-VI, ad nomen.