GRIFFO (Grifi, Griffi), Francesco (Francesco da Bologna)
Nacque presumibilmente a Bologna verso la metà del XV secolo da Cesare, di professione orefice.
Abbandonata definitivamente nel corso dell'Ottocento l'ipotesi di Panizzi che l'incisore nonché impressore Francesco da Bologna e l'orefice, cesellatore, coniatore e pittore Francesco Raibolini, detto il Francia, fossero la medesima persona, sono assai scarse le notizie biografiche sul G., universalmente annoverato fra i padri della moderna arte grafica.
Il G. intraprese la carriera di incisore di caratteri forse al servizio di B. Faelli, libraio ed editore bolognese, celebre per l'eleganza dei caratteri e per la raffinata composizione delle sue edizioni. Dal 1475 al 1480 soggiornò a Padova, dove incise - su modello di N. Jenson - due serie di punzoni per caratteri gotici per il commento di Gentile da Foligno dell'Avicenna edito nel 1477 da J. Rauchfass per i tipi di P. Maufer. Migrato poi a Venezia, il G. vantava tutte le credenziali per ottenere uno degli impieghi più ambiti nella capitale tipografico-editoriale del Cinquecento, al servizio di A. Manuzio. A partire dal 1494 incise per il Manuzio numerose serie di caratteri tondi, traendo ispirazione dall'epigrafia romana di età classica e imperiale, e delineando modelli di stile per molti secoli insuperati, superbamente inverati nella princeps della Hypnerotomachia Poliphili (1499), edizione culto per bibliografi e bibliofili di ogni epoca.
Gli studiosi hanno riconosciuto ben sei tipologie di caratteri tondi eseguiti dal G.: il tondo del paratesto latino degli Erotemata di C. Lascaris (28 febbr. 1495), il tondo "Decamerone" (novembre 1495), il tondo "Gaza" (quello delle Introductivae grammatices del dicembre 1495), il tondo Bembo (impiegato nella princeps del De Aetna del 1496, anziché nel 1495, come potrebbe ingannare il colophon datato more Veneto), il tondo "Leoniceno" (giugno 1496), rinomato per le inclinazioni calligrafiche delle lunghe e sinuose grazie, per concludere con il tondo maiuscolo della Hypnerotomachia Poliphili, che fissa nelle maiuscole il rapporto tra larghezza e altezza in 1:9, in armonia con le indicazioni dei maestri calligrafi del tempo (L. Pacioli, F. Torniello, G.B. Verini). La perizia dell'incisore nel preparare il getto dei caratteri (le "nove forme de antiqui carattheri", come egli stesso scrisse alcuni anni dopo nell'epistola prefatoria alla sua prima edizione bolognese) mise a dura prova, a distanza di oltre quattro secoli, lo stesso G. Mardersteig, allorché si prefisse di riprodurre il carattere utilizzato nella celebre aldina del Bembo. Mardersteig constatò come il G., orefice assai abile e di finissima sensibilità, procurava di avvicinarsi il più possibile alla vivacità della scrittura a mano, in questo caso al tondo degli umanisti, eseguendo lievi varianti per la medesima lettera. Ma la presenza del G. a Venezia, per quanto non attestata da riscontri certi, è forse anteriore al 1494; il Decamerone illustrato, frutto dei torchi dei fratelli De Gregori, editori a Venezia seppure di origini romagnole, e il Novellino di Masuccio Salernitano sono impressi entrambi con caratteri romani tondi di sorprendente e inusuale armonia, tanto che risulta assai facile considerarli opera del G., per così dire i predecessori del tondo "Bembo". La stessa eleganza e sobrietà raggiungono i caratteri del Fasciculus medicinae di J. Ketham e dell'Erodoto, sempre editi dai De Gregori (rispettivamente nel febbraio e nel marzo 1494), riutilizzati in posteriori edizioni aldine.
Ai primi anni della collaborazione col Manuzio risale anche il disegno di caratteri greci, realizzati in ben quattro varianti a partire dalla prima aldina greca datata, dopo l'Alphabetum Graecum (marzo 1495): l'Aristotele del novembre dello stesso anno. È premura del G. stesso rammentare ai lettori il proprio primato nella sua edizione bolognese del Canzoniere di Petrarca del 1516 ("havendo pria li greci et latini carattheri ad Aldo Manuzio R.[omano] fabricato"). L'ultima variante dell'alfabeto greco inciso dal G. ebbe inoltre andamento corsivo; si tratta del greco 4 Sofocle, elaborato per le Tragoediae dell'agosto 1502. I greci aldini risultano ancora oggi di grande complessità per chi ne tenti un'analisi dettagliata e precisa; per esempio, il greco 2, o Aristotele in corpo minore, utilizzato già per gli Erotemata del Lascaris, registra ben sette varianti per la sola prima vocale dell'alfabeto, a riprova dell'intento costante di movimentare la pagina a stampa, a imitazione del ductus manoscritto.
Nonostante il successo che da più parti riscuoteva il disegno dei suoi caratteri e che decretava la fortuna anche economica del suo illustre editore, il G. non abbandonò per questo il cammino di innovazione e di sperimentazione tecnica e stilistica intrapreso nel fervido clima veneziano. A pochi anni di distanza dallo studio dei nuovi tondi latini e greci allestì una cassa di caratteri leggermente inclinati a destra, a imitazione della scrittura corsiva in uso presso le cancellerie dell'epoca - la cancelleresca italica - che il calligrafo cinquecentesco G.B. Palatino chiamava Romana o formata; ne derivò un carattere battezzato, a omaggio della nazione, italico, nome con il quale ancora oggi è universalmente noto. Il corsivo consentiva l'ardita riduzione del formato per l'edizione di testi classici destinata a collane "da bisaccia", ovvero tascabili. Dopo avere fatto capolino nelle Epistole di s. Caterina (settembre 1500), il corsivo griffiano è inaugurato dalla Bucolica aldina del 1501. Manuzio comprese immediatamente la portata di un simile ritrovato tipografico e volle assicurarsi dapprima il privilegio decennale di produzione e vendita di libri composti in tal guisa; il 23 marzo 1501 il Senato concesse apposito privilegio per l'utilizzo del corsivo, mentre il 17 ott. 1502 Manuzio intese proteggere con specifica petizione l'intera batteria dei caratteri del G., al quale era così impedito di avvalersi delle proprie stesse invenzioni presso altri tipografi o editori dello Stato veneto. Una sorta di brevetto a tutto danno della creatività dell'autore, al quale non era evidentemente riconosciuto alcun vantaggio economico. Insieme con altre ragioni, questo dovette essere il movente che pose le basi del distacco da Manuzio. Il G. lasciò Venezia nello stesso inverno del 1502, senza neppure dare corso alla progettata edizione della Bibbia poliglotta (in greco, latino ed ebraico), nella quale l'incisore dovette intravedere la solenne consacrazione della propria straordinaria inventiva. Oggi non resta che una prova di stampa su grande formato, in caratteri ebraici.
Il G. prestò sicuramente la propria opera per G. Soncino durante il periodo fanese (1502-07), allorché venne edito il Petrarca volgare. Per Soncino il G. disegnò il corsivo 2, attenuato nelle legature, con forme crenate fornite di capo e piedi arcuati. Il G. era ormai famoso sia per l'abilità tecnica maturata, sia per l'invenzione e il perfezionamento del corsivo, il cui primato invano lo stesso Manuzio o altri hanno tentato di sottrargli.
Tra il 1511 e il 1513 lavorò pure per O. Petrucci e per B. Stagnino; nel 1512 ricevette da quest'ultimo la somma di 20 ducati probabilmente per il Dante uscito dai torchi nel novembre dello stesso anno. Mentre è certo che già dal 1501 il Petrucci utilizzasse il "Decamerone" e che nel 1513 commissionasse al G. un romano tondo in corpo 16 per l'edizione del De recta Paschae celebratione di Paolo da Middelburg.
Assai scarne le notizie sull'attività del G. negli anni che intercorrono fra il distacco dal Manuzio e la propria intrapresa editoriale. Sembra sicuro un suo intervento al fianco di F. Giunta negli anni dal 1513 al 1515, come attestano i corsivi adottati in quegli anni dall'editore fiorentino. Rientrato finalmente a Bologna intorno al 1516, il G. diede avvio alla professione di editore, nuova per lui, mettendo a frutto gli anni di esperienza maturati al fianco di alcuni fra i protagonisti del libro italiano nel Cinquecento. G. Manzoni è il primo bibliografo a repertoriare tutte e sei le sue rarissime edizioni, la cui collezione completa nessuna biblioteca conserva.
La prima a essere offerta al mercato del libro fu l'edizione del Canzonier et Triomphi di Petrarca (datata 20 sett. 1516), che inaugurò una collana di testi classici italiani e latini, composti in carattere corsivo e in formato ridotto (trentaduesimo). Nello stesso anno al Petrarca fecero seguito infatti l'Archadia di I. Sannazzaro, gli Asolani del Bembo, il Labirinto d'amore di Boccaccio e le Epistolae familiares di Cicerone, la più rara delle sue edizioni, citata sì, ma mai vista neppure dai maggiori bibliografi, se dobbiamo prestare fede alle parole di Manzoni. Fu poi la volta dei Dictorum et factorum memorabilium di Valerio Massimo, editi il 24 genn. 1517, l'ultimo lavoro uscito dall'officina tipografica del G. con cui la progettata collana si interruppe. Assai labili le notizie in merito a un Iesus Christus Marie filius, in ottavo, licenziato a Venezia con data 1517, il cui primo fascicolo è composto in italico, mentre il resto è stampato in gotico, da interpretare forse come una sperimentazione non riuscita.
Molto probabilmente il G. morì a Bologna nel 1518, giustiziato in seguito al processo per l'omicidio del genero, Cristoforo, che egli aveva colpito a morte con una spranga dopo un alterco insorto entro le mura domestiche dell'abitazione che condividevano nella parrocchia di S. Giuliano.
Non risulta a tutt'oggi che il G. avesse fatto propria alcuna marca tipografico-editoriale (cfr. A. Sorbelli, Le marche tipografiche bolognesi nel secolo XVI, Milano 1926).
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