GRANDI, Francesco
Nacque a Roma il 21 apr. 1831. Ebbe come primo mae-stro di pittura L. Venuti; frequentò quindi l'Accademia di S. Luca, dove fu discepolo di T. Minardi. Sempre a Roma, appena diciassettenne cominciò a lavorare in uno studio affittato in proprio e nel 1851 si classificò primo nel concorso scolastico di copia dal vero. Un anno dopo vinse il premio Balestra con un tipico quadro accademico di storia: Castore e Polluce recano a Roma la notizia della disfatta dei Tarquini (Roma, Accademia di S. Luca). Tra il 1855 e il 1856 fu chiamato a dipingere nella chiesa del Bambin Gesù, dove eseguì, per la cappella della Passione, le due tele, firmate e datate, il Bacio di Giuda e la Flagellazione, e decorò la cupola della cappella Mattei con Angeli e Profeti.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta ebbe parte attiva nel fervore di rinnovamento delle decorazioni delle grandi basiliche e chiese romane promosso dal pontefice Pio IX. La più importante e imponente di queste imprese fu la riedificazione di S. Paolo fuori le Mura, devastata dall'incendio del 1823. Il G. fu tra i ventuno pittori, quasi tutti romani, mobilitati sotto la direzione di Minardi - allora ispettore delle pubbliche pitture e direttore dello Studio dei mosaici in Vaticano - per l'esecuzione, a partire dal 1857, dei trentasei affreschi, illustranti i fatti della vita dell'apostolo, con cui si decise di decorare la nuova grande navata che papa Mastai aveva consacrato qualche anno prima, nel 1854. Al G. vennero affidate due scene: S. Paolo predica al popolo e S. Paolo cacciato dal tempio dagli Ebrei, condotte a termine entro la fine del decennio. Per la stessa chiesa l'artista romano realizzò pure altre opere e fornì vari cartoni per la cronologia dei pontefici, le vetrate e i mosaici (Gnisci).
Negli anni successivi, ormai pittore affermato - fu insignito del titolo di cavaliere e nel 1872 sarebbe successo a Minardi come direttore della Scuola del mosaico - venne spesso chiamato a produrre immagini celebrative per le solenni cerimonie vaticane di canonizzazione come quelle in occasione della beatificazione dei martiri del Giappone, per le quali il G. fornì diversi quadri: I martiri giapponesi in gloria, Il beato Novaret raccoglie i bambini abbandonati, Il beato Castelate e due prigionieri giapponesi (ubicazione ignota).
Sul versante della pittura profana aveva intanto contribuito alla realizzazione della Galleria dantesca, una serie di 27 enormi tele (m 6 x 4) raffiguranti episodi salienti della Divina Commedia, disegnate dal pittore F. Bigioli tra il 1854 e il 1860. Il singolare progetto era stato promosso dall'editore fabrianese, ma attivo a Roma, R. Gentilucci, che si preoccupò di far esporre il monumentale ciclo in varie città italiane, europee e persino negli Stati Uniti. Il discreto successo incontrato dall'iniziativa spinse lo stesso Gentilucci a ideare un'impresa ancor più ambiziosa: la Galleria shakespeariana, serie di un centinaio di scene tratte dall'opera del drammaturgo inglese. Il progetto, al quale prese parte anche il G., rimase incompiuto ed è oggi da considerarsi disperso - come pure la Galleria dantesca - benché si conservino alcuni bozzetti alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.
A Fano, nel teatro Comunale, oltre alle figure mitologico-allegoriche dipinte sul soffitto, decorò il sipario con il Trionfo di Cesare a Fano, seguendo l'esempio quasi coevo del vicino teatro Comunale di Rimini, inaugurato nel 1857, per il quale il pittore suo contemporaneo F. Coghetti aveva realizzato un sipario con la scena di Cesare che passa il Rubicone. Lavorò anche a Roma per il teatro Metastasio e per il teatro Argentina, dove dipinse, tra l'altro, il soffitto con le Deità maggiori; fornì anche il sipario per il teatro di Dresda.
Grazie forse anche all'amicizia dell'architetto V. Vespignani - che era stato incaricato da Pio IX della risistemazione della basilica patriarcale di S. Lorenzo al Verano - al G. fu chiesto di fornire il suo contributo a quest'altra notevole impresa collettiva dal forte valore simbolico, realizzando nella navata mediana i due affreschi che raffiguravano i momenti culminanti della passione del santo titolare: Ilmartirio di s. Lorenzo e il Trasporto del corpo del santo nelle catacombe (1869-70). I dipinti, insieme con gli altri realizzati per l'occasione dai più noti pittori attivi a Roma in quel momento, andarono distrutti durante i bombardamenti subiti dalla basilica il 19 luglio 1943; ma ne rimane un modello oggi conservato nella Pinacoteca dell'Accademia di S. Luca a Roma.
In queste opere di grande respiro e di scoperte inclinazioni didascaliche il G. si dimostra compositore sobrio e ponderato, facile e chiaro nelle cadenze narrative, ma attento pure alle note di colore e realtà, alla ricerca insomma di un equilibrio tra effetti teatrali di naturalismo e aulica compostezza, più neoraffaellesca che neoclassica. Come C. Fracassini, F. Podesti, C. Mariani, pittori suoi contemporanei e colleghi nelle grandi imprese decorative romane, il G. guardava anche agli esiti sontuosi della pittura accademica inglese e francese, dei vari F. Leighton e W.-A. Bouguereau. Proprio questi compositi lineamenti stilistici dovettero d'altra parte rendere gradita la sua maniera alla committenza ecclesiastica, che appunto mirava a rinverdire le glorie di un'epoca in cui Roma era stata un cantiere al servizio della fede e i più grandi pittori di storie erano stati al servizio del papa.
Sempre per interessamento di Vespignani il G. si vide allogare altre importanti commissioni a carattere religioso: in S. Lorenzo in Damaso, per cui realizzò ad affresco i tondi con le Virtù nel nuovo presbiterio, in S. Giacomo degli Incurabili, dove nella pala dell'altare maggiore diede un'insolita interpretazione della Trinità (con il Padre Eterno, la colomba dello Spirito Santo e gli angeli che adorano il tabernacolo di fronte alla tela), e altre. Erano tutte chiese in cui i pittori accademici di storia rievocavano, con retorica vena illustrativa, i fasti gloriosi della Chiesa primitiva dei martiri e dei confessori. In questo revival iconografico neocinquecentesco, accanto ai temi di ispirazione controriformistica, tratti dai martirologi romani, si trovavano anche soggetti agiografici più inconsueti, ma sempre funzionali alla politica di propaganda religiosa per immagini perseguita dagli ordini e dai vertici ecclesiastici. Così nel 1862 la "nazione" dei Lucchesi aveva commissionato al G., per la chiesa di S. Croce e S. Bonaventura, un dipinto che rappresentasse la storia, pressoché inedita dal punto di vista iconografico, di Seleuco che indica al vescovo Gualfredo il luogo dove è nascosto il Volto Santo. Un più dichiarato impegno ideologico doveva, invece, evidentemente indirizzare la scelta di un soggetto a carattere storico-politico così insolito come il S. Lorenzo da Brindisi guida gli Ungheresi contro i Turchi, di cui i cappuccini di Roma, per i quali il pittore aveva realizzato l'opera nel 1881, fecero dono al pontefice Leone XIII, che lo lasciò a sua volta alla Pinacoteca vaticana.
Altre opere di tema sacro il G. eseguì in diverse chiese di Roma tra gli anni Sessanta e Settanta: si possono ricordare una S. Apollonia in S. Maria in Trastevere (1866) e le tele laterali con la Pietà e l'Orazione nel Getsemani per la cappella dei passionisti nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, firmate e datate 1879. Partecipò pure alla decorazione del nuovo cimitero del Verano, progettato dall'amico Vespignani, realizzando le scene per le stazioni della Via Crucis, nonché gli affreschi per varie altre cappelle del complesso cimiteriale.
Nel 1884, intanto, il figlio dello stesso Vespignani, l'architetto Francesco, dava esecuzione al progetto del padre, deceduto appena due anni prima, per il rifacimento del presbiterio e dell'abside della basilica di S. Giovanni in Laterano. Il G., pittore ormai esperto di decorazioni in grande scala con soggetti storico-religiosi, oltreché in buoni rapporti con la famiglia Vespignani, dovette sembrare il candidato più indicato per la realizzazione degli affreschi laterali che illustrano, a destra, Innocenzo III che approva gli Ordini francescano e domenicano e, a sinistra, L'architetto Vespignani che presenta a Leone XIII il progetto per il rinnovamento del presbiterio e l'abside della basilica: scelte iconografiche, che riaffermavano evidentemente la continuità e la simmetria tra il fervore pastorale della Chiesa militante del Medioevo e la politica di mecenatismo conservatore voluta da papa Pecci.
Il G. ricevette numerosi incarichi anche da committenti privati, tra cui diverse famiglie patrizie romane: i Borghese, gli Orsini, i Savorelli. Altre commissioni lo videro contemporaneamente attivo anche fuori di Roma. Ad Arpino, nel 1870, dipinse in palazzo S. Germano L'Aurora che segue Lucifero; suoi sono pure gli affreschi con S. Michele vittorioso sugli angeli ribelli e il Giudizio universale nella volta della cattedrale di S. Michele Arcangelo a Velletri, nonché un più imponente e impegnativo ciclo affrescato nella cupola del duomo di S. Eusebio a Vercelli con scene tratte dalla leggenda del santo titolare.
Anche come ritrattista ufficiale il G. ebbe in vita stima e onori: da lui vollero farsi ritrarre l'amico V. Vespignani (Roma, Pinacoteca dell'Accademia di S. Luca) e i papi che già lo avevano favorito, Pio IX e Leone XIII (ubicazione ignota), e così pure vari altri personaggi eminenti della Curia romana.
Il G. morì a Roma il 23 dic. 1891.
Fonti e Bibl.: Indicazione dei dipinti a buon fresco rappresentanti le principali gesta dell'apostolo s. Paolo ed eseguiti nella sua basilica, Roma 1867, pp. XXIII s.; Belle arti, in Triplice omaggio a Pio IX, Roma 1877, pp. 21 s., 49; G. Gozzoli, Gli artisti viventi, Roma 1881, p. 97; J. Arnaud, L'Académie de St Luc à Rome, Roma 1886, pp. 265-269; A. De Gubernatis, Diz. degli artisti italiani viventi, Firenze 1889, pp. 237 s.; A. Busiri Vici, L'Accademia romana di S. Luca, Roma 1895, pp. 44, 249; A.M. Comanducci, Pittori italiani dell'Ottocento, Milano 1935, p. 307; F. Ceccarelli, Il pittore F. G. nella sua attività di caricaturista, in Strenna dei romanisti, VIII (1947), pp. 151-155; G. Da Bra, S. Lorenzo fuori le Mura, Roma 1952, pp. 183 s.; Il teatro Argentina e il suo Museo, a cura di L. Squarzina, Roma 1981, pp. 38 s., 71 s.; Memoria storica e attualità tra rivoluzione e restaurazione, a cura di C. Bon Valsassina, Foligno 1989, pp. 48-50; C. Bon Valsassina, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, pp. 356, 396 s., 403 s., 409, 413; S. Gnisci, ibid., II, pp. 858 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 507.