GOLIA, Francesco
Figlio di Paolo e della seconda moglie di questo, Maria Teresa Biglioni, nacque a Roma il 12 ott. 1712 (Roma, Arch. stor. del Vicariato, S. Lorenzo in Damaso, Libri dei battesimi, XV, 1700-13, c. 372v). Settimo di otto fratelli (Angela e Luigi, nati dal primo matrimonio del padre; Nicola, Olimpia, Giovanni Battista, Anna e Giuseppe), il G. perse la madre nel 1718 e il padre nel 1720, poco dopo il suo terzo matrimonio (Ibid., S. Salvatore in Campo, Libri dei morti, III, 1711-46, cc. 22v, 4 febbr. 1718; 32v, 20 dic. 1720).
Dalla nascita visse con la numerosa famiglia all'interno del palazzo del Monte di pietà nel rione Regola, dove il padre in qualità di custode disponeva di un alloggio (ibid., S. Salvatore in Campo, Stati delle anime, 1712-20). Dopo la morte del padre i fratelli Golia si trasferirono nella parrocchia di S. Nicola in Arcione, dove abitarono in due case poste nei vicoli in Arcione e dei Maroniti, la seconda quasi contigua all'abitazione della zia paterna Laura Golia e del marito, il noto architetto Sebastiano Cipriani (Ibid., S. Nicola in Arcione, Stati delle anime, 1721-38). I giovani Golia passarono così sotto la protezione dell'architetto, che, senza figli, già dal 1719 aveva preso presso di sé la nipote Olimpia, e poi, dal 1726, dopo la morte della moglie, anche il fratello più piccolo Giuseppe. A partire dal 1731 anche il G. è registrato come ospite della casa studio di Cipriani, presumibilmente nella duplice veste di allievo e di assistente, visto che continuava a risiedere nell'appartamento familiare nel vicolo in Arcione.
Quasi settantenne, Cipriani era ancora uno dei più autorevoli professionisti attivi a Roma, con un'eminente posizione anche presso l'Accademia di S. Luca, dove egli stesso tenne corsi fino al 1725 e rivestì importanti cariche fino a quella di principe nel 1733 (Manfredi, 1991, pp. 336-340). È quindi probabile che attraverso lo studio di Cipriani il giovane G. sia approdato all'apprendimento accademico, sebbene il suo nome non compaia nell'elenco dei premiati dei concorsi clementini del 1728 e del 1732, i soli effettuati dall'Accademia di S. Luca nel periodo della sua possibile frequentazione.
Morto Cipriani nel 1738, lasciando come erede il fratello Carlo, i Golia persero un importante sostegno. La loro situazione si aggravò ulteriormente quando, nel giugno 1742, morì appena quarantenne il capofamiglia Nicola "con haver lasciato molti debiti"; mentre il fratello maggiore Luigi era scomparso dal nucleo familiare fin dal 1722 quando era registrato nel censimento parrocchiale come "infeminato". L'unico bene fruttifero denunciato dal G. nel gennaio 1744 era una vigna nella contrada Monteverde, originariamente condivisa con i fratelli Nicola e Giuseppe, di cui nell'ottobre 1743 aveva rilevato l'intera proprietà per sanare un debito contratto dal primo (Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 30, Notaio Monti, voll. 480, cc. 738-739v, 758, 23 marzo 1741; 486, cc. 198-199v, 206-207, 2 ag. 1742; Notai dell'Archivio capitolino, Notaio Angelo Antonio De Cesaris, vol. 1848, cc. 202-206, 241-242, 11 ott. 1743; ibid., Assegne dei beni, vol. 42, f. 284, 7 genn. 1744). Proprio in quel periodo egli risulta definito per la prima volta come "architetto" nei censimenti parrocchiali che lo documentano come unico inquilino delle stanzette sottotetto di una casa posta nella strada delle Muratte presso l'arco di Carbognano (oggi scomparso: Roma, Archivio storico del Vicariato, S. Marcello al Corso, Stati delle anime, 1743-44).
Non risulta finora documentata l'attività del G. in quegli anni, probabilmente perché era ancora alle dipendenze di un architetto più affermato, forse quel Clemente Orlandi che era stato padrino alla cresima del fratello Giuseppe nel 1727, quando, ancora "abate" beneficiato di S. Giovanni in Laterano (Ibid., Cresime in S. Giovanni in Laterano, vol. 58, 1727, c. 63), si apprestava a intraprendere una notevole carriera professionale (Kieven, 1991, p. 412; Guerrini).
La prima notizia sull'opera del G. risale comunque al 1748, quando come architetto dell'Arciconfraternita degli Agonizzanti tra i mesi di settembre e novembre diresse i lavori per la nuova sagrestia con annesso vestiario della chiesa della Natività di Gesù in piazza Pasquino, senza tuttavia ricevere retribuzione essendo membro dell'Arciconfraternita (Manfredi, 1991, p. 383). Inoltre sono attribuibili al G. gli interventi coevi sull'altare maggiore della chiesa, che fu smontato e ricostruito con al centro la porta d'ingresso alla retrostante sagrestia, e sui quattro altari secondari, che vennero uniformati.
A questi interventi probabilmente allude il Diario ordinario del 18 ott. 1749 (n. 5031, p. 8), includendo la chiesa degli Agonizzanti tra quelle in cui si andavano facendo "rinnovazioni e ornati" per l'imminente anno santo. Essi tuttavia per la loro modesta entità non permettono di delineare la personalità artistica del G. a quella data, tranne che per una certa grossolanità riscontrabile nei disegni della pianta e lo spaccato prospettico della sagrestia raffiguranti elementi decorativi e di arredo non del tutto corrispondenti allo stato attuale dell'ambiente di forma rettangolare con soffitto a riquadri decorato con putti e con uno stemma centrale.
La svolta nella carriera del G. avvenne nel 1749. In quell'anno infatti egli risulta spesso come collaboratore di F. Fuga, il principale architetto allora operante a Roma, il quale aveva da poco ricevuto la grande commessa dell'albergo dei poveri a Napoli da parte di Carlo di Borbone, che lo avrebbe costretto ad alternare la sua presenza tra Roma e Napoli per più di un decennio, proiettando di riflesso la figura del G. sulla grande ribalta dell'architettura romana del secondo Settecento (Manfredi, Ferdinando Fuga a Roma…). Fuga disponeva già di un aiutante, Salvatore Casali (S. Pasquali, in In Urbe architectus…, pp. 334 s.) che, tuttavia, avendo ottenuto nel 1747 la carica amministrativa di sottoforiere dei Sacri Palazzi apostolici, aveva finito con il limitare la sua collaborazione nell'ambito di questa istituzione. Per tale motivo probabilmente Fuga si rivolse per le altre incombenze al G., che infatti dal 1749 è il solo a figurare come suo sostituto nell'ufficio pubblico di sottomaestro presso il tribunale delle Strade e negli incarichi privati presso la famiglia Corsini, la regia chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, le arciconfraternite della Ss. Annunziata e dell'Orazione e Morte (Manfredi, 1991, p. 383), la Congregazione dei padri trinitari di S. Carlino alle Quattro Fontane (Morganti - Tancioni). Anche al G., perciò, si doveva riferire L. Vanvitelli nel 1756 riportando la voce che Fuga stava trattando il suo trasferimento in Portogallo con "giovani e capi mastri" al servizio di Giuseppe I (Manfredi, Ferdinando Fuga a Roma; Lettere, I, n. 366, 7 apr. 1756).
L'attività per il tribunale delle Strade caratterizzò tutta la carriera del G., il quale fin dal suo ingresso in servizio, nonostante il ruolo di "giovane", si trovò a svolgere mansioni effettive di sottomaestro per le assenze sempre più lunghe del titolare Fuga da Roma. Fino a quando, nel 1758, fu nominato ufficialmente coadiutore, e, nel 1760, finalmente sottomaestro in supplenza permanente del maestro, il quale manteneva solo nominalmente, senza stipendio, la carica resasi incompatibile con la carica ufficiale di architetto del re di Napoli attribuitagli il 30 giugno 1759 (Manfredi, 1991, pp. 284 s. n. 37). Rimangono molte testimonianze della più che ventennale attività del G. per il tribunale delle Strade: relazioni, misure di lavori, nonché numerosi disegni in calce alle lettere patenti a lui attribuibili, relativi ai rioni di cui era direttamente responsabile, che ne attestano la costante presenza sulle strade di Roma e del territorio e quindi l'importanza della sua funzione nel controllo dello sviluppo edilizio della città.
Anche per quanto riguarda il servizio come assistente di Fuga presso il cardinale Neri Corsini per la prosecuzione del cantiere del palazzo di famiglia alla Lungara, il G. ebbe modo di affermarsi progressivamente in prima persona, trovandosi ad affrontare la costruzione di complessi manufatti come il corpo scale assiale (1751-53) e il cortile della Cavallerizza (fine 1754-55: Borsellino; Kieven, 1988), nonché dei nuovi locali della stalla, del rimessone e dei granai annessi al palazzo, all'angolo tra via della Lungara e il secondo vicolo dei Riari (1758-60), privi di particolari caratterizzazioni architettoniche (Borsellino, pp. 90, 179-182; Manfredi, in Roma nel Settecento).
La costante presenza presso il cantiere dei Corsini faceva del G. il punto di riferimento per tutti gli interventi ordinari e straordinari pertinenti all'architetto della famiglia. Tra questi vi furono con ogni probabilità gli apparati per la festa della nomina del cardinale Andrea Corsini celebrata il 17-19 novembre, stabilita da Clemente XIII il 24 settembre precedente (Gonzales, p. 167). Come consuetudine per le sedi dei nuovi porporati, si trattò di sovrapporre una facciata effimera a quella di palazzo Corsini. In assenza di raffigurazioni a stampa, le sole notizie tramandate sulla decorazione della facciata sono quelle del Diario ordinario (n. 6612, pp. 3-7) riguardanti la sua fastosa illuminazione, con più di trecento torce, e la presenza di statue rappresentanti le Virtù cardinali e dello stemma del pontefice.
L'ultimo prolungato soggiorno a Roma di Fuga probabilmente risale alla primavera del 1761, quando, abbandonate definitivamente le speranze di grandi commesse papali, predispose il trasferimento della famiglia a Napoli (attuato l'anno seguente), senza curarsi più direttamente delle sue residue incombenze professionali. Da allora il G. rivestì sia il ruolo di architetto dei Corsini, sia, di fatto, quello di architetto della regia chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli. Allo stesso G. è quindi da attribuire l'ampliamento di un casamento, oggi scomparso, ubicato presso la chiesa di S. Giacomo nel vicolo degli Spagnoli per il quale venne rilasciata licenza dal tribunale delle Strade il 31 dic. 1760 (Manfredi, in Roma nel Settecento).
Il crescente prestigio del G. coincise significativamente con la sua ammissione nella Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, avvenuta con voto unanime il 12 maggio 1761 dietro presentazione di un memoriale curriculum e ufficializzata il 10 maggio successivo (Roma, Archivio della Pontificia Accademia dei Virtuosi, Libri delle Congregazioni, vol. VI, alle date). Complementare all'Accademia di S. Luca per quanto riguarda gli aspetti devozionali, questa associazione di artisti costituiva il più prestigioso consesso professionale al quale potevano ambire coloro che, come il G., erano esclusi dai ristretti ranghi dell'Accademia (Bonaccorso - Manfredi). Anche se il G. non arrivò ad assumerne le massime cariche, è da credere che si giovò della presenza tra i Virtuosi per migliorare la sua immagine nel mondo artistico romano, in un momento di crescenti difficoltà economiche dello Stato che rendevano sempre più difficile emergere dall'anonimato attraverso opere significative.
Nel 1766 il G. ebbe comunque modo di apparire in un'opera di grande rappresentatività pubblica: gli apparati effimeri per le esequie di Elisabetta Farnese, celebrate il 26 nov. 1766 nella chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, godendo ancora una volta dell'assenza di Fuga, al quale come architetto in carica della Corona di Spagna a Roma sarebbe spettata la commessa.
Il catafalco progettato dal G., raffigurato nell'incisione di Giuseppe Vasi tratta da un suo disegno e descritto nelle relazioni a stampa dell'avvenimento (Pietrangeli, p. 135; Gonzales, pp. 179 s.), era caratterizzato da un primo basamento con quattro facciate concave delimitate sugli assi diagonali da mensoloni a loro volta interposti a quattro sezioni di una gradonata circolare e sormontati dalle statue alludenti a Fede, Fortezza, Prudenza e Magnificenza, opera dello scultore Pietro Rudiez, da un secondo basamento, più ridotto in altezza, con facce rettilinee, sul quale poggiava un'urna trapezoidale sormontata da un gruppo scultoreo rappresentante la Spagna, sostenente il ritratto della defunta, una Fama volante, un leone e lo stemma della monarchia, opera di Alessandro Bracci. La composizione, sormontata da una grande corona con festoni, mostrava un grande equilibrio tra struttura architettonica, apparato decorativo e parte scultorea. L'abile interpretazione del modello di catafalco monumento denota una notevole maturità del G. e la sua autonomia creativa rispetto alle opere di questo genere ideati dai suoi maestri Cipriani e Fuga, di cui comunque aveva recepito la linea classicista nell'ambito della tradizione barocca romana.
Nel 1766 egli si occupò anche della costruzione del portico settentrionale di palazzo Corsini, verso il giardino. Tuttavia quando la fabbrica era in stato avanzato si verificò un crollo rovinoso, al quale si riferiscono i sarcastici commenti di Vanvitelli contenuti in due lettere del 22 agosto e dell'8 sett. 1767 che accomunano il G. al suo odiato rivale: "essendo state frequenti le cadute delle fabriche al Fuga, maestro di Golia, non trovo strano che sia per una sol volta accaduta al discepolo. Produrrà questo, come al Fuga, ogni maggior impensata fortuna" (Lettere, vol. 3, n. 1368, p. 442); "la caduta dei ponti e delle fabriche si lascia la privativa al Fuga ed a suoi scolari imitatori delle di lui virtuose scienze in architettura" (ibid., n. 1373, p. 449). Le lettere di Vanvitelli permettono di fissare la data del crollo finora non accertata, e di conseguenza consentono di spiegare la presenza di Paolo Posi, che nel 1770, dopo la conclusione del cantiere avvenuta nel 1769, fu retribuito con 80 scudi per l'assistenza prestata nella "riedificazione de' Portici e loggia annessa al Palazzo della Longara" (Borsellino, pp. 91 s., 185; Kieven, 1988, p. 93), probabilmente a fianco del G. che continuò a seguire i lavori tarandone i conti. Entrambi gli architetti comunque si limitarono a eseguire l'opera prefigurata da Fuga, caratterizzata dalla sobria linearità del complesso con una sequenza di arcate che dovevano essere ornate da due statue in stucco raffiguranti la Fortezza e la Carità, oggi scomparse. La morte del cardinale Neri Corsini, avvenuta il 6 dic. 1770, segnò la fine dei lavori nel palazzo con il portico meridionale rimasto incompiuto.
L'inconveniente occorsogli nel cantiere di palazzo Corsini, contrariamente alle ironiche allusioni di Vanvitelli, non portò fortuna al G., la cui carriera anzi dovette risentirne pesantemente, giacché da allora figura solo nell'attività di architetto del tribunale delle Strade e dell'Arciconfraternita di S. Maria dell'Orazione e Morte (sempre in sostituzione di Fuga), fino alla morte avvenuta a Roma nel 1772 (Noack).
Fonti Bibl.: Oltre ai documenti citati nel testo, si veda: F. Noack, schede manoscritte conservate presso la Bibliotheca Hertziana di Roma (voce F. G.); C. Pietrangeli, Il Museo di Roma. Documenti e iconografia, Bologna 1971, p. 135; Le lettere di Luigi Vanvitelli della Biblioteca Palatina di Caserta, a cura di F. Strazzullo, Galatina 1976, I, n. 366 p. 533, 7 apr. 1756; III, n. 1368 p. 442, 22 ag. 1767; n. 1373 p. 449, 8 sett. 1767; S. Sciubba, La chiesa della Natività di Gesù e l'Arciconfraternita della Natività di N.S.G.C. e degli Agonizzanti, in Alma Roma, XVIII (1977), 1-2, pp. 8 s.; E. Borsellino, Palazzo Corsini alla Lungara. Storia di un cantiere, Fasano di Puglia 1988, pp. 74-105, 165-186; E. Kieven, Ferdinando Fuga e l'architettura romana del Settecento, Roma 1988, pp. 51-55; Id., in In Urbe architectus… Roma 1680-1750 (catal.), a cura di B. Contardi - G. Curcio, Roma 1991, pp. 377, 412; T. Manfredi, ibid., pp. 284 s. n. 37, 383; P. Guerrini, Clemente Orlandi architetto e sue opere inedite per Nicolò-Maria Pallavicini, in Architettura città territorio. Realizzazioni e teorie tra illuminismo e romanticismo, a cura di E. Debenedetti, Roma 1992, pp. 93-129; L. Morganti - G. Tancioni, Il casamento dei padri trinitari di S. Carlino in via del Monte della farina, in Roma borghese. Case e palazzetti d'affitto, a cura di E. Debenedetti, I, Roma 1994, p. 336 n. 12; A. Bartomioli, Natività di Nostro Signore Gesù Cristo dell'Arciconfraternita degli Agonizzanti, in Roma Sacra. 8° itinerario, a cura di B. Contardi, Napoli 1996, pp. 12 s.; E. Gonzales, in Il Settecento e l'Ottocento. Corpus delle feste a Roma, II, a cura di M. Fagiolo, Roma 1997, pp. 167, 179 s.; G. Bonaccorso - T. Manfredi, I Virtuosi al Pantheon, 1700-1758, Roma 1998; T. Manfredi, Palazzo Corsini; casamento della chiesa di S. Giacomo degli Spagnoli, in Roma nel Settecento, a cura di P. Micalizzi, in corso di stampa; Id., Ferdinando Fuga a Roma…, in Ferdinando Fuga. 1699-1999. Roma, Napoli, Palermo. Atti del Convegno nazionale di studi, Napoli… 1999, in corso di stampa.