PACCHIANI, Francesco Giuseppe Maria
PACCHIANI, Francesco Giuseppe Maria. – Nacque a Prato il 4 ottobre 1771, da Giovacchino e da Agata Cigna.
Di famiglia benestante grazie alle attività commerciali del padre, svolse i primi studi presso il seminario di Prato. Pur non brillando per i risultati, manifestò un precoce interesse per le materie scientifiche. Ordinato prete nel 1792, iniziò a frequentare l’Università di Pisa, entrando soprattutto in rapporto con Lorenzo Pignotti, poeta e favolista, medico di formazione, titolare dell’insegnamento di fisica dal 1774.
Nell’ottobre 1801 venne chiamato sulla cattedra di logica e metafisica, disciplina fino ad allora tenuta dal naturalista e filosofo sensista Cristofano Sarti. L’anno seguente ottenne l’insegnamento di fisica, proprio in sostituzione di Pignotti, il quale aveva lasciato l’incarico per intraprendere una brillante carriera nella Pubblica Istruzione. Nel 1803 gli venne conferito un canonicato presso la cattedrale di Prato. Nel frattempo, seguendo l’esempio di Pignotti, aveva iniziato a scrivere novelle e componimenti.
Molto stimato dal granduca Ferdinando III e da vari studiosi e intellettuali (come Guglielmo Libri), era un ottimo docente, amato dai suoi studenti, soprattutto dai più giovani. Ecco come si esprimeva l’allievo Pietro Pietrini: «Attualmente i miei studi favoriti sono la statica, l’analisi, la chimica dei vegetali e l’economia pubblica. Io mi sono abbandonato in questo alle insinuazioni di Pacchiani. Ogni giorno trovo de’ nuovi motivi per aumentare la mia stima e il mio amore per un uomo come Pacchiani, che si occupa con tanto zelo intorno alla mia educazione» (Nicastro, 1920, p. 176).
Come molti altri cultori di scienze naturali del suo tempo, decise di studiare a fondo i fenomeni fisici e chimici legati alla scoperta della pila da parte di Alessandro Volta. Nell’agosto 1804, comunicò all’Accademia dei Georgofili di Firenze alcune Osservazioni tendenti a provare non essere vera la proprietà comunemente creduta inerente al polo positivo della colonna elettrica del Volta. Le osservazioni di Pacchiani vennero quindi riportate nel primo fascicolo, pubblicato nel gennaio 1805, del Magazzino di letteratura, scienze, arti, economia politica e commercio di Firenze. Secondo Pacchiani, la pila di Volta non possedeva la capacità di liberare ossigeno al polo positivo e idrogeno a quello negativo. Al contrario, al polo positivo venivano liberati alternativamente ossigeno e idrogeno, mentre a quello negativo idrogeno e ossigeno.
Il 9 maggio 1805 indirizzò una lettera a Pignotti (Annali di chimica e storia naturale, XXII [1805], pp. 125-133) nella quale affermava di aver svelato, finalmente, il ‘mistero’ della composizione dell’acido muriatico (acido cloridrico, HCl), una delle questioni che maggiormente fece discutere scienziati e ricercatori nei primi anni dell’Ottocento: «Essere l‘acido muriatico – scriveva – un ossido d’idrogeno, e per conseguenza composto d’idrogeno, e d’ossigeno» (p. 128). In sostanza, l’acido muriatico sarebbe stato a suo parere un composto binario formato da idrogeno e ossigeno, combinati in diverse proporzioni rispetto a quelle che davano luogo all’acqua. Nei successivi mesi di giugno e luglio, scrisse altre due lettere indirizzate a Giovanni Fabbroni (ibid., pp. 134-145, 156), una delle maggiori personalità delle ricerca scientifica italiana, noto anche a livello internazionale, nelle quali ribadiva la validità della sua scoperta. Le tre lettere ebbero un’enorme risonanza e contribuirono a dare luogo a una controversia che vide coinvolta, tra il 1805 e il 1806, grazie anche al lavoro di diffusione svolto da Fabbroni, l’intera comunità scientifica europea, da Volta a Joseph-Louis Gay-Lussac, da George Cuvier ad Alexander von Humboldt. Dopo una fase di iniziale entusiasmo, le esperienze effettuate da numerosi fisici e chimici (in particolare Jean-Baptiste Biot e Louis-Jacques Thénard) giunsero a negare la validità della scoperta di Pacchiani. Anche i suoi più convinti sostenitori, come Gaetano Cioni e il citato Petrini, divenuto uno degli animatori dell’Accademia pistoiese di scienze, lettere ed arti, alla fine furono costretti ad ammettere il fallimento delle indagini di Pacchiani, i cui esperimenti erano stati viziati da una strumentazione imperfetta e dall’utilizzazione di una serie di sostanze impure.
L’epilogo negativo della vicenda, che aveva suscitato in lui tante speranze, soprattutto professionali, gli produsse un profondo stato di depressione e apatia che pose fine alla sua carriera scientifica.
La sua opera, tuttavia, servì a dare grande risalto a una disciplina, l’elettrochimica, che sarebbe stata al centro della ricerca internazionale nei decenni successivi. Il mistero della natura dell’acido muriatico venne risolto, qualche anno dopo, dal grande chimico inglese Humphry Davy, il quale determinò anche la natura del cloro (Cl) in quanto elemento.
Pacchiani lasciò il suo incarico presso l’Università di Pisa e si trasferì a Firenze, dove iniziò a dedicarsi esclusivamente alla carriera letteraria, pubblicando vari sonetti ed epigrammi. Nonostante le disavventure in campo scientifico e un carattere particolarmente bizzarro e scostante (come risulta da numerose testimonianze), che gli provocò notevoli difficoltà, continuò a ricevere l’affetto e la stima di numerosi studiosi e intellettuali. Nel 1808 venne nominato segretario della Società del Cimento (la sezione di scienze fisiche e matematiche dell’Accademia fiorentina terza, istituita nel periodo napoleonico riformando l’Accademia fiorentina seconda voluta da Pietro Leopoldo) e il 23 gennaio 1812 fu ascritto all’Accademia della Crusca (già confluita a sua volta nella Fiorentina terza e da poco ricostituita come istituzione autonoma).
Fu molto attivo nell’ambito dell’Accademia della Crusca, occupandosi anche di temi rilevanti, quali l’origine del linguaggio (come risulta dai verbali dell’Accademia e dai resoconti dei giornali locali) e partecipando a numerose iniziative, fra cui la preparazione della quinta edizione del Vocabolario (che sarebbe stata pubblicata a partire dal 1843).
Morì a Firenze il 31 marzo 1835.
Studioso di Dante, lasciò la maggior parte della sua produzione letteraria incompiuta (come la tragedia Francesca da Rimini, che si fermò al primo atto) e solo alcuni scritti uscirono postumi; fra questi, il Canto in morte di Ferdinando III granduca di Toscana, dato alle stampe nel 1837 o la lezione accademica Della voce ‘Caribo’ adoperata dall’Alighieri nel canto XXXI del Purgatorio, edita da Cesare Guasti nel 1865. Nel 1875 furono pubblicate Alcune lettere inedite.
Fonti e Bibl.: Prato, Archivio capitolare, Libro dei battezzati, 1771-1779; A. Paolini, Elogio storico filosofico di Lorenzo Pignotti, Pisa 1816; Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti del secolo 18., e de’ contemporanei, a cura di E. De Tipaldo, VI, Venezia 1837, pp. 67-71; M. Ferrucci, Cenni biografici di F.P., Ginevra 1837; C. Guasti, Bibliografia pratese, Prato 1844, pp. 179-187; T. Martini, F. P. e la scoperta del cloro, in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere e arti, LXIX (1909-10), parte II, pp. 505-528; S. Nicastro, F. P., in Archivio storico pratese, III (1920), pp. 173-185, IV (1921) pp. 31-44, 81-92, 111-147; F. Abbri, Il misterioso “spiritus salis”. Le ricerche di elettrochimica nella Toscana napoleonica, in Nuncius, II (1987), 2, pp. 55-88.