GIUGNO (Zugno, Zugni), Francesco
Nacque nel 1577 a Brescia (Boselli). Benché sia stato un eccellente e prolifico interprete del manierismo bresciano, il G. è tuttora un pittore poco conosciuto. La scarsezza di documenti rinvenuti fino a oggi rende infatti problematica la ricostruzione della sua vicenda biografica.
In una polizza d'estimo, priva di data ma collocabile tra il 1588 e il 1595, viene data notizia di un tale "Ludovico Zugno sartor" abitante a Brescia nella prima "quadra" di S. Giovanni e di suo figlio Francesco di nove anni (ibid., p. 224). Si tratta però di un documento che attende una verifica, poiché, data l'impossibilità, almeno allo stato attuale, di poter precisare l'identità dei personaggi sopracitati, nulla esclude che si tratti soltanto di un caso di omonimia.
È certo invece che il pittore, come registra un atto del 20 febbr. 1615, fu compare di battesimo di Alessandro Viviani, figlio del quadraturista Viviano Viviani, cui il G. doveva essere unito, oltre che da vincoli professionali, da un rapporto di profonda amicizia (Guzzo, 1985, p. 254). Si è inoltre a conoscenza che egli era sposato con Teodora, figlia di un tale Giuseppe, "ricamatore in Brescia", dalla quale ebbe un figlio di nome Michelangelo; e che nel 1620 era già vedovo (Id., 1986, p. 92).
Le fonti descrivono il G. come un uomo "gioviale ed arguto" (Ridolfi), amante della musica e del teatro tanto da farsi promotore di quell'Accademia dei Sollevati che aveva sede presso la sua stessa abitazione.
La considerevole stima di cui egli godette è ben rappresentata dai toni encomiastici del pittore Francesco Paglia che, nel descrivere le virtù pittoriche del G., le giudicò superiori a quelle del suo stesso maestro Iacopo Negretti, noto come Palma il Giovane (Il giardino della pittura, c. 124). Anche molti anni dopo Lanzi ammirò nella pittura del G. la "pienezza", il "colorito" e l'amore con cui era condotta.
Il G. lavorò prevalentemente per ambienti chiesastici e conventuali, ed eseguì uno straordinario numero di pale d'altare ancora oggi disseminate nei piccoli centri della Val Trompia. Tali rapporti non impedirono tuttavia che egli si impegnasse nella pittura a carattere profano, destinata per lo più a una committenza privata. Dei molti dipinti che i biografi e le antiche guide ascrivono al G. è rimasto oggi solo un piccolo gruppo di opere autografe, la cui esiguità non consente di tracciare un percorso omogeneo dell'evoluzione stilistica dell'artista. Nonostante le molte attribuzioni, riferite al pittore solo su base stilistica, non esiste a tutt'oggi un catalogo completo delle sue opere.
Anche per ciò che riguarda la formazione artistica e la sua produzione giovanile le notizie sono alquanto scarne. Le fonti seicentesche riferiscono che il G., dopo un primo apprendistato svolto a Brescia nella bottega del pittore morettesco Pietro Marone, si trasferì a Venezia per ricevere gli insegnamenti di Iacopo Palma il Giovane "et fece tanto profitto in pochissimi anni, che con sincera sodisfazione di tanto Maestro, ottenne il pregio sopra tutti gli altri eccellenti che sono usciti da quella scola eccellentissima" (Rossi, p. 329). Non sono noti i termini cronologici di tale soggiorno veneziano; ma la critica è propensa a credere che esso si sia svolto durante l'ultimo decennio del Cinquecento. L'ipotesi si basa sul fatto che la Circoncisione del 1605 per S. Maria delle Grazie a Brescia, prima opera nota del G., nell'impostazione compositiva e nella cromia mostra già un carattere spiccatamente palmesco; si deve anche precisare, però, che nelle chiese bresciane non mancavano esempi pittorici del Cinquecento veneziano cui il G. poté guardare ancor prima di recarsi nella città lagunare.
Nella Comunione di s. Maria Maddalena per la parrocchiale di Lavone e nel Martirio di s. Lorenzo per quella di Nuvolera, dipinti datati rispettivamente 1608 e 1609, è molto evidente l'adesione ai modi del Palma, che, in forma più o meno accentuata, costituì un tratto costante della produzione del G.; è significativo che molti suoi dipinti vennero assegnati dalle fonti allo stesso Palma, e viceversa.
Allo scadere del primo decennio del secolo si colloca il Battesimo di Cristo (1610) per la parrocchiale di Lumezzane Pieve, un'opera che mostra il raggiungimento di uno stile più maturo e personale, caratterizzato dall'uso di "una pasta densa, oleosa, carica di colore" (Calabi, p. 171); mentre le inquadrature fortemente scorciate e ricche di contrasti luministici richiamano le tele del Tintoretto (Iacopo Robusti) e del Veronese (Paolo Caliari).
Il G. fu però noto ai contemporanei soprattutto per la sua attività di frescante, condotta spesso a fianco del quadraturista Tommaso Sandrini.
Tra il 1610 e il 1612 i due furono impegnati nella decorazione dello scalone e dell'ala est del broletto di Brescia, dove il G. eseguì figure simboliche alternate a scene di giustizia e monocromi didascalici: l'impresa, saldamente documentata dalle fonti, è oggi quasi interamente perduta, e dunque difficilmente valutabile sotto l'aspetto stilistico.
Diversi anni più tardi, nel 1617, quando la sua fama era ormai affermata, il G. partecipò ai lavori in S. Maria delle Grazie a Brescia. Gli venne assegnato il compito di dipingere i cinque riquadri della navata maggiore con le Glorie della Vergine, l'opera senz'altro più impegnativa e prestigiosa affrontata dall'artista nel corso della sua carriera.
I dipinti che seguirono, la Pentecoste, databile tra il 1617 e il 1618, per il santuario di S. Maria della Misericordia presso Bovegno e Gesù che consegna le chiavi a Pietro per la parrocchiale di Marcheno (1620), mostrano i segni di un mutamento stilistico orientato al recupero delle specificità lombarde e, in particolare, della tradizione cinquecentesca. L'artista sembra infatti abbandonare le tinte squillanti e le alte sonorità della pittura veneziana in favore di tonalità smorzate; la monumentale gestualità manierista lascia il posto ad ambientazioni più intime e composte, dove il realismo dei personaggi evoca il ricordo dei ritratti di Alessandro Bonvicino, detto il Moretto.
Al gruppo di opere citate vanno aggiunti tre dipinti che, sebbene per certi versi ancora discussi, sono unanimemente riconosciuti tra i migliori esiti della produzione del Giugno. Si tratta del S. Giorgio che libera la principessa nella parrocchiale di Bovegno, della Madonna degli Orefici in S. Maria del Carmine a Brescia (1621) e del Martirio di s. Barbara nella chiesa del Carmine a Bergamo (1621).
Il primo, firmato dal G., ma privo ancora di una convincente collocazione cronologica, è considerato una prova eccellente del suo virtuosismo, ravvisabile in particolare nella trattazione minuziosa della corazza del santo. A questo dipinto è stato accostato il disegno di analogo soggetto conservato all'Accademia Carrara di Bergamo, uno dei pochissimi disegni attribuiti all'artista. Delle altre due opere, che le fonti unanimemente attribuiscono al G. e ricordano nella loro attuale ubicazione, solo la pala del Carmine ha un'iscrizione, pesantemente ridipinta e forse non più attendibile: accanto alla firma del pittore si legge infatti la data troppo tarda del 1651.
Il G. morì a Brescia il 27 sett. 1621, lasciando incompiuta una "pala di Santo Carlo", per la chiesa di Calcinato (Bianchi, p. 147). Per questa, andata probabilmente perduta, il G. aveva ricevuto un primo pagamento nel luglio (lo stesso mese in cui sottoscriveva il contratto per l'Assunzione della Vergine tra i ss. Zeno e Carlo della chiesa di S. Zeno a Prevalle: Stradiotti, p. 256); mentre il saldo, relativo alla sola "opera fatta" fu riscosso dal fratello il 12 nov. 1621, perché il G. risultava a quella data già morto (Guerrini).
Fonti e Bibl.: Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. G.IV.9: F. Paglia, Il giardino della pittura, cc. 124, 311; G.B. Bianchi, Diari (1600-30), in Cronache bresciane inedite, IV, Brescia 1931, pp. 121-123, 147, 154 s.; O. Rossi, Lettere… raccolte da Bartolomeo Fontana, Brescia 1621, pp. 329-331; C. Ridolfi, Le meraviglie dell'arte, II, Venezia 1648, pp. 258-260; F. Paglia, Il giardino della pittura. Libro secondo (1675-1714), a cura di C. Boselli, in Commentari dell'Ateneo di Brescia, CLVII (1958), p. 103; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, II, 2, Bassano 1796, p. 188; P. Brognoli, Nuova guida di Brescia, Brescia 1826, pp. 30, 34, 103, 123, 125, 137, 152, 171, 173, 186, 227; A. Sala, Pitture di Brescia, Brescia 1834, pp. 42, 72, 81, 84, 93, 97, 100, 107, 113, 118; S. Fenaroli, Diz. degli artisti bresciani, Brescia 1877, pp. 157 s.; F. Odorici, Guida di Brescia, Brescia 1882, p. 22; La pittura a Brescia nel Seicento e nel Settecento (catal.), a cura di E. Calabi, Brescia 1935, pp. 51 s.; E. Calabi, La pittura nel Seicento e Settecento. Visione retrospettiva della mostra, in Emporium, LXXXII (1935), pp. 171 s.; B. Passamani, La pittura dei secoli XVII e XVIII, in Storia di Brescia, III, Brescia 1964, pp. 601-603; C. Boselli, F. G. pittore bresciano, in Arte veneta, XXIII (1969), pp. 223-226 (con bibl.); M. Olivari, Presenze venete e bresciane, in I pittori bergamaschi. Il Seicento, II, Bergamo 1984, pp. 164, 167, 180 s.; E.M. Guzzo, Ricerche per la storia dell'arte a Brescia nella seconda metà del Cinquecento e nel Seicento: note biografiche su pittori, scultori e architetti a S. Alessandro (e a S. Clemente), in Commentari dell'Ateneo di Brescia, CLXXXIV (1985), p. 254; R. Stradiotti, in La pittura del Cinquecento a Brescia, a cura di M. Gregori, Milano 1986, pp. 255 s.; S. Guerrini, Note e documenti per la storia dell'arte bresciana dal XVI al XVIII secolo, in Brixia sacra, XXI (1986), pp. 28-32; E.M. Guzzo, in Il santuario di S. Bartolomeo a Magno di Gardone Val Trompia: storia, arte, restauri (catal.), a cura di E.M. Guzzo - C. Sabatti, Brescia 1986, pp. 88-92; Id., La pittura del tardo manierismo bresciano a Bergamo, in Brixia sacra, XXII (1987), pp. 137 s.; V. Terraroli, in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, pp. 768 s.; P.V. Begni Redona, in La pittura del Seicento in Val Trompia (catal.), a cura di C. Sabatti, Brescia 1994, pp. 36, 38, 44, 48, 78, 181; C. Sabatti, Documenti e regesti artistici, ibid., pp. 244 s.; L. Anelli, Un "Ratto d'Europa" di F. G., e qualche altro dipinto, in Civiltà bresciana, VI (1997), 4, pp. 63-65; A. Loda, Un quadro e un disegno del manierismo bresciano, ibid., VII (1998), 1, pp. 60 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXXVI, pp. 591 s. (s.v. Zugno, Francesco).