BONA, Francesco Girolamo
Nato a Ragusa di Dalmazia, da famiglia patrizia, l'8 novembre 1687, fu avviato alla carriera ecclesiastica, ricevendo l'ordinazione sacerdotale nel 1710. Laureato in utroque iure, esercitò per qualche tempo nel foro ecclesiastico di Ragusa, fu quindi creato canonico della cattedrale, e infine vicario dell'arcivescovo, G. B. Conventati. Sorti alcuni dissensi con quest'ultimo, il B. fu costretto a lasciare tale ufficio, e si recò a Roma. Qui esercitò ancora l'avvocatura ecclesiastica, fu predicatore e confessore di monache, e si guadagnò l'amicizia del cardinal Barberini, il quale lo avrebbe fatto designare da Benedetto XIII, alla morte del cardinale Raimondo Gallani, arcivescovo di Ragusa, se a tale nomina non si fossero opposte le leggi della città, che impedivano a un cittadino raguseo di occupare la cattedra arcivescovile in patria. Il papa lo designò, quindi, il 17 marzo 1727, alla diocesi di Marcana e Trebigne con la costituzione Apostolatus officium, in sostituzione del dimissionario monsignor Antonio Righi.
La diocesi affidatagli era in parte soggetta alle repubbliche di Venezia e Ragusa, ma in gran parte ai Turchi; i cattolici, in numero di circa tremila, erano assistiti da quattro parroci missionari di Propaganda Fide, che officiavano nelle tre o quattro cappelle esistenti nel territorio: nel centro di Trebigne non vi erano chiese, a Marcana una grotta, ove, durante le visite pastorali, il B. celebrava i sacri riti. La sua residenza abituale era, comunque, Ragusa: ma con grande zelo il B. si prese cura dei suoi diocesani, organizzando nel 1729 un sinodo diocesano, chiedendo alla Congregazione di Propaganda Fide che destinasse alcuni posti del Collegio di Fermo alla formazione sacerdotale di giovanetti del luogo, per riparare alla sempre più grave scarsezza di religiosi, e dedicandosi frequentemente alle visite delle zone più sperdute della diocesi.
La sua attività e la sua capacità gli valsero il titolo di arcivescovo di Cartagine (18 giugno 1731) e la nomina a vicario apostolico a Costantinopoli (23 giugno). Nel nuovo incarico il B. provvide anzitutto a far rispettare la disciplina ecclesiastica e a riformare gli abusi che si erano introdotti nelle comunità cattoliche dell'Impero ottomano, mediante una rigorosa visita pastorale eseguita da lui stesso nelle chiese di Pera e Galata, e da provicari e missionari di Propaganda nelle altre città che erano soggette alla giurisdizione del patriarcato. Sul piano diplomatico cercò di aumentare il prestigio della sua carica di inviato del papa, stringendo per la prima volta amichevoli rapporti con tutti gli ambasciatori, anche delle potenze acattoliche: il B., infatti, era consapevole che dalla mediazione delle altre potenze potevano scaturire importanti vantaggi per il libero esercizio della religione cattolica, mentre tentativi isolati presso la Porta si sarebbero risolti negativamente.
Il problema più delicato che il B. doveva risolvere riguardava la libertà di culto per gli Armeni cattolici, fino allora duramente perseguitati dagli ortodossi, il patriarca dei quali era il solo riconosciuto dal governo ottomano: a tale scopo, oltre a servirsi dell'appoggio dell'ambasciatore francese, marchese di Villeneuve, egli intavolò anche trattative dirette con il patriarca ortodosso, ottenendo che agli Armeni cattolici fosse riconosciuto il diritto di frequentare le prediche in lingua armena e turca nelle chiese latine.
Nella primavera del 1736, per motivi di salute, il B. abbandonò temporaneamente Costantinopoli, lasciandovi in qualità di provicario il padre Antonio F. Razzolini, provinciale dei conventuali. A Roma fece un'ampia relazione dell'attività svolta nei cinque anni della sua permanenza nella capitale turca e illustrò quale doveva essere la politica da attuare nel futuro, appoggiandosi prevalentemente alla Francia. Clemente XII approvò pienamente la sua condotta e le sue proposte, lo creò il 24 sett. 1736 assistente al soglio pontificio e lo incaricò, l'anno dopo, di una missione a Parigi, perché ottenesse dal governo francese ogni appoggio alla sua azione. In Francia il B. rimase quasi un anno, dal luglio 1737 al giugno 1738: fu ricevuto dal re Luigi XV, il 17 sett. 1737, e in tale occasione chiese che venissero impartite istruzioni all'ambasciatore a Costantinopoli, perché, facendo pressioni sulla Porta, ottenesse l'istituzione di un patriarcato cattolico ad Antiochia e la libertà di culto per gli Armeni cattolici. Rientrato a Costantinopoli l'8 luglio 1738, il B., venuto a conoscenza delle trattative di pace fra l'Impero e la Porta, che si conclusero poi effettivamente a Belgrado, ne diede immediatamente comunicazione a Roma, suggerendo che si premesse sulla corte di Vienna e su quella di Parigi, che avrebbe dovuto svolgere opera di mediazione, affinché fossero inseriti nel trattato degli articoli vantaggiosi per il libero esercizio del culto cattolico; il B. stesso, intanto, si adoperava in tal senso presso l'ambasciatore francese a Costantinopoli e la sua azione poté avere successo.
Furono quelli, fra il 1738 e il 1740, gli anni migliori della sua missione: a un certo punto si sperò addirittura una riunione della Chiesa armeno-ortodossa con la Chiesa di Roma, per la favorevole disposizione del patriarca armeno (Arch. di Prop. Fide, Romania 7, f 580); il rinnovo delle "capitolazioni" fra Francia e Impero ottomano, nel 1740, vedeva anche attuati alcuni suggerimenti dei B. in favore del libero esercizio del culto cattolico: venivano abrogati, fra l'altro, tutti i decreti emanati fino allora contro la religione e i religiosi cattolici-romani, venivano salvaguardate le chiese latine costruite senza l'autorizzazione del governo turco e veniva addossata a quest'ultimo la spesa per la manutenzione dei luoghi santi.
Dopo questo successo, il B., essendo peggiorata nuovamente la sua salute per l'insofferenza del clima, chiese il richiamo a Roma: la sua richiesta sembrò essere accolta dalla Congregazione di Propaganda Fide, tanto che, all'inizio del 1741, il B. rientrò in Italia, lasciando come provicario il padre Raffaele di Valle di Buono.
Però, il neoeletto Benedetto XIV non ritenne utile privarsi di un collaboratore delle qualità del B. e lo indusse a riprendere la sua azione, nominandolo, il 23 maggio 1742, anche visitatore apostolico delle missioni esistenti nel patriarcato con ampio mandato per far rispettare rigorosamente la disciplina ecclesiastica: decisione questa che va inquadrata nelle iniziative del nuovo pontefice per riportare la purezza dottrinale e la scrupolosa osservanza dei canoni tridentini nelle missioni del Medio e dell'Estremo Oriente; nello stesso tempo concedeva al B., per aumentarne il prestigio, la facoltà di creare tre protonotari apostolici e cinque cavalieri dello Speron d'Oro. Il B., inoltre, ottenne di potersi servire del nipote, Biagio Sauli, come provicario. Rientrato infine nella capitale turca il 23 sett. 1743, si trovò ad affrontare una situazione notevolmente peggiorata per gli Armeni cattolici. Qualche parziale successo lo ottenne in loro favore, in Crimea, per mezzo dell'ambasciatore francese conte di Castellane; ma, in generale, la loro condizione era di grave inferiorità, essendo sempre soggetti, per la celebrazione dei riti che avevano effetti civili, ai parroci armeno-ortodossi: ciò dava facile adito alle persecuzioni, che ripresero violentemente nel 1747. La proposta del B. a Roma, perché si ottenesse, per mezzo della Francia, la deposizione del patriarca ortodosso, responsabile della crisi, fu ritenuta dal segretario di Propaganda Fide d'impossibile realizzazione, e gli venne suggerita la massima moderazione.
Altra questione che preoccupò, l'anno dopo, gravemente il B. fu la diffusione rapida della massoneria fra gli europei, specialmente francesi, di Costantinopoli: la sua segnalazione fu raccolta dallo stesso Benedetto XIV che ne informò il cardinal de Tencin, perché il governo francese prendesse provvedimenti. Il de Tencin rispondeva il 4 nov. 1748 al pontefice che "si scriverà al nostro Ambasciatore e si scriverà con forza: ma non è troppo praticabile d'inoltrar le cose sino ad un certo punto. I Francesi de' quali parla Vostra Beatitudine sono la maggior parte negozianti, e quindi utili al nostro commercio di Levante. Se si fanno ritornare, il commercio cade interamente nelle mani degl'Inglesi, e che danno non ne ridonderebbe allora alla Cattolicità in quelle parti?" (Arch. di Prop. Fide, Romania 8, f. 547). Il de Tencin mostrava di credere, inoltre, che la setta fosse in declino, per giustificare la fiacca condotta del governo francese.
Il B., comunque, visto il disinteresse dell'ambasciatore francese, ottenne l'intervento del governo turco che disperse le riunioni dei massoni ed espulse dallo Stato il presunto capo (Arch. di Prop. Fide, ibid., ff. 550-552). Fu questo il suo ultimo successo: logorato nel fisico, ottenne il definitivo rimpatrio. Lasciato come successore il nipote, s'imbarcò il 25 giugno 1749 alla volta di Ragusa, ove morì il 28 dicembre dello stesso anno.
Gli è attribuita una Oratio in funere Eugenii Principisde Sabaudia, Venetiis 1749.
Fonti e Bibl.: Arch. di Propaganda Fide, Scritture non riferite,Dalmazia 7, ff. 56, 167, 191, 211, 213, 217, 262, 275 s., 287, 289, 341, 363,Ibid., Scritture non riferite,Romania 7; Romania 8; Romania 9, ff. 1-68; Arch. Segr. Vat., Vescovi 245, ff. 65, 228-238; Le lettere di Benedetto XIV alcard. de Tencin, a cura di E. Morelli, I, Roma 1955, pp. 33, 221, 259, 261-63, 273, 357; D. Farlati, Illyrici Sacri, VI, Venetiis 1800, pp. 316 s.; S. Glubich, Dizionario biogr. degli uomini illustri della Dalmazia, Vienna-Zara 1856, p. 46; C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon..., II, Wien 1857, p. 42; S. Dolci, Fasti litterario Ragusini, Venezia 1767, p. 27; Iuris Pontificii de Propaganda Fide, I, 3, Romae 1890, p. 232; L. von Pastor, Storia dei Papi, XVI, 1, Roma 1934, pp. 279, 300; G. Hoffrnann, Il vicariato apostolico di Costantinopoli(1453-1830), Roma 1935, pp. 5, 23 s., 102 ss., 152, 218, 220; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, V, Patavii 1952, p. 255; VI, ibid. 1958, pp. 149, 455; G. Moroni, Dizionario di erudizione stor. eccles., XLII, p. 232; LXXIX, p. 199.