GHERARDI, Francesco
Nacque a Firenze da Gherardo di Bartolomeo, "ritagliatore", e da Checca di Bartolomeo Zati, il 13 ag. 1449, stando a un documento anagrafico (Arch. di Stato di Firenze, Tratte, 80, c. 80r); secondo la sua "portata" al Catasto del 1469, in cui dichiara di avere 17 anni, risulterebbe nato invece nel 1452, cosa che si accorda con il fatto che non è menzionato con gli altri membri della famiglia nella "portata" del padre al Catasto del 1451 (ibid., Catasto, 702, c. 180).
I Gherardi erano una tipica famiglia del ceto mercantile fiorentino, appartenente alle arti maggiori, presente nella vita politica del Comune fin dal 1352. La fortuna politica e la situazione economica della famiglia si avvantaggiarono ulteriormente grazie all'appoggio costante e incondizionato da essi dato ai Medici fin dal ritorno di Cosimo dall'esilio nel 1434; ciò emerge chiaramente dal fatto che uno o più membri della famiglia entrarono a far parte di tutte le Balie medicee, da quella del 1434 a quella del 1480.
Mortogli il padre nel 1453, il G. rimase presumibilmente alcuni anni con la madre (non figura nella "portata" dei fratelli e dello zio al Catasto del 1457), per poi andare a vivere con questi ultimi almeno dal 1461. Ereditò dal padre l'attività di lanaiolo, comune anche al resto della famiglia, occupandosi in particolare di "lavorare certi panni di gharbo nella via del Palagio" (ibid., Catasto, 915, c. 173).
Il suo ingresso nella politica risale al 15 marzo 1478, quando fece parte dei Dodici buonuomini, uno dei due Collegi che coadiuvavano la Signoria. Nell'aprile 1480 entrò a far parte, in qualità di "arroto" per il quartiere di S. Croce, della Balia voluta da Lorenzo il Magnifico per riformare l'apparato costituzionale fiorentino e consolidare il suo potere.
Tra i provvedimenti più importanti presi da questo organismo, composto da 210 membri, fu l'istituzione del Consiglio dei settanta, una sorta di Senato, formato dai fedelissimi dei Medici, cui era demandato l'esame preventivo delle più importanti proposte legislative.
Nel bimestre marzo-aprile 1485 fu eletto al priorato, mentre dal settembre 1488 esercitò per un semestre l'ufficio di capitano di Cortona, una delle giusdicenze maggiori in cui si articolava il dominio fiorentino. Durante il suo mandato, nel gennaio 1489, si diffuse la notizia che a Valiano, località della Valdichiana compresa nel capitanato di Cortona ma prossima ai confini con lo Stato pontificio, si erano dati convegno dei fuorusciti di Perugia. Subito i Priori di questa città presentarono le loro rimostranze alla Signoria di Firenze, la quale si affrettò a ordinare al G. di farli uscire dai confini del territorio fiorentino. Dal 9 ag. 1490 e sempre per sei mesi, esercitò un altro degli "uffici estrinseci", quello di vicario di Firenzuola; dal 25 sett. 1491, ancora per sei mesi, fece parte dei conservatori di Leggi, organo collegiale che esercitava la sorveglianza sul corretto esercizio delle cariche pubbliche.
Nell'aprile 1494, quando ormai Lorenzo il Magnifico era morto da due anni e al vertice del governo era subentrato il figlio Piero, accadde l'episodio riferito dal Nardi e che vide il G. in posizione di contrasto con il Medici.
Piero de' Medici fece bandire da Firenze, per motivi mai del tutto chiariti, i cugini Lorenzo e Giovanni di Pier Francesco de' Medici, ma, stando al Nardi, le misure contro di essi avrebbero potuto essere ben più severe ("poco mancò che essi perdessero la vita"), se in difesa di loro, ma soprattutto in difesa della legalità delle procedure, non si fosse levato un gruppo di amici non sospetti dei Medici, tra cui spiccava il G. ("uomo grande e molto affezionato al detto Piero"), il quale lo ammonì "a non mettere le mani nel proprio sangue", cosa che "darebbe esempio in futuro di quello che contro di lui si avesse a fare" (Nardi, p. 23).
Nel 1494 il G. assurse alla massima carica della Repubblica fiorentina, quella di gonfaloniere di Giustizia.
Riferisce il Cambi che in questo periodo egli, al pari del suo predecessore Tommaso Giovanni e del suo successore Salvestro Federighi, fu oggetto di un'oscura profezia: alcuni frati del convento fiorentino di S. Croce, addolorati e preoccupati dal clima di discordie e rivalità, pensarono di organizzare una processione penitenziale non prevista dalla liturgia e pertanto si recarono a chiedere l'autorizzazione al gonfaloniere di Giustizia T. Giovanni, che oppose un rifiuto; l'istanza fu poi ripresentata al G. e quindi al suo successore, ma entrambi negarono il permesso: si raccontava che tutti e tre sarebbero morti poco dopo aver lasciato la carica a causa di tale diniego, mentre il successore del Federighi, che accordò il permesso per la processione, visse felicemente fino a tarda età.
Pochi giorni dopo lo scadere del gonfalonierato di Giustizia del G., Piero de' Medici veniva cacciato da Firenze e si inaugurava la parentesi di "governo popolare", destinata a protrarsi per quasi un ventennio. Nonostante l'adesione al regime mediceo e i rapporti personali con Piero de' Medici, sotto il nuovo regime il G. non fu emarginato: non solo entrò a far parte del Consiglio maggiore (di circa tremila membri, divenuto quasi l'emblema del nuovo regime), ma anche di consigli più ristretti, come il Consiglio degli ottanta e alcune "consulte" riunite nel 1495-97 dalla Signoria per avere il parere dei cittadini più eminenti sulle principali questioni politiche. Nel bimestre maggio-giugno 1499 il G. tenne per la seconda volta il gonfalonierato di Giustizia. Durante questo periodo i principali problemi affrontati furono la riforma del sistema elettorale, di cui si discuteva fin dal 1494 e che proprio in questo periodo trovò una soluzione permanente, e il riacquisto di Pisa, la città che aveva approfittato della discesa in Italia di Carlo VIII per sottrarsi alla giurisdizione fiorentina, sotto cui si trovava da quasi un secolo.
Dopo molte consulte convocate sulla riforma elettorale, si giunse alla provvisione del 30 maggio 1499, che attribuiva al Consiglio maggiore la designazione e poi l'approvazione dei candidati da imborsare per tutte le principali cariche della Repubblica. Secondo il Mariani la soluzione dell'annoso problema elettorale aumentò ulteriormente il prestigio del Gherardi. Risultati diversi si ebbero nell'affrontare il problema di Pisa, con la quale ancora nel maggio del 1499 si sperava di giungere a una soluzione patteggiata, dal momento che la città ribelle era stata praticamente abbandonata dai suoi alleati (prima i Francesi, poi i Veneziani). In seguito l'inaspettata e ostinata difesa a oltranza della città spinse a una decisa azione militare, che tuttavia, dopo gli iniziali successi, non riuscì ad averne ragione, dato anche il diffondersi nell'esercito dei Fiorentini di un'epidemia di malaria, alimentata dalla calura estiva e dalla malsanità dei luoghi. Il G., che durante il suo gonfalonierato aveva acquisito una certa familiarità con la questione di Pisa, fu eletto il 5 ag. 1499 commissario generale al campo contro i Pisani, insieme a Paolantonio Soderini. I commissari generali erano la longa manus del governo fiorentino sul luogo delle operazioni militari e avevano il compito di sorvegliare la condotta della guerra e soprattutto l'impiego delle risorse finanziarie stanziate allo scopo. I predecessori del G. e del Soderini si erano ammalati di malaria ed erano stati richiamati a Firenze, pertanto il G. e il Soderini furono invitati a partire per Pisa il giorno stesso della nomina. Il loro incarico era destinato a durare quindici giorni, con un salario di 16 lire e 13 soldi al giorno, ma poi, essendosi ammalate le persone designate a dar loro il cambio, fu prorogato di altri otto giorni. Il G., che il 24 agosto si sarebbe dovuto insediare a Pistoia come podestà, fu pregato di procrastinare di 15 giorni la sua partenza, in modo da terminare l'incarico e riferire agli organi di governo di Firenze. Il giorno 27 poté finalmente partire, ma giunse a Firenze così malato che, il 4 sett. 1499, morì.
Il G. si era sposato nel 1472 con Costanza di Roberto Leoni e aveva avuto diversi figli, di cui tre maschi: Luigi, Giovan Battista e Gherardo; aveva avuto inoltre un figlio illegittimo, di nome Marsilio, avviato alla carriera ecclesiastica.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Tratte, 80, c. 80r; 905, cc. 17, 114, 115; Catasto, 915, cc. 173, 214; 1006, c. 311; Decima repubblicana, 14, c. 268; Arte della lana, 22, c. 53; Raccolta genealogico-araldica Sebregondi, 2511; Raccolta Ceramelli-Papiani, 2289; Manoscritti, IV (251): L.M. Mariani, Priorista, cc. 781-783; Zibaldone di memorie della famiglia Gherardi: Gherardi Piccolomini d'Aragona, 720, cc. 43, 61, 179; Signori, Carteggio, II Cancelleria, 21, cc. 65, 82, 84; Signori, Condotte e Stanziamenti, 17, cc. 10, 14; Signori e Collegi, Deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 101, c. 65; Consulte e Pratiche, 61, cc. 100, 101, 142; 62, c. 311; Dieci di Balia, Condotte e stanziamenti, 45, c. 77; G. Cambi, Istorie, in Delizie degli eruditi toscani, XXII (1782), p. 130; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, I, Firenze 1858, p. 23; Carteggi delle magistrature del periodo repubblicano. Otto di Pratica. Legazioni e commissarie, I, a cura di P. Viti et al., Firenze 1987, p. 237; P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, I, Firenze 1877, p. 554; O. Tommasini, La vita e gli scritti di N. Machiavelli, I, Roma-Torino-Firenze 1883, p. 151; N. Rubinstein, Il governo di Firenze sotto i Medici, Firenze 1972, p. 370.