GERINI, Francesco
Poeta e scrittore, nacque a Firenze tra il 1455 e il 1456 da Giuliano, beccaio, e da una delle sue due mogli, non è accertato se dalla prima, di nome Nanna, o dalla seconda, Agnola Tagi. Ebbe quattro fratelli, Piero, Gerino, Bartolomeo, Antonio e quattro sorelle, tutti minori. Di condizioni familiari molto modeste, il 3 maggio 1494 sposò la fiorentina Bice de' Ricci, nipote di Roberto, suo socio in esercizio di banco. Intraprendente e fortunato uomo d'affari, vide ben presto migliorare la propria condizione economica conquistandosi la stima dei suoi concittadini: nell'arte dei beccai fu console nel 1497 e nel 1499, provveditore nel 1502. Il 27 giugno dello stesso anno fu iscritto nell'arte degli oliandoli e - godendo del "beneficio", ovvero dell'esenzione parziale o totale dal pagamento della tassa di matricola concessa a chi era già iscritto a un'arte - fu immatricolato anche nell'arte dei medici e speziali. Il 14 genn. 1504 sposò Ginevra Amidei, che gli portò una dote di 6000 fiorini e morì già nell'agosto del 1505. Non è riconducibile a fonti attendibili la notizia circa un terzo matrimonio, con Lucrezia Ceffini. In seguito alla nomina di notaio dei Signori ottenuta dal fratello Bartolomeo (1507), il G. venne nominato nel Consiglio maggiore (30 apr. 1508) e immatricolato all'arte del cambio (4 dic. 1509). Fu dei priori nei mesi di luglio e agosto 1515 e di marzo e aprile 1526.
La predicazione "eretica" di Girolamo Savonarola rappresenta l'obiettivo polemico del poema manoscritto Fiore di verità, suddiviso in quattordici capitoli ternari (datato intorno al 1498 e conservato alla segnatura ms. Ital. e.2 [31087] della Bodleian Library di Oxford), così come Dante e la Commedia ne costituiscono la fonte prima di ispirazione e il modello. Il G. tenta di far suoi gli austeri principî di Dante e soprattutto di sottrarlo al culto dei savonaroliani, che videro negli attacchi a papi e cardinali presenti nella Commedia un facile appiglio strumentale alla condanna portata avanti dal "profeta disarmato" contro la mondanità e la corruzione di Alessandro VI, dei Borgia e della Firenze del tempo.
L'imitazione smaccata e puramente verbale di Dante diviene ben presto il limite della poesia geriniana, che ricalca temi e strutture dei primi dieci canti dell'Inferno, senza riuscire però a riprodurne il sentimento poetico: tutti danteschi sono il somnium, il viaggio ultraterreno, la guida di s. Agostino (che prende il posto di Virgilio, ricalcandone la figura), la palude Stigia, la porta dell'Inferno ("O trista gente, lasciate ogni speranza ne l'entrata", I, 133-134, c. 7v), la città di Dite, l'Acheronte, i gironi, la condanna dei vizi capitali e la paura del pellegrino. Pochissimi gli elementi originali, che pure possono cogliersi, soprattutto nel capitolo degli eresiarchi (VIII), dove, per dimostrare definitivamente la propria ortodossia di fronte alla predicazione del Savonarola, il G. fa condannare il frate domenicano da s. Agostino - che ne discredita le presunte capacità profetiche e ne predice la morte - e lo spedisce nelle arche ardenti (ma il contrappasso è pur sempre mutuato da quello dantesco inflitto ai simoniaci). In effetti, la voce autentica del G. si fa sentire solo in materia di eresie (minuziosamente elencate), eretici e opere ereticali, e nella scelta di Agostino, motivata dall'influenza di un sacerdote agostiniano che gli fu padre spirituale e dall'ortodossia del santo, che "ebbe cacciato al fondo / ogni dottrina pernitiosa e ria" (I, 28-29, c. 5rv). Sempre nel capitolo VIII, il G. affronta anche la spinosa questione della scomunica del Savonarola a opera di papa Alessandro VI, contrastando la tradizionale obiezione sull'inefficacia della scomunica pronunziata da sacerdoti ritenuti indegni. È noto infatti che il Savonarola si ribellò alla condanna perché riteneva Alessandro VI immeritevole di sedere sul soglio di s. Pietro: nel Fiore di verità Agostino distingue allora tra papi cattivi e papi eretici, imponendo per i credenti ribelli l'obbedienza nel primo caso e decretando la colpevolezza del pontefice solo nel secondo. Una distinzione questa che viene a riconoscere in maniera indiretta le colpe di papa Borgia pur giustificando la condanna del Savonarola.
Il somnium termina all'improvviso, così come era cominciato, e il G., dopo aver incontrato l'eretico Savonarola nel capitolo XII, si ritrova sulla piazza della Signoria il 23 maggio 1498, appena in tempo per descrivere il supplizio del frate e dei due seguaci giustiziati con lui (capitolo XIV). Pur non aggiungendo nulla di nuovo alla descrizione dell'episodio, storicamente ben noto, così come i nomi dei giudici inquirenti e i particolari del processo, il racconto del G. rimane una testimonianza non trascurabile (proprio perché espressa da un avversario del Savonarola) della profondità del turbamento morale provocato negli animi dei Fiorentini dalla predicazione e dal supplizio del domenicano ferrarese. Meriti riconosciuti del G. rimangono la sua attenta lettura di Dante e la sua capacità di sciogliere alcune difficoltà d'interpretazione letterale dell'Inferno. A tratti è possibile cogliere alcuni elementi del carattere e della poetica: oltre all'amore per Dante, fervido quanto infelice, ricordi della propria famiglia, una sincera religiosità, uno stile influenzato, suo malgrado, dalle prediche del Savonarola. In realtà il G. fu uomo dal carattere severo, zelante della morale e della fede e non volle - anche da cauto affarista, avverso per indole agli eccessi - lasciarsi trascinare dalle esagerazioni mistiche e rivoluzionarie del Savonarola e dei suoi seguaci. Per questo, preferì affidare la propria opinione riguardo alle polemiche scoppiate alla vigilia della condanna e dopo di essa, a uno schema letterario derivato direttamente da Dante, popolarissimo proprio tra i savonaroliani.
Si ha notizia inoltre di un volume di Ricordanze (Un libro scritto di mano di Francesco di Giuliano di Piero Gerini e chiamasi "Ricordanze" adì 20 di maggio 1484) redatto nel 1484, del quale sono andati perduti sia l'originale sia l'apografo. è conservato in copia manoscritta presso la Biblioteca nazionale di Firenze (in Albero genealogico dei Gerini, Fondo Passerini, ms. 188, inserto n. 15) e sinteticamente riassunto da F.L. Del Migliore nel suo Zibaldone genealogico (Firenze 1684, pp. 232 s.).
Il G. morì, proprietario di banco, il 18 nov. 1526 nella sua casa fiorentina di via Valfonda, lasciando ai suoi figli numerosi beni mobili e immobili.
Fonti e Bibl.: C. Foligno, Un poema d'imitazione dantesca sul Savonarola, in Giornale storico della letteratura italiana, LXXXVII (1926), pp. 1-35 (rec. di M. Ferrara, in Rassegna bibliografica della letteratura italiana, XXXIV [1928], pp. 300-311).