GERARDO, Francesco
Nacque a Venezia nel 1532 da Giovanni di Biagio, avvocato, e Marina di Martini, in una famiglia di rango cittadino.
Primo di quattro figli maschi impiegati tutti al servizio della Cancelleria ducale, iniziò la sua carriera, forse già nel 1545, come ballottino e divenne notaio straordinario il 4 febbr. 1546. Dopo esser stato al servizio di Giovanni Battista Cappello, quindi di Alvise Bembo, patroni all'Arsenale, fu inviato a Roma, dove restò negli anni 1553-55, come coadiutore nell'ambasciata di Domenico Morosini.
Rientrato a Venezia, svolse incarichi presso i Signori sopra gli ori, i Provveditori sopra le fortezze e, durante il contagio del 1556, lavorò con i Provveditori alla sanità. Nel 1558 diventò segretario dei sindaci e avogadori in Dalmazia, e in quello stesso anno, il 12 agosto, fu promosso ordinario della Cancelleria ducale. Dal marzo 1560 fino al novembre dell'anno successivo andò a Torino come segretario dell'ambasciatore Andrea Boldù. Tornato a Venezia, vi rimase per pochi mesi, poiché già nel maggio 1561 ripartì per una missione diplomatica più impegnativa, come segretario di Giovanni Soranzo, ambasciatore in Spagna. Mentre era ancora alla corte di Filippo II, il 25 sett. 1564 fu promosso segretario del Senato e rientrò in patria alla fine dell'anno. Seguirono altri viaggi (a Firenze con l'ambasciatore Lorenzo Priuli, poi presso il duca d'Urbino con l'ambasciatore straordinario Matteo Zane), finché, tra il giugno 1568 e il febbraio 1572, fu impegnato nella sua prima missione diplomatica autonoma, come residente a Milano.
Ricorre nei suoi dispacci il problema della difesa della giurisdizione veneziana nelle zone di confine (in particolare, gli scontri tra Trevi e Bergamo per lavori di arginatura del fiume Brembo, e tra Pandino e il territorio cremasco per beni comunali), risolto ricorrendo a giudici arbitrali. Nell'ottobre 1569 diede notizia dell'attentato all'arcivescovo Carlo Borromeo. La guerra di Cipro divenne però presto argomento predominante e il G. fu incaricato da Venezia di coadiuvare la leva di soldati da inviare in Levante, in accordo con il governatore di Milano.
Nel febbraio 1571 fu inviato con urgenza a Genova, dove ottenne di armare 1000 soldati corsi; andò quindi in Corsica, per sovraintendere alle operazioni di reclutamento e di invio dei fanti a Candia. Infine, prima di rientrare in patria, concluse le trattative per il rinnovo della capitolazione tra i due Stati in materia di banditi. Tornato a Venezia alla fine di febbraio 1572, ripartì immediatamente al seguito del capitano generale da Mar Giacomo Foscarini (1572-73).
In seguito Giacomo Soranzo lo scelse come suo segretario in una missione nel Bresciano, poi nell'ambasciata straordinaria a Costantinopoli (1576), quindi come commissario sopra i confini in Dalmazia. Nel gennaio 1578 i fratelli Gerardo decidevano di sciogliere la fraterna, ma visti i forti contrasti, passarono quasi due anni prima di giungere a un accordo. Come primogenito, il G. tenne le case di residenza in Venezia, a S. Antonino, e in cambio si accollò una quota notevole dei debiti contratti dalla famiglia per sostenere le spese dei tre fratelli segretari (Giulio e Giacomo, oltre al G. stesso), negli onerosi viaggi al servizio della Serenissima.
Il 4 maggio 1580 il G. ebbe l'incarico di recarsi presso il duca di Mantova per impedire gli scavi di deviazione sul Mincio, che avrebbero provocato danni sia nelle campagne veronesi sia nel Polesine. Finalmente il 16 genn. 1582 concorse con successo al posto, particolarmente ambito, di segretario del Consiglio dei dieci. Per il G., ormai cinquantenne, iniziò un periodo di incarichi, soprattutto a Venezia, da dove poteva indirizzare meglio la propria carriera e quella dei fratelli. Arrivato quarto all'elezione di cancelliere grande nel gennaio 1588, mancò per soli 18 voti la successiva competizione del 1595, quando il Maggior Consiglio elesse Domenico Vico.
Per l'occasione il G. scrisse un memoriale nel quale, ripercorrendo le principali tappe della carriera, dimostrava di aver "consumato esso segretario gran parte et li migliori anni della sua età fuori di casa sua" (Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 183 [8161], cc. 104-105v).
Nel 1602, grazie al suo intervento, il nipote Francesco, figlio di Giulio, ottenne dal Consiglio dei dieci il condono dei 480 ducati che avrebbe dovuto sborsare a seguito di una causa persa contro il cancelliere grande Domenico Vico.
Ricalcando un modello familiare diffuso anzitutto tra il patriziato, il G. dedicò la vita e le esigue risorse economiche al servizio dello Stato, rimanendo celibe a tale scopo. La discendenza della casa Gerardo veniva assicurata dai fratelli Marcantonio e Giulio (neanche Giacomo, il quarto fratello, ebbe figli). Tale dedizione trovò ricompensa il 15 febbr. 1605 quando, all'età di 73 anni, il G. fu finalmente eletto cancelliere grande, la massima carica cui una persona della sua condizione sociale poteva aspirare. Vi rimase però soltanto per poco.
Il G. morì a Venezia il 25 maggio 1605. Celebrati i funerali solenni alla presenza del doge, com'era nelle prerogative dei cancellieri grandi, il G. fu sepolto nell'arca di famiglia che aveva fatto edificare nella chiesa di S. Antonino.
Nonostante le "provvisioni" vitalizie (per 310 ducati annui) accumulate nel corso della vita e le grazie aspettative (per 264 ducati annui) che poté trasmettere in eredità ai nipoti, alla sua morte il G. risultava debitore per 3620 ducati verso la cassa del Consiglio dei dieci.
Aveva compiuto l'intero cursus honorum fino al gradino più elevato della carriera cancelleresca, ma la morte, a così breve distanza dall'elezione a cancelliere grande, aveva impedito che le finanze sue e dei fratelli si risollevassero. A pochi mesi dalla scomparsa, la "sua angustiatissima posterità" chiedeva di estinguere gradualmente il debito, e negli anni successivi ottenne il condono di una parte di questa gravosa eredità. In base alla volontà testamentaria, le case di S. Antonino andarono al nipote Giovanni, figlio di Marcantonio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Cancellier grande, b. 13, cc. 13-18; Capi del Consiglio dei dieci, Notatorio, reg. 33, c. 49; Consiglio dei dieci, Comuni, regg. 30, cc. 115v-116v; 31, cc. 120v-121, 162v-163; 55, c. 67v; 58, c. 97rv; 63, c. 165; Dieci savi alle decime in Rialto, bb. 131/1097 (redecima 1566), 161/1149 (redecima 1582); Miscellanea codici, I, Storia veneta, bb. 2: T. Toderini, Genealogie delle famiglie venete ascritte alla cittadinanza originaria (1569-1801), vol. 2; 12: G. Tassini, Cittadini veneziani, vol. 9; Notarile, Atti, Notaio Giacomo Carlotti, bb. 3333, c. 11; 3334 (31 maggio, 11 nov. 1579); 3339, cc. 78v-79; 3340, cc. 73v-79; Notaio Francesco Caopenna, bb. 2561, cc. 119r, 167v-170r; 2562, c. 64v; Notarile, Testamenti, Notaio Giulio Ziliol, b. 1243/272; Notaio Francesco Erizzo, b. 1178/232; Senato, Deliberazioni, Secreti, regg. 75, c. 77v; 82, cc. 102v-103; Senato, Dispacci antichi di ambasciatori…, Milano, b. 2/I-II; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 26 [8357]: Cronaca dei gran cancellieri…, cc. 28, 29v, 30; 166 [7307]: Pietro Gradenigo, Memorie concernenti le vite de' veneti cancellieri grandi, cc. 78-79; 341 [8623], cc. 209-212; 1667 [8459], cc. 18v, 26; Ibid., Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 3418 bis; Andrea Morosini, Storia della Repubblica veneziana, III, Venezia 1784, p. 423; E.A. Cicogna, Delle iscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 439 s.; F. Mutinelli, Storia arcana ed aneddotica d'Italia raccontata dai veneti ambasciatori, I, Venezia 1855, pp. 276-293; I libri commemoriali della Rep. di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VII, Venezia 1907, l. 24, n. 44;G. Trebbi, La Cancelleria veneta nei secoli XVI e XVII, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, XIV (1980), pp. 115, 118; M. Casini, Realtà e simboli del cancellier grande veneziano in età moderna (secc. XVI-XVII), in Studi veneziani, XXII (1991), p. 213; A. Zannini, Burocrazia e burocrati a Venezia in età moderna: i cittadini originari (sec. XVI-XVIII), Venezia 1993, p. 152;I "documenti turchi" dell'Archivio di Stato di Venezia. Edizione dei regesti di A. Bombaci, a cura di M.P. Pedani Fabris, Roma 1994, p. 218.