GATTOLA (Gattalia, Gattoli, Gattula, de Gactulis), Francesco
Primogenito di Giovanni, maestro razionale e luogotenente del gran camerlengo al tempo di re Ladislao di Angiò Durazzo e della regina Giovanna II, appartenne al ramo principale della famiglia Gattola di Gaeta, le cui prime notizie rimontano alla metà del secolo XIII. Dovette nascere negli ultimi lustri del Trecento ed essere avviato per tempo alla carriera delle armi poiché in uno strumento notarile di vendita di beni paterni risalente al novembre del 1417 compariva già con il titolo di castellano di Aversa (in quello stesso atto era ricordato l'altro erede di Giovanni, Angelo); un ruolo questo tutt'altro che irrilevante, per la vicinanza di quella città alla capitale, e che è chiara spia della fiducia di cui godeva il G. presso la corte, ma anche una prova, qualora la nomina di quella castellania sia avvenuta durante la reggenza di Ladislao, della perizia del G. nel mestiere delle armi, considerata la cura posta da quel monarca nella scelta dei propri collaboratori militari.
Il G. puntò del resto molto sulla carriera delle armi e non attese a custodire il patrimonio che il padre aveva avuto cura di ingrandire. Nel 1417 vendeva a Giacomo Gattola, suo parente, il feudo di Appia, sito in territorio di Sessa, donato nel 1350 all'avo omonimo da Isabella di Appia, consorte di Raimondo Del Balzo; nel 1418 cedeva per 900 ducati a Leonetto Sanseverino - marito di Lisa Attendolo e padre di quel Roberto che sarà tra i più grandi condottieri del secolo - il casale di San Pietro in Vallo di Diano, acquistato dal padre nel 1408 insieme con i casali di Santo Arfiero e Santo Rufo, sempre in Principato Citra. La posizione del G. andò consolidandosi a partire dagli anni Venti del secolo, in uno dei periodi più confusi della storia del Regno. Il diritto alla successione napoletana concesso a Luigi III d'Angiò da Martino V nel novembre del 1419 (a pochi giorni di distanza dall'incoronazione di Giovanna II) e il conseguente proposito manifestato dal principe francese di passare nel Regno provocarono l'appello della regina ad Alfonso d'Aragona, che si preparò a intervenire in sua difesa, mentre Muzio Attendolo detto Sforza, già capitano generale dell'esercito durazzesco, passato al partito angioino, stringeva d'assedio la capitale. Nei torbidi seguiti al riconoscimento dei diritti dell'Angioino, che videro la rivolta della fazione francese, il G. si mantenne fedele alla Corona, tuttavia allorché l'esercito sforzesco, giunto Luigi III, si apprestò ad assalire Aversa, egli, d'accordo con lo Sforza, nella notte del 16 sett. 1420 aprì furtivamente le porte, consegnando la città al nemico e provocando la cattura di tutti i baroni fedeli alla regina che vi si erano rifugiati. Si trattò di un tradimento palese e grave, poiché assicurava subito agli Angioini una valida posizione in Terra di Lavoro (Luigi e lo Sforza si recarono ad Aversa e vi stabilirono il loro quartier generale) e determinava un repentino e pericoloso tentativo da parte degli angioini di impadronirsi della capitale, sfruttando l'entusiasmo causato da quel facile successo: i partigiani napoletani di Luigi aprirono infatti una breccia nella porta di S. Gennaro con l'intento di introdurre a Napoli i soldati sforzeschi, ma il pronto intervento di Gianni Caracciolo, al comando delle fanterie catalane, fece fallire l'azione.
L'antico e robusto legame della famiglia Gattola con la casa d'Angiò fu senz'altro la causa della condotta del G., per il quale l'eventualità di una reggenza aragonese non doveva apparire come una prospettiva auspicabile. L'episodio di Aversa inaugurò comunque per il G. una fase di stretta collaborazione con il principe francese e determinò il corso della sua carriera. Nominato maresciallo del Regno il 1° nov. 1420, e fatto cavaliere, ricevette nel febbraio dell'anno successivo la concessione del feudo di Montalto in territorio di Sessa. Quando poi, nell'estate del 1423, la regina Giovanna II, in conflitto con Alfonso, revocò la designata successione del sovrano aragonese (1° luglio), adottando come suo figlio e successore Luigi, questi, in qualità di duca di Calabria, provvide immediatamente a ricompensare il G., inserendolo nei ruoli di gestione delle province calabresi, ricadenti ora sotto il suo diretto controllo. Con atto dell'ottobre del 1423 Luigi III includeva nel perdono concesso dalla regina al G. e alla moglie Caterina Barabello, anche i suoi figli, Giovanni Andrea, Luisa e Isabella, nonché tutti i suoi familiari e aderenti; nel 1425 il G. fu nominato capitano di giustizia di Seminara, a nord di Reggio; nell'aprile del '26 gli fu affidato il medesimo ufficio a Nicastro, presso Catanzaro, una delle principali terre della regione; nel 1429 Luigi d'Angiò lo inviò a Castrovillari, sito strategico al confine tra Calabria e Basilicata, in qualità di "capitano di giustizia e di guerra"; mentre nel 1431 gli fu assegnato l'incarico di immettere il siniscalco Antonio Pappacoda nell'ufficio di castellano della torre di Pentedattilo, nell'estrema propaggine meridionale della regione.
Spentosi prematuramente Luigi III a Cosenza nel novembre del 1434, mentre conduceva una vittoriosa campagna militare contro i baroni ribelli sostenuti da Alfonso V, il G. non mancò di seguire il partito angioino, dichiarandosi fedele a Renato d'Angiò, fratello dello scomparso Luigi III che, benché prigioniero nelle mani del duca di Borgogna, fu scelto dalla regina come suo successore. In questa fase di delicato passaggio, considerata l'avanzata età della regina, maturò il desiderio del G. di entrare a far parte dell'aristocrazia della capitale. Alla morte di Giovanna, avvenuta il 2 febbr. 1435, e in attesa che avesse fine la detenzione di Renato, il governo del Regno fu affidato, come da testamento, al "Reggimento del Consiglio dei Governatori", una magistratura composta da sedici nobili scelti tra i principali del Regno. A imitazione di questo Consiglio di reggenza anche la città di Napoli si diede un proprio governo, composto da una Balia, o consulta, formata da diciotto deputati: dieci nobili tratti a coppia dalle cinque piazze o seggi della città e otto popolari eletti dai propri compagni di ceto. Nell'autunno del 1435 il G., domiciliato da oltre un decennio a Napoli, presentò istanza alla Balia dei diciotto per ottenere la cittadinanza napoletana ed essere ammesso tra la nobiltà del seggio di Nido. La richiesta fu accolta all'unanimità. Il 10 nov. 1435 la Balia dei diciotto concesse con solenne strumento la cittadinanza e le prerogative da questa derivanti al G. e ai suoi discendenti, riservando altresì a tutti il godimento degli onori, prerogative e grazie derivanti dalla loro appartenenza alla città di Gaeta.
La sconfitta di Renato d'Angiò da parte di Alfonso d'Aragona, lanciatosi alla conquista del Regno, determinò la fine delle fortune del G., il quale si ritirò a Gaeta, mentre i figli Giacomo e Giuliano abbracciavano la causa aragonese. Ancora nel 1442, poco prima che Alfonso entrasse trionfalmente in Napoli il 2 giugno di quell'anno, l'Angioino indirizzava però un atto in favore del G., indicandolo come milite, maresciallo e suo consigliere.
È ignota la data di morte del G. che va comunque posta oltre il 1451, anno in cui egli sottoscriveva in qualità di patrono della chiesa di S. Maria di Castagneto un atto per la concessione della stessa al chierico Matteo Spataro.
Fonti e Bibl.: I Diurnali del duca di Monteleone, a cura di M. Manfredi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXII, 5, p. 104; B. Facio, De rebus gestis ab Alphonso primo Neapolitanorum rege commentariorum libri decem, I, Napoli 1769, p. 10; Registro della Cancelleria di Luigi III d'Angiò per il Ducato di Calabria 1421-1434, a cura di I. Orefice, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, XLIV-XLV (1977-78), pp. 287 s., 340, 352, 363, 374; A. Terminio, Apologia di tre seggi illustri di Napoli, Venezia 1581, p. 63; G. Gattola, Ragionamento istorico genealogico della famiglia Gattola con una memoria pubblicata nell'anno 1769…, Napoli 1788, pp. 77-99; N.F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, pp. 185 s.; M. Schipa, Contese sociali napoletane nel Medio Evo, in Archivio storico per le provincie napoletane, XXXII (1907), pp. 770 s., 775-780.