GASPARONI, Francesco
, Nacque a Fusignano, in Romagna, il 5 nov. 1802 da Pietro Domenico e Anna Colla. Fu architetto ma soprattutto caustico cronista della Roma dei suoi tempi, spesso celando la sua identità con lo pseudonimo-anagramma di Gasparo Francesconi degli Ambasciatori, ferrarese. Per benevolenza del principe Alessandro Torlonia fu impiegato nell'amministrazione dei Sali e tabacchi, con chiaro intento assistenziale tanto da fargli affermare di essere "istrumento inutile per chi mi paga ed a me stesso" (come avrebbe ricordato in Fabbriche, 1850, p. 39). Poche sono le architetture a lui attribuibili con certezza, mentre numerosissime sono le sue pubblicazioni, che coprono un arco temporale dal 1833 fino al 1865, anno della morte; a partire dal 1861 gli fu a fianco, come collaboratore, il figlio Benvenuto.
L'attività del G. come architetto sembra essere limitata a committenze legate all'ambiente Torlonia. La prima notizia relativa a un incarico come architetto risulta da un documento conservato nell'archivio della famiglia Torlonia, datato febbraio 1833 e intitolato: Basi sulle quali dovrà distendersi il contratto della cavallerizza o circo nella villa Nomentana, architettato da F. Gasparoni.
Il documento contiene la descrizione dettagliata delle misure dell'anfiteatro e delle tecniche costruttive, purtroppo non verificabili a causa della distruzione della fabbrica all'inizio del Novecento, e pone più di un problema in quanto tutte le fonti coeve sono concordi nell'attribuire il progetto a Giovan Battista Caretti, autore degli ampliamenti e abbellimenti della villa e del palazzo Torlonia tra il terzo e il quarto decennio del secolo scorso, né risulta che il G., nei suoi innumerevoli scritti, abbia mai attribuito a sé l'opera. Le ipotesi che possono spiegare il documento sono più di una: il G. fu interpellato in un primo tempo per ideare la fabbrica e quindi l'incarico fu affidato a Caretti, oppure il G. si limitò a intervenire solo in veste di suggeritore delle basi del contratto, o infine l'architetto ebbe un ruolo di guida e sostegno nei confronti di Caretti, più esperto come pittore che come architetto (Campitelli, 1997, p. 147).
Un dato certo è che i Torlonia in quegli anni ebbero con il G. strettissimi rapporti di amicizia e collaborazione, come dimostrano i numerosi scritti encomiastici opera dell'architetto-scrittore per esaltare e celebrare i fasti degli ultimi mecenati romani.
L'unica opera di architettura certamente attribuibile al G. risale al 1834 ed è comunque una committenza nell'ambito dell'influenza Torlonia. Il G. risulta infatti autore di una fabbrica, un casino edificato in Albano per Domenico Benucci e divenuto nel 1841 proprietà di Giuseppe Ferraioli. Entrambi i proprietari erano legati ai Torlonia: Benucci era gestore dell'amministrazione dei tabacchi di cui dal 1833 il principe Alessandro Torlonia era amministratore e Giuseppe Ferraioli occupò la carica di rappresentante generale nella stessa amministrazione, nella quale era impiegato anche il G. (Moroni).
L'edificio è stato solo di recente chiaramente attribuito al G. (Rybko), in quanto egli stesso aveva ingenerato confusione in merito riferendone la paternità, in una delle sue pubblicazioni (Peregrinazioni a Genzano, Roma 1845, p. 19), a Gasparo Francesconi degli Ambasciatori, e attribuendola a se stesso in altre (L'architetto girovago, Roma 1841, pp. 198-203, e Prose sopra argomenti di belle arti, ibid. 1841, pp. VI s.). Il casino fu progettato dal G. riutilizzando e inglobando un'anonima costruzione preesistente e la difficoltà fu superata con l'inserimento di due corpi, uno nella parte anteriore e uno nella parte posteriore. L'edificio è caratterizzato sul fronte principale da un pronao tetrastilo con colonne doriche di ordine gigante, posto su un alto basamento nel quale è inserito l'accesso al piano interrato, e sormontato da un frontone con timpano triangolare in cui è inserito un fregio in terracotta, opera di Rinaldo Rinaldi, che raffigura Cerere e Trittolemo. Annesso al casino è l'edificio delle scuderie, realizzato qualche anno dopo da Virginio Vespignani, mentre le sale interne sono decorate con dipinti parietali di G.B. Caretti. La tipologia dell'edificio è evidentemente correlata a quella di due fabbriche Torlonia realizzate negli stessi anni, il casino della villa di via Nomentana a Roma e quello della villa Carolina di Castelgandolfo (definita la "più lussureggiante delizia di Castello" in Peregrinazioni, p. 30), entrambi caratterizzati da pronai palladiani con frontoni ospitanti rilievi mitologici, benché opera, il primo di Caretti e il secondo di Quintiliano Raimondi.
Dopo questa prova di architettura ispirata dichiaratamente ai modelli classici, alle teorie di Vitruvio e alle ville palladiane, non risulta che il G. abbia progettato altre fabbriche, dedicandosi invece a propagandare quelli che, a suo parere, dovevano essere i principî ispiratori dell'architettura e dell'arte in genere. Vestì quindi i panni del fustigatore e severo censore di mode e stili non consoni alle sue idee, raccogliendo, nei suoi scritti, un campionario di grandissimo interesse su quanto si andava costruendo nei decenni tra il 1840 e il 1860, soprattutto a Roma, descrivendo con veemenza e passione quanto da lui sostenuto e demolendo con pari vigore quelle opere che, a suo parere, si allontanavano dalla semplicità e purezza greca e latina.
La prima pubblicazione nota è del 1830 e s'intitola Osservazioni sopra alcune romane fabbriche recentemente innalzate: consiste in una rassegna di edifici più o meno paludati edificati o restaurati a Roma tra i quali ha un ruolo di preminenza l'intervento di Giuseppe Valadier a S. Pantaleo, su committenza del duca Giovanni Torlonia.
Numerosi opuscoli seguirono su temi analoghi e furono raccolti nel 1841 nel volume Prose sopra argomenti di belle arti e sono dedicati, oltre che a temi di architettura e arte, anche a cronache di costume, come per il carnevale del 1838 (pp. 94-124). Tra i testi di questa raccolta figura anche Ai Torlonia le arti riconoscenti (pp. 50-54), dichiarato omaggio ai suoi sostenitori, paragonati per il loro mecenatismo ai Chigi, ai Farnese, ai Colonna, ai Borghese e ai Barberini, ed esaltati per le opere che facevano realizzare nelle residenze di piazza Venezia e di via Nomentana, da autori quali F. Podesti, F. Coghetti, L. Cochetti, F. Bigioli, che richiamavano a "novella vita" la "gran pittura di Michelagnolo e di Raffaello" (p. 51). Si tratta di una delle prime dichiarazioni del G. nell'ambito del dibattito sull'arte e in particolare sul purismo che imperversava in quegli anni, in cui si schiera ripetutamente a favore di un sano e schietto classicismo contro i "seguaci delle mode". Un ulteriore encomio rivolto al mecenatismo dei Torlonia è in un opuscolo del 1839 in cui il G. descrive Il palazzo di villa di sua ecc. il sig. duca di Bracciano a porta Pia, rimodernato ed aggrandito con architetture del sig. prof. Antonio Sarti, con un'accurata descrizione della villa che, dopo la distruzione avvenuta nel 1946, assume il valore di testimonianza pressoché unica dell'aspetto del complesso.
Nello stesso 1841 il G. diede l'avvio alla pubblicazione L'architetto girovago, opera piacevole ed istruttiva, raccolta in due tomi fino al 1843. I temi trattati sono molti e vari e gli scopi sono chiaramente esplicitati nella premessa: migliorare l'architettura propagandandone i sani principî ispiratori; riproporre opere e documenti su architetti esemplari del passato; combattere contro il gotico e il barocco e ogni altro stile che allontani dalla purezza e semplicità greca e latina; combattere ghirigori, arabeschi e frastagli con cui si opprimono e non si ornano le fabbriche; pubblicare le biografie dei più grandi artisti; osservare e commentare infine quanto accade in Italia, all'estero ma soprattutto a Roma nel campo dell'architettura e del restauro. Grande attenzione è dedicata alle fabbriche Torlonia, al palazzo di piazza Venezia e alle ville di porta Pia e di via Nomentana ma gli argomenti affrontati sono molti e tra i più vari: dalla lettera di Raffaello a Leone X alle opere di Giuseppe Jappelli a Roma, dalla cattedrale di St. Paul a Londra alle tinteggiature delle case di Roma, dalle biografie di Francesco Rust, Giuseppe Camporese e Raffaele Stern ai dipinti di Natale Carta, ma molto spazio viene riservato al dibattito sul purismo con interventi di Antonio Bianchini e Paolo Mazio e la riaffermazione da parte del G. di un giudizio negativo per quella "pittura mingherlina magrina e sottilina" e per quei seguaci del "secchismo e goticismo". Nel 1842 curò la bellissima edizione in quarto, edita dalla tipografia Salviucci, Sugli obelischi Torlonia nella villa nomentana. Ragionamento storico-critico, per tramandare tutto il lavoro, spettacolarmente esibito dal committente Alessandro Torlonia, nell'innalzare i due colossali monoliti in granito rosa cavati a Baveno e trasportati con onerosa e complessa organizzazione per commemorare Giovanni e Anna Maria Torlonia, genitori del principe. La pubblicazione ripercorre con toni leggendari e suggestivi le varie fasi dell'impresa, culminata con lo spettacolo pubblico dell'elevazione dei due colossi nel parco della villa, celebrata con una magnificenza degna di un principe regnante. Al testo si accompagnano diciotto tavole, con illustrazioni tecniche e pittoresche vedute che sottolineano i momenti salienti dell'impresa; e la lussuosa pubblicazione, con tutte le pagine con impresso in filigrana il nome Torlonia, fu donata alle più importanti biblioteche pubbliche e private, in Italia e all'estero.
Il volumetto Peregrinazione a Genzano, edito a Roma nel 1845, si propone come piacevole guida nei centri dei colli Albani, sotto forma di dialogo improvvisato con Giuseppe Asprucci, figlio di Antonio e fratello di Mario, i due artefici della trasformazione di villa Borghese su committenza di Marcantonio (IV), dei quali vengono ricordate le opere. Il G. descrive quindi le principali attrazioni di Genzano e dei centri circostanti, non rinunciando ad annotazioni polemiche come quelle nei confronti dei portici berniniani di Ariccia "impiastricciati di rosso e di verde".
Il tema delle tinteggiature improprie di edifici storici torna con ancora maggior evidenza nell'opera successiva, Le fabbriche de' nostri tempi per ciò che è disegno, ordine e misura in riguardo all'ornamento pubblico, dispense settimanali edite a Roma dal 1850 al 1852, in cui viene ribadita più volte la necessità di "restaurare le fabbriche a vecchio e sempre a vecchio, senza pure una pennellata di bianco mai" (f. 18), scagliandosi contro non meglio precisate maestranze comasche per la nuova tinteggiatura della chiesa di S. Crisogono e in genere colpevoli di "imbrodolature di calce tinta in giallo, o in rosso, o in verde, secondo gli umori e le simpatie, piò o meno forti, per questo colore, o per quello, dello architetto restauratore" (f. 32). Auspica per questo la costituzione di una "Commissione di pubblico ornamento che sovraintenda a qualunque innovazione de' fabbricati di Roma" (f. 13). Divaga quindi su fabbriche di altri paesi, quali le prigioni di Filadelfia, il manicomio di Boston, sui camposanti di Pisa, Bologna e Napoli che vengono confrontati con quelli romani, interviene di nuovo sulla gestione del patrimonio edilizio discutendo delle competenze e organizzazione nell'ambito dei lavori pubblici.
L'ultima corposa raccolta di scritti apparve alcuni anni dopo, nel 1863, con il titolo Arti e lettere, sottotitolo "Opuscoletti sulle fabbriche di Roma (specialmente moderne) e su quant'altro può volersi saputo di notizie d'arti e d'artisti", e ancora una volta propone una miscellanea di argomenti che spazia dalle case di artisti celebri a biografie di artisti quali Palladio, L. Ghiberti, Giulio Romano, Masaccio, F. Milizia, Falconetto, Salvator Rosa, Giovanni da Udine, Giovanni Bellini, Benedetto Pistrucci, accostati senza un apparente filo conduttore; fornisce quindi numerose notizie sugli avvenimenti e problemi romani, quali gli scavi sul Palatino, il degrado del portico d'Ottavia, l'allargamento di piazza di Trevi; commenta la legge a lungo auspicata e finalmente varata sul "regolamento edilizio e di pubblico ornato cittadino" (f. 12), mantenendo quale costante di tutti i suoi scritti lo spaziare dalla storia concepita come "exemplum" all'attualità spicciola ed estemporanea. Tra le numerose opere minori del G. vanno ancora citate Della via Borgognona e delle sue nuove fabbriche del 1845, le Lettere romane sull'architettura scritte… a' suoi amici del 1854, in cui rinnova gli strali contro il "gotico puntuto" e il bizantinismo "materialone" a favore del "carattere di modestà e semplicità riunita a grandezza" (f. 1), quindi la Descrizione della nuova cappella intitolata a Gesù Nazareno nella chiesa del Bambin Gesù del 1856, Sopra una nuova architettura di Raffaele Francisi nelle vie Agonali e di Tor Sanguigna del 1858, Sulla nuova cappella della Madonna dell'Archetto in Roma, comparsa senza indicazione di data né luogo, Il giudizio di Salomone, dipinto di Luigi Cochetti romano del 1859, Nella immatura morte dell'ingegner Giovanni Cavalieri di San Bartolo del 1858.
Si tratta, ancora una volta, di opere che mettono in luce i caratteri delle architetture classiche e in cui si segnalano quegli architetti interpreti di questa linea tra i quali primeggia Virginio Vespignani.
Il G. morì a Roma il 6 sett. 1865.
Il figlio Benvenuto, nato a Roma il 7 maggio 1828 da Livia Randanini, dopo la morte del G. ne continuò per breve tempo l'opera: curò infatti il periodico Il Buonarroti. Scritti sopra le arti, cronaca artistica analoga a quelle cui aveva dato vita il padre, dal 1866 al 1867. Morì il 17 ag. 1867 a Monte Porzio Catone, nei pressi di Roma.
Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca nazionale, Fondo Ceccarius, Archivio Torlonia, busta 1077082-1078057, doc. n. 10 del febbraio 1833; O. Raggi, I colli albani e tuscolani, Roma 1879, p. 79; L. Callari, Storia dell'arte contemporanea italiana, Roma 1909, p. 121; I. Belli Barsali - M.G. Branchetti, Ville della campagna romana, Roma 1971, pp. 228-230; F.M. Apollonj Ghetti, L'architetto girovago, overosia la mala ventura di F. G.…, in Lunario romano, XV(1982), pp. 331-346; A.M. Rybko, Villa Ferraioli: "Una certa architettura" di F. G. e la decorazione pittorica di Giovan Battista Caretti, in Documenta Albana, s. 2, IV-V (1982-83), pp. 107-118; Villa Torlonia, l'ultima impresa del mecenatismo romano, in Ricerche di storia dell'arte, 1986, nn. 28-29, pp. 42, 74-80, 163, 213; A. Campitelli, Podesti e la committenza Torlonia, in Francesco Podesti (catal.), a cura di M. Polverari, Milano 1996, p. 60; Villa Torlonia, a cura di A. Campitelli, Roma 1997, pp. 147, 228-247, 331, 354; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, LXXII, pp. 194-196.