GANDOLFI, Francesco
, Nacque a Chiavari l'8 luglio 1824 da Giovanni Cristoforo e da Teresa Solari. Trascorse l'infanzia nella cittadina ligure e nella villa sulla collina di San Lorenzo della Costa.
Il padre svolgeva la professione di avvocato ed era appassionato di scienze naturali e agrarie. Era stato nominato sotto la dominazione francese alla carica di presidente dei Ponti e delle Strade e altri incarichi pubblici, e fu promotore della Società economica, letteraria e artistica di Chiavari, per la quale raccolse una collezione di quadri. Fu pittore egli stesso, oltre che studioso di statistica e numismatica (Pozzo, pp. 10 s.).
Nel 1834 il G. si trasferì a Genova con la famiglia, perché il padre era stato nominato bibliotecario della Reale Università. Il padre lo iniziò all'arte e lo portò a perfezionarsi nel disegno con la pittrice Rosa Bacigalupo. Sempre nel 1834 il G. venne iscritto all'Accademia ligustica di belle arti, dove ebbe come insegnanti Francesco Baratta per la pittura, e, come professore di figura, Giovanni Fontana.
Nel 1840 si recò a Firenze - viaggio tradizionale per gli artisti liguri - dove frequentò lo studio di Giuseppe Bezzuoli, autore di dipinti di soggetto storico-rievocativo e di pregevoli ritratti. Fu inoltre allievo per cinque anni dell'Accademia di belle arti, presso la quale insegnava lo stesso Bezzuoli. La successiva tappa della formazione del G. fu Roma, dove il giovane poté dedicarsi allo studio dell'arte classica e moderna. I disegni e acquerelli raffiguranti contadini e abitanti della Ciociaria, alcuni dei quali conservati in collezioni private genovesi, sono i soli documenti rimasti del soggiorno romano.
I moti per l'indipendenza del marzo 1848 lo distolsero dalla sua attività artistica spingendolo ad arruolarsi volontario nel battaglione universitario romano. Il patriottismo che lo animava è ben testimoniato dalle scritte a matita presenti sul retro di alcuni suoi lavori - per esempio, il bozzetto (Genova, collezione privata) per il quadro con S. Filomena che avrebbe dovuto eseguire per la chiesa di Nostra Signora dell'Orto a Chiavari ma che non dipinse - che, come una sorta di diario, raccolgono le memorie personali in rapporto agli eventi storici contemporanei. La partecipazione ai combattimenti di Goito e Cornuda gli valse la medaglia al valor militare.
Nel 1849 si trasferì definitivamente a Genova dove, dal 1850 e per un decennio, prese parte alle esposizioni della Società promotrice di belle arti.
La Promotrice - fondata, tra gli altri, dal padre che nel 1848 ne aveva stilato lo statuto sociale - introdusse in città influssi eterogenei, dovuti alla partecipazione alle mostre di artisti provenienti da centri diversi, che aiutarono a sviluppare anche nel capoluogo ligure la scuola verista, esito, da una parte, della trasformazione della pittura di storia e, dall'altra, dell'evoluzione di quella di genere, di costume e a sfondo paesaggistico. Le due scuole locali animarono polemicamente queste esposizioni, che echeggiavano i contrasti tra Giuseppe Isola e Antonio Varni, rappresentanti della vecchia tradizione aristocratica e del dominio dell'Accademia, e Tammar Luxoro, sostenitore della pittura di paesaggio dal vero e personaggio influente su giovani come Serafino de Avendaño, A. D'Andrade, G. Delle Piane, E. Rayper, A. Issel e B. Musso.
La personalità del G. maturò proprio nell'ambito di quell'evoluzione che dal romaticismo portò al naturalismo e che, già dalla Promotrice del 1850, sottolineò il declino della scuola storica. Egli aderì in questi anni alla "Scuola grigia", così denominata per la predilezione per le tonalità tenui e per il rifiuto dei neri, a favore di una morbida luminosità naturale, dimostrata da parte degli artisti che si riunirono a dipingere e a discutere nello studio di Giambattista Villa, a Genova-Fassolo.
Fino alla metà degli anni Cinquanta il G. ebbe il proprio studio nel chiostro di S. Maria di Castello, poi si spostò nel convento di S. Sebastiano (demolito), quindi in palazzo Spinola (oggi sede della prefettura) e, alla morte della madre, si trasferì in via S. Luca, in casa Boasi. Qui egli abitò con il pittore dilettante L. Pareto, che lo aiutò nei lavori di finitura, come anche G. Quinzio, che al suo studio indirizzò i figli.
Appartengono alla produzione giovanile dell'artista alcuni ritratti familiari, conservati a Genova presso gli eredi, quali il Ritratto della sorellaMaria e la Madre (entrambi del 1847), oppure il Ritratto del padre (1849), che rivelano quello che si suole definire un "temperamento artistico naturale", seppure ancora in parte trattenuto nelle "forme convenzionali della scuola" (Grosso, 1927, p. 26). Dipinto in un contrasto drammatico di luci e ombre che evidenziano l'intensità di un volto colto nella sua posa abituale, è il ritratto dell'incisore Raffaello Granara (1854 o 1857: Genova, Accademia ligustica di belle arti). Il G. ritrasse anche i pittori Ernesto Rayper (1860 circa: Genova, Galleria d'arte moderna), Giuseppe Frascheri e Giovanni Ruffini (entrambi a Imperia, Pinacoteca civica).
Alla Promotrice del 1850 il G. espose Lisa e Laudomia de' Lapi (Genova, Galleria d'arte moderna) dove l'episodio "gentile" viene svolto in un contrasto di ombre notturne e luci di fiaccole, elemento stilistico ripreso poi dall'artista nel Bacio di Giuda del 1854 e nel quadro Gian Luigi Fieschi svela la congiura alla moglie del 1860 (entrambi a Genova in collezione privata).
Con opere di soggetto letterario partecipò alle promotrici genovesi del 1853 (Gli amorosi liguri) e del 1855 (Olindo e Sofronia: Genova, collezione privata). Dall'attenta documentazione su quadri antichi sembra derivare il dipinto del 1854 (conservato anch'esso in collezione privata genovese) raffigurante il Premio alla costanza dei Genovesi contro l'iniqua aggressione del maggio 1684 (Firmissimum Libertatis monumentum).
Si tratta, forse, della prima grande composizione storica che, dal dipinto da cavalletto, porterà il G. a spaziare negli affreschi delle chiese e dei palazzi liguri. L'influenza della scuola fiorentina è evidente nella composizione centrale e nella rappresentazione della folla; mentre altri elementi sono tipici della tradizione genovese secentesca. Il fragile scenario gandolfiano contrasta con il naturalismo dell'azione, con la dimostrazione evidente dei sentimenti, con il trionfalismo della scena.
L'epidemia colerica che nel 1854 infierì su Genova condusse l'artista a rifugiarsi a San Lorenzo della Costa, dove, durante "quaranta afflittissimi giorni" trascorsi con la famiglia (secondo la nota manoscritta sul retro del Ruscello di San Lorenzo della Costa conservato a Genova in collezione privata) studiò il paesaggio e gli animali, divenendo sempre più cosciente del valore del movimento verista francese. In questo periodo preparò i quadri che presentò alla Promotrice del 1855, tra cui il Raffaello e la Fornarina (ubicazione ignota), lavoro che Alizeri giunse entusiasticamente ad avvicinare a opere di pittori come Guercino e Caravaggio.
Negli anni 1857-59 il G. allestì una sorta di galleria di ritratti lavorando per le famiglie nobili e della ricca borghesia ligure. Considerati tra i migliori dipinti a Genova di tutto il XIX secolo, questi ritratti (Grosso, 1927, p. 32 e tavv. 3, 9, 19-21) coniugano una maniera semplice a una intensità espressiva pungente, tormentata (Gaetano Descalzi, detto il Campanino), benevola (Signora Ronco), pomposa (Giovanni Castagnola), possente (Pittore Gilberto Borromeo), elegante (Marchesa Staglieno).
Schizzi e notizie militari, ancora conservati a Genova presso gli eredi dell'artista, riguardano gli eventi della guerra del 1859 e la spedizione dei Mille; tra queste carte vi è anche lo studio per il quadro esposto alla Promotrice del 1860, Un episodio della guerra di Sicilia. Garibaldi invita il popolo a soccorrere i napoletani feriti. Del 1860 è anche il già citato dipinto intitolato Gian Luigi Fieschi svela la congiura alla moglie (Genova, collezione privata), esemplare rievocazione storica del celebre conte di Lavagna.
In quest'opera, che sembra trarre ispirazione dal contesto letterario del dramma di F. Schiller e da fantasiose leggende romantiche, la scena è ambientata di notte, in una sala debolmente rischiarata da una lucerna. Al volto angosciato di Eleonora Cibo si contrappone quello sicuro avvolto nell'ombra del Fieschi che, stringendo il braccio alla consorte, indica oltre l'ampia finestra Genova in attesa della libertà.
L'opera diede celebrità al pittore anche oltre i confini regionali dal momento che fu esposta, e premiata con una medaglia d'oro, all'Esposizione nazionale tenutasi a Firenze nel 1861, per poi venire riproposta nel 1867 alla Promotrice di Genova.
Nelle opere di ispirazione religiosa il G. tradusse i principî della scuola verista nella rappresentazione degli episodi della vita dei santi, ricostruendo talvolta l'ambiente storico, altre volte trasferendo l'iconografia sacra in uno scenario ligure ottocentesco. Le grandiose composizioni tradizionali, i cui precedenti si possono individuare nel lavori dei Carlone o di Lazzaro Tavarone, saldano l'arte decorativa di un G. più rigido e accademico al movimento del "ligurismo", che, sostenuto da Alizeri e dal mecenatismo del patriziato e del clero, promosse una rinascita della memoria artistica ligure. Gli affreschi del 1856 nella chiesa di S. Caterina a Varazze - raffiguranti Storie della vita della santa - aprono la serie di pitture murali che accolgono, da una parte, elementi etnografici locali e, dall'altra, i ritratti dal vero di modelli studiati per l'occasione.
Nel 1861 il G. decorò la chiesa parrocchiale di Albisola Superiore con le Storie di s. Nicola; nel 1869-70 eseguì gli affreschi per la chiesa di S. Maria dell'Orto a Chiavari che si presentano come quadri storici nel complesso (vi sono rappresentati cinque episodi esemplari della storia cittadina), come quadri di genere nei particolari. L'applicazione della prospettiva geometrica e l'uso degli scorci arditi prova l'esperienza tecnica acquisita ormai dall'artista nella pittura murale. La decorazione di ville e palazzi manifesta maggiormente l'influenza del manierismo e del simbolismo del tempo, che il G. seguì nelle figurazioni allegoriche di palazzo Pallavicini e di palazzo Cambiaso, nell'atrio della stazione ferroviaria Principe (ora perdute) e nel palazzo del Comune (Colombo alla corte di Spagna, 1862). Nel 1863 eseguì affreschi raffiguranti Guglielmo Embriaco alla presa di Cesarea e Il doge Cambiaso in palazzo Balestrino.
Per quanto riguarda l'attività espositiva, negli anni Sessanta il G. inviò ritratti alla Promotrice di Genova, dal 1862 al 1866. I personaggi che immortalò sulla tela rappresentavano innanzitutto l'alta borghesia, l'aristocrazia elegante e raffinata e gli esponenti popolari della categoria degli artisti suoi colleghi: questi ritratti, dai caratteri ben definiti, non compiacciono estetismi formali ma, anticipando la conquista verista, competono con i migliori dipinti italiani di metà Ottocento.
Insieme con altri pittori genovesi, il G. visitò l'Esposizione di Parigi del 1865, mentre per l'Esposizione internazionale di Vienna del 1873 preparò, per l'ingresso della sezione italiana, la grande allegoria (perduta) dell'Italia ricevuta dall'Austria (bozzetto a Genova, collezione privata).
Il G. morì a Genova il 5 sett. 1873.
Fonti e Bibl.: A. Merli - M. Staglieno, Delle arti del disegno, Genova 1862, p. 19; M. Staglieno, Memorie e documenti sull'Accademia ligustica di belle arti, Genova 1862-67, p. 253; F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno inLiguria dalla fondazione dell'Accademia, Genova 1864-66, pp. 437-439; F. Morro, Commemorazione del pittore F. G., Genova 1973; M. Pozzo, Il pittore F. G. Memorie, Genova, 1910; O. Grosso, Romantici e veristi nella pittura genovese (1846-1860), in Il Comune di Genova, III (1926), pp. 252, 254 s.; Mostra di pittura ligure dell'Ottocento (catal.), a cura di M. Labò, Genova 1926, pp. 10-12, 41-43; O. Grosso, F. G., Roma-Milano 1927; Id., Pittori genovesi. F. G., in A Compagna, VI (1928), 3, pp. 5-16; A. Cappellini, La pitturagenovese dell'Ottocento, Genova 1938, pp. 68-75; Mostra di pittori liguri dell'Ottocento (catal.), a cura di O. Grosso, Genova 1938, pp. 11 s., 57 s.; T. Bozano Gandolfi, Nel centenario della morte del pittore chiavarese F. G., in La Madonna dell'Orto, V (1972), 2, pp. 15 s.; F. Sborgi, Pittura e cultura artistica nell'Accademia ligustica a Genova 1751-1920, Genova 1974, pp. 47 s., 63; Pittura neoclassica e romantica in Liguria 1770-1860 (catal.), a cura di F. Sborgi, Genova 1975, pp. 150-156; E. Bono, Profilo di F. G., in Atti della Società economica di Chiavari: anni 1971-72, a cura di V. Bertiati, Chiavari 1978, pp. 115-134; G. Bruno, La pittura in Liguria dal 1850 al divisionismo, Genova 1981, pp. 11 s., 447 s.; V. Rocchiero, Scuole, gruppi, pittori dell'Ottocento ligure, Roma-Genova-Savona 1981, pp. 105 s.; F. Sborgi, in La pittura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova 1987, pp. 392, 396 s., 423; F. Sborgi, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, pp. 28, 32, 36; P. Millefiore, ibid., II, p. 841; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, p. 151.