GAMBACORTA, Francesco
, Francesco. - Figlio, probabilmente il maggiore, di Buonaccorso di Gherardo (morto prima del 1326), nacque a Pisa poco dopo il 1300. Mercante e uomo politico, appartenente alla fazione cittadina dei bergolini, di cui i Gambacorta erano fra gli esponenti più in vista, ricopri la carica di anziano per cinque volte, nei bimestri settembre-ottobre 1332, maggio-giugno 1337, marzo-aprile 1344, gennaio-febbraio 1349, novembre-dicembre 1350.
Le notizie che possediamo in relazione alle sue attività commerciali e finanziarie ci restituiscono l’immagine di un mercante facoltoso e potente: nel 1330 fu depositario generale di una prestanza di 23.5°0 fiorini imposta dal Comune per riscattare alcune entrate devolute al Fisco imperiale ai tempi di Ludovico il Bavaro. Nel 1332 aveva con Vanni Buonconte una bottega in Pisa, dove teneva le proprie merci il mercante genovese Guglielmo del Campo. Da questa e da altre notizie, raccolte dal Tangheroni (1973) sui componenti della famiglia del G., si è dedotto che nel corso del Trecento gli interessi di alcuni mercanti pisani erano strettamente legati a quelli dei Genovesi e che vivaci erano i rapporti economici con i Catalani; lo stesso G., insieme con il fratello Lotto, importava lana da Maiorca. Nel 1344 prese parte a una società costituita da Francesco Alliata e Betto Griffi per l’appalto delle saline di Piombino e di Castiglione della Pescaia.
Come quelle dei suoi familiari, le proprietà «comitatine» del G. erano concentrate nella Valdera e nella Valdiserchio, e nei primi decenni del secolo XIV egli compì alcune operazioni patrimoniali in alcune località di queste zone. In Pisa possedeva beni nel quartiere di Chinzica, nelle , «cappelle» in cui risiedevano molti dei suoi congiunti (S. Gilio, S. Lorenzo, S. Sebastiano). Tra il 1337 e il 1350 ampliò ulteriormente le sue proprietà nel quartiere, acquistando, tra l’altro, iI 3 giugno 1349, dalla contessa Tora Della Gherardesca, figlia del conte Bonifazio e vedova di Pellaio Chiccoli dei Lanfranchi, una casa in carraia S. Gilio.
Nel 1349 fu nominato con Francesco Alliata soprastante delle masnade a cavallo del Comune (come attestato dai registri delle Provvisioni pisane che conservano i pagamenti a lui effettuati dal 1351 al 1353 in ragione di 100 fiorini l’anno). Quella di soprastante era una carica di importanza strategica, consuetamente rivestita da personaggi vicini al governo e ambita per la possibilità di ingraziarsi con facilità il favore delle milizie; dopo il G. altri membri della famiglia - Pietro, futuro signore di Pisa, e il figlio di questo, Andrea - detennero la stessa carica.
Alla morte dello zio Andrea di Gherardo, avvenuta molto probabilmente nel 1351, il G. insieme con i fratelli Lotto e Bartolomeo occupò in Pisa la posizione di maggior rilievo proseguendo, mediante il controllo delle più importanti cariche, una pratica di potere signorile che il ricordato Andrea Gambacorta aveva instaurato a Pisa dalla fine del 1347.
Proprio con il governo di Andrea, infatti, la fazione bergolina aveva avuto il sopravvento nella vita pubblica, a scapito della fazione detta raspante, i cui rappresentanti erano stati esiliati o posti in minoranza nelle pubbliche istituzioni. Anche se le fonti non indicano se il G, ricoprisse una posizione di maggior prestigio rispetto al fratello Lotto, il suo nome ricorre più di frequente tra quelli dei cittadini designati in qualità di sapientes a decidere sugli argomenti più delicati. Del governo dei Gambacorta su Pisa non si hanno notizie più circostanziate: un anonimo cronista pisano informa che il loro operato, non privo di efficacia, mirò soprattutto a una migliore gestione delle entrate del Comune, che tuttavia finì per essere piegata agli interessi di fazione, generando critiche e risentimento che fomentarono un clima di crescente ostilità sfociato nel crollo della dominazione del G.; un altro grave morivo di malcontento fu rappresentato dalla parzialità con la quale i governanti pisani assegnarono in quel periodo incarichi pubblici, ricordata anche da osservatori esterni come il cronista senese Donato di Neri.
L’azione politica promossa dal G. si caratterizzò per la marcata tendenza a svolgere una mediazione nel conflitto che opponeva Firenze ai Visconti che, per iniziativa di Giovanni, avevano esteso dal 1350 il loro dominio in gran parte dell’Emilia e della Romagna minacciando, con azioni militari e una fitta rete di alleanze, il predominio di Firenze e del guelfismo nell’Italia centrale. Fu con la mediazione dei Gambacorta che si concluse a Sa:zana la pace tra Firenze e Milano siglata il 31 marzo 1353, destinata ad assicurare per molti anni la pace tra i contendenti, che vide come garanti proprio il G. e suo fratello (M. Villani li ricorda come «mezzani di questa pace», p. 395). Fin dall’estate precedente, infatti, il G. e suo fratello Lotto erano stati sollecitati da Milano a farsi portatori di una proposta di pace da sottoporre a Firenze, dove in seguito si recò personalmente il solo Lotto, mentre il G. rimaneva in Pisa.
La caduta del governo del G. fu determinata dalla crescente opposizione interna che trovò il suo riferimento ideale nella parte raspante. Già sul finire del 1354, nell’imminenza della venuta in Italia (dove sarebbe stato incoronato) di Carlo di Lussemburgo re di Boemia, il governo pisano temendo possibili rivolgimenti inviò presso Carlo alcuni ambasciatori, tra i quali Pietro di Andrea Gambacorta, per sollecitarne il sostegno e per chiedere la conferma dei privilegi imperiali concessi nel corso degli anni in favore di Pisa.
Poco dopo essere stato incoronato re d’Italia (6 genn. 1355), Carlo di Lussemburgo giunse a Pisa e fu ospitato nelle case dei Gambacorta. La situazione si fece tesa quando il 20 gennaio, all’atto del giuramento richiesto dal futuro imperatore al popolo di Pisa, si ebbe in duomo il tentativo di sommossa di fronte al quale il G., a detta di un anonimo cronista pisano, dimostrò scarsa prontezza e determinazione. Nei giorni successivi gli esponenti dei raspanti, capeggiati da Napoleone e Iacopo (Paffetta) Della Gherardesca e Cecco Alliata, chiesero a Carlo di Lussemburgo una pubblica pacificazione delle parti: gli stessi Gambacorta si videro cosi costretti a offrirgli, temendo un ritorno dei raspanti al potere, la signoria della città. Di fronte alla concreta minaccia rappresentata dalla presenza degli Imperiali, che avevano occupato i più importanti luoghi della città, le fazioni si accordarono fra di loro e formarono una commissione per la riforma del Comune, costringendo in tal modo lo stesso Carlo a restituire poco dopo i poteri che gli erano stati conferiti.
La tensione fra le due parti non diminuì però nei mesi seguenti e si ripresentò altrettanto forte nel mese di maggio in occasione del secondo soggiorno di Carlo, reduce da Roma dove era stato incoronato imperatore (9 aprile). La fazione raspante, dopo aver fomentato una violenta rivolta antimperiale, fu in grado però di presentarsi a Carlo IV come sua fedele alleata e, dopo aver soffocato il tumulto in modo cruento, riuscì abilmente a indicare nel G. e nella sua parte gli artefici della sommossa.
Arrestato proprio mentre si trovava presso l’imperatore, il G. fu torturato e in seguito condannato a morte con l’accusa di «dare modum cum adiutorio certorum amicorum eorum quod possent occupare et invadere civitatem Pisanam et eam extrahere de dominio et fidelitate dicti domini imperatoris» (come recita il testo della condanna edito in Manghi, pp. 55 s.).
Giustiziato il 26 maggio 1355, insieme con i fratelli Lotto e Bartolomeo e con alcuni dei propri fautori (fra i quali Giovanni Delle Brache), il G. fu sepolto nella chiesa di S. Francesco; i suoi beni, confiscati al momento della condanna, furono successivamente donati alla Comunità di Pisa il 10 giugno dello stesso anno.
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