GALLI BIBIENA, Francesco
Terzogenito di Giovanni Maria il Vecchio e di Orsola Maria Possenti, fratello di Ferdinando, nacque il 12 dic. 1659 a Bologna, dove avvenne la sua prima formazione presso i pittori Lorenzo Pasinelli (1672) e Carlo Cignani (1673). Secondo lo Zanotti (p. 266) il G. studiò quadratura con Giulio Troili, Mauro Aldrovandini e Giacomo Antonio Mannini.
Numerose le testimonianze iconografiche e letterarie di questo artista, ripetutamente impegnato in lavori di équipe secondo la consolidata prassi di famiglia.
La sua prima attività si svolse all'insegna dell'affresco e della pittura di figura, a cominciare dalla decorazione nel distrutto casino della Motta a Mirandola (1676) in collaborazione con il fratello Ferdinando, quindi a Novellara, dove dipinse con Pietro Donzelli due stanze nel castello (decorazione perduta). Fra il 1679 e il 1684 diede inizio alla geniale impresa decorativa del salone d'onore di palazzo Fantuzzi in Bologna.
Con un lieve scarto rispetto al Crespi, lo Zanotti pone l'inizio della decorazione intorno al 1678 e con la sala del senatore Fantuzzi ricorda anche "le due prospettive" dipinte nelle logge (perdute). L'impaginazione pittorica del salone è qui condotta sulle pareti e non sulla volta, contravvenendo a una tradizione che aveva indicato nel soffitto il centro focale dello sfondamento illusorio. Il racconto pittorico si svolge sulle pareti della sala, che, divenute "ormai cedevoli quinte teatrali" (Ottani, 1962, p. 201), il G. apre nella proiezione in diagonale dei colonnati dipinti creando un illusivo loggiato oltre il quale si scorge il verde di un giardino. Altissimo esordio del G., la decorazione del salone della residenza bolognese dei Fantuzzi costituì anche la sua prima opera pubblica commissionatagli nell'ambito dei vasti lavori di ristrutturazione al palazzo promossi dal senatore Rodolfo Carlo, per il quale l'architetto bolognese Paolo Canali aveva aperto lo scenografico scalone (1680), tra i primi ad assetto monumentale realizzati a Bologna.
Nel 1682 il duca Ranuccio Farnese, che due anni prima aveva chiamato a corte Ferdinando, invitò a Parma anche il G. per importanti lavori nelle fabbriche ducali.
A partire da queste date iniziò per gli scenografi e architetti bolognesi un periodo di rilevante successo, destinato a protrarsi felicemente per oltre un trentennio. Indiscusso rilievo ebbero gli interventi condotti da Ferdinando e dal G. in territorio parmense, nonché le decorazioni eseguite in alcune dimore e oratori di Piacenza sul volgere del Seicento. Tra i primi spicca la felice impaginazione pittorica del salone passante, della sala da pranzo e di quella della musica compiuta a villa Paveri Fontana, ora Santucci Fontanelli, nella campagna parmense (1695-1703), altre volte proposta al catalogo del fratello Ferdinando, ma che, a distanza di circa quindici anni dall'esperienza bolognese in palazzo Fantuzzi, nella rigorosa impalcatura dello spazio dipinto esibisce e riannoda i fili e i ricordi di esperienze maturate dal G. (N. Clerici Bagozzi, in Meravigliose scene…, 1992, p. 20). Nelle sale della residenza suburbana il G. ideò una trama architettonica che dalle pareti si estende senza cesure sulla volta dove si complica in una sequenza di balaustrate e di gallerie, con scenografici affacciamenti di personaggi (Coccioli Mastroviti, 1993, pp. 176 s.).
Alla corte dei Farnese, in particolare, anni di febbrili lavori furono quelli immediatamente precedenti le nozze di Odoardo con Dorotea Sofia di Neuburg (1690). Furono numerosi, per l'occasione, gli interventi condotti dai Galli Bibiena a Parma. Si ricordano gli affreschi del collegio dei gesuiti, quelli sul fronte del palazzo pubblico, eseguiti dal G. nel 1688, quindi sulla facciata di casa de' Tondù di fronte alla chiesa di S. Maria della Steccata e, ancora, negli appartamenti ducali, nonché in chiese e cappelle della città (Lenzi, 1991, p. 100). Sempre nel 1688 il G. realizzò la decorazione a quadratura attorno all'Incoronazione della Vergine e ss. patroni di Parma, dipinta dal genovese G.B. Merano sulla facciata del palazzo del Governatore, distrutta nel 1760. Dal 1689 fu attivo in Piacenza, ove operò almeno fino al 1692. In verità il G. aveva già affrescato (1682) nel palazzo ducale di Cittadella di Piacenza "alcuni gabinetti nel piano superiore e l'inferiore cappella" (Zanotti, p. 267). Si tratta di una decorazione in parte conservata.
Fra l'aprile e il maggio 1691, su commissione dei conti Radini Tedeschi, Ferdinando e il G. portarono a termine la decorazione della cappella di S. Antonio da Padova nella chiesa di S. Maria di Campagna. L'intervento pittorico si scala a ridosso degli apparati realizzati da Ferdinando, forse non senza l'apporto di collaboratori, per la santificazione di Giovanni da Capistrano e Pasquale Baylon (Cirillo - Godi, 1979, I, p. 93). In occasione dei festeggiamenti ducali collaborò ripetutamente con il fratello, e il suo nome ricorre nei libretti a stampa editi per le singole occasioni. In qualità di scenografo, partecipò alla realizzazione dei balletti L'età dell'oro e L'idea di tutte le perfezioni, spettacoli inaugurali (1690) del teatrino di corte costruito dal bolognese Stefano Lolli, sul fianco sinistro del teatro Farnese, nello stesso palazzo della Pilotta (distrutto nel 1822 durante i lavori di ampliamento della galleria ducale).
Nel 1696 risulta attivo a Soragna, dove lavora per la Confraternita del Suffragio, all'oratorio di S. Antonio, all'altare di S. Croce e alla facciata della chiesa. Sempre a Soragna, nella residenza fortificata dei principi Meli Lupi, con il fratello Ferdinando eseguì la decorazione della grande galleria e di quella laterale al piano superiore, nonché la sala degli stucchi.
In qualità di scenografo, nel 1702 si trasferì a Napoli su invito del viceré Francisco Pacheco de Acuña. Qui il G. firmò infatti parte degli apparati predisposti per l'arrivo di Filippo V di Borbone. Ragioni di stile farebbero ricondurre al medesimo artista, secondo il Mancini, anche il catafalco per le esequie del viceré. Se raffrontata agli apparati funebri realizzati negli stessi anni da artisti locali, l'opera riconferma la carica innovativa dell'apporto bibienesco, nonché l'influenza della scuola bolognese sullo sviluppo dell'arte napoletana. Presso il Museo nazionale di S. Martino di Napoli si conservano alcuni interessanti disegni del G. (Portale con varianti e sfondo prospettico; Sala con terrazze e balconi; Sfondo di villa con portici a bugne) che bene documentano i nuovi orientamenti introdotti, nella scenografia come nell'architettura costruita e nella quadratura, dalla rivoluzionaria "veduta per angolo" in sostituzione della secentesca "veduta a cannocchiale" (F. Mancini, in Civiltà del '700…, 1979, pp. 304 s.; A. Capodanno, ibid., pp. 356, 358).
In qualità di scenografo è documentato a Genova nel 1689, nel 1698 e nel 1705 e dal 1693 al 1695 a Roma, dove lavorò per i teatri di Tor di Nona e della Pace. Fu attivo a Reggio Emilia negli anni 1696, 1698, 1701, a Bologna nel 1697, 1698, 1699 e 1703; a Milano nel 1699 e a Mantova nel 1700 (Lenzi, 1991).
Dagli studi condotti sull'attività del G. e del fratello Ferdinando sono emersi i frequenti interventi realizzati a Mantova, contemporaneamente o alternativamente, nel decennio di transizione fra Sei e Settecento. Alla corte dei Gonzaga il G. si occupò anche di interventi di architettura; a lui si deve infatti la cavallerizza coperta nel palazzo ducale, ricordata dallo Zanotti. L'attività mantovana è registrata ancora nel secondo decennio del Settecento. Nel 1716 elaborò un progetto per il teatrino dell'Accademia, mentre l'anno successivo curò le scene de La pastorella al soglio (Lenzi, 1985, pp. 169 s.).
Nel 1704 si recò a Vienna, ove Leopoldo I gli commissionò la ricostruzione del teatro di corte. Nel 1705 rientrò in Italia.
A Nancy, nel 1707, fu al servizio dei Lorena che gli commissionarono l'Opéra, inaugurata nel novembre 1709 (distrutta), costruzione che rientrava nell'ampia campagna di interventi promossi da Leopoldo I duca di Lorena, tesi alla riorganizzazione dei servizi operistici e musicali della corte. Il G. tornò poi a Vienna dove fu scenografo e architetto di corte di Giuseppe I, incarico prestigioso che ricoprì fino al 1711. Durante il soggiorno viennese realizzò forse il progetto per un teatro naturale che avrebbe dovuto essere allestito nel giardino della Favorita a Vienna (1710). Allorché nel 1711 Carlo VI successe a Giuseppe I, il nuovo imperatore confermò nella carica di scenografo e architetto di corte Ferdinando, di cui gli erano ben note le capacità avendolo avuto al proprio servizio a Barcellona quando era re di Spagna.
Il 1713 segnò l'anno del rientro in Italia del G. e l'inizio di una serie di numerosi altri incarichi nel settore della scenografia e della pratica teatrale, nonché della grande decorazione.
Il G. lavorò per il teatro dell'Aurora a Cento (1716) e per il nuovo teatro Regio Ducale di Milano, per cui eseguì alcuni disegni nel 1717, poi non adottati (Ricci, 1980). A Bologna si dedicò alla scenografia e alla quadratura, non trascurando tuttavia l'attività architettonica. Fornì infatti i disegni per l'arco del Meloncello (1718) e per l'altare della chiesa di S. Maria di Galliera. Fu attivo di nuovo a Reggio Emilia dal 1715 al 1717 e a Roma lavorò per il teatro Capranica nel 1716 curando le scene di Ciro, e nel 1721 della Griselda; mentre tra il 1719 e il 1722 è documentato al teatro d'Alibert, la cui paternità progettuale è ancora discussa: qui curò per il carnevale del 1719 le scene del Lucio Vero, dramma cui aveva già lavorato nel 1716, con l'aiuto del suo allievo A. Galluzzi al teatro Molza di Modena. Nel complesso a Roma il G. ebbe un ruolo importante e il merito di assicurare la continuità della corrente bibienesca nell'allestimento degli spettacoli.
Nel 1722 eseguì le quadrature nel palazzo dell'episcopio di Perugia. Restano invece incerte la data di consegna del progetto per il teatro Filarmonico di Verona, ipotizzata dalla Marini (1988) intorno al 1715, da altri al 1717 (Rigoli, 1988), e la reale presenza dell'architetto nel cantiere, che fu forse sporadica, stante i numerosi e concomitanti impegni.
Del teatro Filarmonico di Verona, distrutto durante il secondo conflitto mondiale, si conserva una interessante documentazione iconografica, probabilmente desunta da originali del G., realizzata dal suo allievo e assistente Giuseppe Chamant. Frutto della felice collaborazione con l'erudito Scipione Maffei, il teatro presentava una disposizione di palchetti progressivamente aggettanti.
Contemporaneamente all'impegno nel teatro Filarmonico, a Verona il G. si occupò di altri interventi, in qualità di architetto e quadraturista. Gli si devono infatti l'altare di S. Pietro d'Alcántara nella chiesa di S. Bernardino (1725) che, con l'altare di Andrea Pozzo già nella chiesa di S. Sebastiano, offrì sicuri stimoli agli architetti e lapicidi veronesi per scenografiche articolazioni compositive, l'altare maggiore di S. Procolo (trasferito nella parrocchiale di Casaleone nel 1929), lo scalone e la manica lunga del convento dei domenicani di S. Anastasia, la ristrutturazione di palazzo Pellegrini, un progetto per la Fiera (1715: Marini, 1988). Si è riconosciuta la sua mano anche nell'intervento decorativo del salone al piano nobile della secentesca villa Allegri Arvedi a Cuzzano di Valpantena, testimonianza pittorica di altissima qualità. Nel 1732 è documentato a Rimini con il lorenese J. Chamant; e qui costruì il teatrino Arcadico (distrutto) in casa Diotallevi (Lenzi, 1980, p. 265). Al 1738 risale la chiesa delle Ss. Caterina e Barbara delle camaldolesi di Santarcangelo di Romagna, che gli si potrebbe attribuire (Rimondini, 1982).
Agli anni Quaranta del secolo risale a Bologna l'altare maggiore della chiesa di S. Maria di Galliera, eretto su disegni di S. Giannotti e del G. in sostituzione del preesistente altare decorato in stucco da G. Mazza. Un'incisione di G.L. Quadri del 1741, successiva al compimento dei lavori, visualizza il nuovo assetto conferito all'architettura liturgica.
Negli ultimi anni della sua attività fu impegnato a Macerata e a Recanati dove, secondo lo Zanotti, lavorò alla ristrutturazione del convento e della chiesa di S. Agostino e alla costruzione di palazzo Carancini, opere che le guide locali riferiscono al fratello Ferdinando.
Nel corso della lunga carriera di scenografo e architetto, il G. risultò contestualmente impegnato nell'attività didattica presso la locale Accademia Clementina, alla quale fu aggregato nel 1726, dapprima come docente, quindi come direttore di architettura negli anni 1727, 1729, 1732, 1734, 1736 e 1738. Nel 1735 fu eletto principe dell'Accademia.
Morì a Bologna il 20 genn. 1739.
È stata proposta l'attribuzione al G. di un bel disegno, Progetto di prospettiva per un fondale di palazzo o di giardino, conservato alla Fondazione Cini di Venezia, proveniente dalla bolognese collezione Certani, ove figurava riferito ad Alessandro, figlio di Ferdinando (Lenzi, 1991, pp. 187 s.). Non è stato reperito il manoscritto di circa 100 fogli che alla sua morte lasciò pronto per la stampa, L'architettura maestra delle arti che la compongono, a meno che non si possa dimostrare (Id., 1992, p. 106) che le pagine del testo si trovino tra i disegni del Museo nazionale di arte antica di Lisbona.
Fonti e Bibl.: G.P. Zanotti, Storia dell'Accademia Clementina, II, Bologna 1739, pp. 266-268; L. Crespi, Felsina pittrice…, III, Roma 1769, p. 97; G. Zucchini, Edifici di Bologna, Bologna 1931, pp. 66, 181; N. Pelicelli, Artisti parmigiani all'estero. I Galli Bibiena di Parma, in Crisopoli, I (1935), pp. 29-40; A. Hyatt Mayor, The Bibiena family, New York 1945; F.G. Pariset, L'Opéra de Nancy de François Bibiena (1708-1709), in Urbanisme et architecture. Études écrites et publiées en l'honneur de Pierre Lavedan, Paris 1954, pp. 277-283; A. Ottani, Un'opera giovanile di F. Bibiena, in Arte antica e moderna, XVIII (1962), pp. 200-205; A.M. Matteucci, C.F. Dotti e l'architettura bolognese del Settecento, Bologna 1969, pp. 20, 25 s., 33 s., 60 e passim; Disegni teatrali dei Bibiena (catal., Venezia), a cura di M.T. Muraro - E. Povoledo, Vicenza 1970, p. 42; D. Lenzi, Problemi bibieneschi in margine a una recente mostra, in Paragone, XXI (1971), 259, pp. 43-67; E. 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