FUSCONI, Francesco
Oriundo di Norcia, nacque probabilmente negli ultimi decenni del XV secolo; non abbiamo notizie relative agli anni e al luogo dei suoi studi. In quanto scrittore dell'archivio della Curia romana e archiatra dei pontefici Adriano VI, Clemente VII e Paolo III, la sua vita si svolse per lo più negli ambienti dell'alto clero e della nobiltà romana. Nell'esercizio della sua professione egli aveva conseguito già dagli anni Venti grandissima fama.
Secondo Marini è da identificare con il F. il medico che insieme al maestro Demetrio accompagnò il cardinale Domenico Grimani nel conclave che elesse Adriano VI. Secondo il protocollo redatto da B. Martinelli Baronio da Cesena, il Grimani era di così cagionevole salute da far temere per la sua vita se avesse protratto la sua partecipazione al conclave; il 31 dic. 1521 chiese pertanto l'esenzione. Rimanendo il Grimani fermo nel suo proposito, il Collegio cardinalizio convocò maestro Demetrio e il F., i quali, dopo aver giurato sulla Bibbia, comunicarono la causa della grave malattia di Grimani, che avrebbe messo in pericolo la sua vita se fosse rimasto in un luogo scomodo e angusto.
Il F. ebbe in cura anche il cardinale Alessandro Farnese e B. Cellini. Amato Lusitano, parlando della terapia per una malattia di cui soffriva il cardinale prima dell'elezione al pontificato, rammenta che ci furono divergenze con il F. circa la composizione del rimedio. Mentre il Lusitano, temendo che la temperatura corporea salisse rapidamente, era contrario all'aggiunta di un fungo del genere degli agarica, il F. era di parere opposto e impose l'aggiunta, che risultò salutare: dopo aver deglutito la medicina a forma di pillola, il cardinal Farnese guarì in tre giorni.
Il F. era noto per la schiettezza con cui esprimeva il suo parere professionale. Partecipando nel 1549, dopo la morte di Paolo III, al conclave che avrebbe eletto Giulio III, consigliò pubblicamente di procedere speditamente alla elezione del nuovo pontefice, in quanto tutti i partecipanti avrebbero corso il rischio di ammalarsi a causa dell'aria viziata e del cibo indigesto. Fu uno dei primi medici a modificare radicalmente la dieta fino ad allora generalmente adottata per gli ammalati, ritenendo che la convalescenza dei pazienti poteva essere messa a repentaglio dall'inadeguatezza della dieta piuttosto che per la malattia in sé.
Che l'incarico di archiatra pontificio nonché i suoi consulti privati fossero lautamente remunerati era cosa risaputa; il F. godeva inoltre della stima dei pontefici che ebbe in cura, cosa che si tradusse nell'elargizione di beni immobili. Non sempre ciò avvenne senza resistenza da parte dei precedenti proprietari. Un palazzo nel rione romano di Regola, acquistato per il F. da Adriano VI con motu proprio dell'8 maggio 1523 per la somma di 2.000 ducati e precedentemente appartenuto a Ugone Spina, uditore della Sacra Rota, fu reclamato dal tribunale di questo per far fronte alle spese di sepoltura e per soddisfare i creditori di Spina. Morto Adriano VI nel settembre dello stesso anno, gli uditori cacciarono il F. in circostanze clamorose: il F. ritrovò la casa spoglia di ogni arredamento. Il 1° giugno 1524 Clemente VII dovette riconfermare il possesso dell'immobile da parte del F. come giuridicamente ineccepibile, obbligando gli uditori a rimettere la casa nello stato in cui si trovava e imponendo loro di non avanzare altre pretese. Il 26 novembre dello stesso anno il papa confermò al F. anche la badia di San Martino della diocesi aquilana, che gli era stata conferita sempre da Adriano VI nel febbraio 1523.
Il F. possedeva inoltre un prestigioso palazzo a piazza Farnese, noto in seguito come palazzo Pichini. Qui trovò accoglienza la sua celebre collezione di antichità classiche, per la quale viene ancora oggi ricordato. I pezzi più noti della collezione erano tre statue greche: una Venere, un dio del Buon Evento e una statua raffigurante Meleagro, rinvenuta probabilmente sul Gianicolo, che all'epoca fu ritenuta erroneamente una raffigurazione di Adone. Dopo la morte del F., il palazzo e la collezione passarono prima a suo nipote Adriano, vescovo di Aquino dal 1552, poi, con la morte di quest'ultimo nel 1579, all'erede Maria. Una commissione capitolina fu incaricata nel 1586 di fare un inventario della collezione, incarico eseguito solo nel 1593. Dal 1594 i Pichini figuravano come proprietari del palazzo e della collezione, in quel periodo in gran parte venduta, eccetto la statua del Meleagro, che rimase a palazzo Pichini fino al 1772, quando Clemente XIV la acquistò per il Vaticano. La statua oggi è nota come Meleagro del Belvedere.
Nella movimentata vita del F. sono degni di menzione ben due attentati alla sua persona: il primo (del quale non si hanno notizie precise) ebbe luogo durante il pontificato di Leone X, il secondo poco dopo la morte di Adriano VI. Il F. venne ferito da Marino Ranieri, un suo compaesano, che probabilmente lo avrebbe ucciso se non fossero venuti in suo aiuto il nipote B. Passerini e il fratello Bartolomeo (protomedico del Collegio dei medici nel 1563), il quale uccise l'aggressore.
Il F. morì a Roma nel 1553.
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 12276: B. Martinelli Baronio, Diarium coerimonialium…, t. I, f. 18rv; Archivio segr. Vaticano, Diversa Cameralia, vol. 74, ff. 6r, 118r-119r; Amato Lusitano [Juan Rodriguez], Curiationum medicinalium Centuriae quatuor, Venetiis 1557, pp. 357, 640; U. Aldrovandi, Delle statue antiche, Venezia 1562, pp. 163 s.; M. Cagnati, De Romani aëris salubritate, Romae 1599, p. 38; G. Marini, Degli archiatri pontificij, I, Roma 1784, pp. 325-329; B. Cellini, Vita di Benvenuto Cellini, a cura di O. Bacci, Firenze 1901, p. 161; G. Bottari - S. Ticozzi, Raccolta di lettere, III, Milano 1822, p. 348; A. Michaelis, Römische Skizzenbücher nordischer Künstler des XVI. Jahrhunderts, VII, Berlin 1892, p. 99; P.G. Hübner, Le statue di Roma. Grundlagen für eine Geschichte der antiken Monumente in der Renaissance, I, Leipzig 1912, pp. 98 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, IV, Roma 1929, p. 143; VI, ibid. 1927, p. 271; P. Capparoni, La medicina a Roma (Nota storica), Roma 1932, p. 15; W. Helbig, Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom, I, Tübingen 1963, n. 97, pp. 74 s.; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, XLIV, p. 129, LXXIII, p. 175; CI, p. 311.