FORTUNATI, Francesco
Nacque a Firenze nel 1460 da Tommaso di Marco, sarto, e dalla prima moglie di questo, Antonia.
Al catasto del 1480 la situazione della famiglia risulta precaria: Tommaso, "farsettaio", affermava di avere cessato ogni attività lavorativa e di avere la casa di abitazione - sita nel popolo di San Lorenzo - ipotecata; in compenso i figli maggiori (oltre il F., che era il primogenito, Simona, Marco e Francesca) non facevano più parte del nucleo familiare.
Si ignora tutto dei primi trent'anni di vita del F., salvo il fatto che egli, dopo aver compiuto gli studi indispensabili, fu ordinato sacerdote; nel 1490 era già titolare di un beneficio ecclesiastico piuttosto importante, la pieve di Cascina, grosso paese del contado pisano. Per questo fatto egli, che pure ottenne in seguito altri non meno importanti benefici ecclesiastici, fu per tutta la vita chiamato "il pievano di Cascina".
Nello stesso periodo era già intrinseco della famiglia Medici, soprattutto dei fratelli Giovanni e Lorenzo, figli di Pier Francesco il Vecchio, il ramo cioè della famiglia sempre rimasto al di fuori della politica attiva. Si può presumere che la contiguità delle loro abitazioni abbia favorito la conoscenza delle due famiglie, nonostante l'enorme divario economico-sociale che le divideva. Intorno al 1490 il F. abitava nel palazzo di via Larga di proprietà dei due figli di Pier Francesco ed era divenuto per loro quella figura ibrida di segretario-maggiordomo-uomo di fiducia, piuttosto comune nelle case aristocratiche fiorentine dell'epoca.
Non sappiamo se anche nel conseguimento del beneficio di Cascina ebbero qualche ruolo i due fratelli, i quali del resto avevano delle proprietà nelle vicinanze della pieve. L'unico fatto certo è che il predecessore del F., Luca Ruffelli da San Miniato, che aveva acquisito il beneficio nel 1488, vi rinunciò a favore del F., riservandosi una pensione.
Benché si trattasse di un grosso beneficio con cura d'anime, il F., tranne che per alcuni mesi tra il 1492 e il 1493, non vi stabilì la sua residenza, affidandone il governo spirituale prima al frate domenicano G. Spira da Venezia e poi al sacerdote pisano Cristoforo di Antonio e riservando a sé stesso l'amministrazione delle rendite e dei beni. A questo scopo si serviva del notaio cascinese R. Del Pace, con cui mantenne un'assidua corrispondenza.
Dal 21 genn. 1493 il F. esercitò per alcuni mesi l'incarico di "cancelliere" del condottiero I. Conti, assoldato dai Fiorentini dal 1489, in quel periodo di stanza con le sue truppe nella campagna di Pisa; nell'ambito di questo incarico il F., dopo il suo ritorno a Firenze, agiva da tramite tra il Conti, i vertici istituzionali della Repubblica fiorentina e Piero de' Medici.
Il 29 apr. 1494, per motivi non del tutto chiari, ma da ricollegarsi a contrasti con il cugino Piero de' Medici, veniva emesso contro Lorenzo e Giovanni di Pier Francesco un provvedimento di esilio perpetuo dalla città di Firenze, cui non potevano avvicinarsi più di un miglio, ma nello stesso tempo non potevano varcare i confini della giurisdizione fiorentina; velati accenni contenuti in una lettera del notaio Del Pace del 9 giugno 1494 e in un'altra di B. Carducci, vicario dell'arcivescovo di Pisa, entrambe dirette al F., ci inducono a pensare, sebbene senza precisi riscontri, che anche quest'ultimo come i suoi protettori fosse stato colpito nello stesso periodo da un provvedimento restrittivo della libertà di movimento.
Di lì a poco la cacciata da Firenze di Piero de' Medici e il cambiamento di regime provocarono il ritorno in città con tutti gli onori dei due confinati (9 nov. 1494). Pochi giorni dopo, il 13 novembre, Giovanni de' Medici fu nominato commissario generale per le province del Mugello e della Romagna fiorentina e in questa veste effettuò frequenti viaggi a Forlì, alla corte di Caterina Sforza. Dopo circa due anni, nell'ottobre 1496, il Medici e la Sforza decisero di sposarsi, anche se motivi di opportunità politica consigliarono di tenere segreto il matrimonio per un certo periodo.
Il matrimonio fu celebrato dal F., che proprio in questo stesso periodo si era trasferito a sua volta a Forlì, dove oltre a curare gli interessi del Medici, cominciò a occuparsi anche di quelli della Sforza e dei suoi figli di primo letto. Dopo la morte di Giovanni de' Medici, avvenuta nel settembre 1498, il F. rimase ancora per molti mesi a Forlì per occuparsi degli affari lasciati in sospeso dal suo protettore e soprattutto degli interessi ereditari del figlioletto nato da questo matrimonio, il futuro Giovanni dalle Bande Nere.
Durante il soggiorno del F. in Romagna, nell'aprile 1498, si compì a Firenze il dramma di Girolamo Savonarola. Gli echi di questi avvenimenti giunsero al F. attraverso la corrispondenza di quelli tra i suoi amici che erano stati più legati al frate: il mercante Leonardo Strozzi, che nel precedente mese di febbraio aveva inviato al F. il testo dell'ultima predica savonaroliana, e il poeta G. Benivieni, che il F. aveva frequentato in casa Medici e che fu uno dei più strenui difensori del frate, dopo la sua caduta, e uno dei firmatari della supplica a papa Alessandro VI affinché gli salvasse la vita. Nell'imminenza del processo al frate, il F. fu colto da timore che durante gli interrogatori venisse fatto il suo nome, come savonaroliano; scrisse pertanto a Pier Francesco de' Medici, figlio di Lorenzo, il quale gli rispose rassicurandolo: la lettera del F. era stata da lui consegnata a D. Spini, capo dei compagnacci e uno degli esaminatori di Savonarola, con preghiera di mettere tutto a tacere, se qualcosa fosse trapelato a carico del Fortunati.
Le due lettere di risposta di Pier Francesco de' Medici al F. (la lettera di quest'ultimo è andata perduta) rivelano che Savonarola aveva cercato di guadagnare il F. alla sua causa di riforma etico-religiosa. In termini più generali esse hanno fornito agli storici del movimento savonaroliano la prova incontrovertibile che il processo contro il frate fosse stato pilotato dall'esterno. Tutto si svolse senza conseguenze per il F., che proprio pochi mesi prima di questi avvenimenti aveva conseguito un altro beneficio ecclesiastico, un canonicato nella basilica di S. Lorenzo di Firenze, ottenuto in seguito alla rinunzia del canonico G. Bozzolini.
Dopo il suo ritorno a Firenze nell'aprile del 1499, il F. continuò a mantenere strette le relazioni epistolari con la corte di Forlì: l'11 luglio 1499 annunciò a Caterina l'arrivo in missione diplomatica di N. Machiavelli, per conto dei Dieci di balia: dal carteggio scambiato in questa occasione dal commissario fiorentino con i vertici istituzionali della Repubblica si intuisce che il F. veniva ufficiosamente richiesto dal governo fiorentino di pareri e informazioni sulla situazione del piccolo principato romagnolo.
Durante il lungo periodo di permanenza a Forlì il F. aveva saputo guadagnarsi la stima e la fiducia della Sforza e dei suoi figli, in particolare di Ottaviano e di Cesare Riario. Quest'ultimo in particolare - dal giugno 1499 divenuto arcivescovo di Pisa, diocesi da cui dipendeva la pieve di Cascina - volle ricompensare il F. per la dedizione e per l'impegno profusi nell'interesse della sua famiglia: il 23 ott. 1500 egli liberò il F. vita natural durante del censo annuo di quattro sacchi di grano, che il pievano di Cascina pro tempore era tenuto a pagare all'arcidiocesi pisana, e nel 1507 gli conferì la laurea in diritto canonico e il titolo di conte palatino. Intanto dal 17 ott. 1500 il F. aveva ottenuto un terzo beneficio, il rettorato della chiesa di S. Donato a Citille, per rinuncia, dietro corresponsione di una pensione annua, del rettore precedente, A. Donato. Dopo pochi mesi, nel dicembre dello stesso anno, il F. ricevette però dal pontefice in persona una lettera monitoriale in cui veniva minacciato di scomunica se non avesse provveduto a pagare sollecitamente la pensione suddetta.
La corrispondenza con la Sforza non subì interruzioni neppure durante le agitate vicende che la videro prima impegnata nella disperata difesa dei suoi Stati dagli attacchi militari di Cesare Borgia, duca Valentino, e poi prigioniera del papa in Castel Sant'Angelo. Dopo la liberazione si stabilì a Firenze, di cui aveva ottenuto la cittadinanza in seguito al matrimonio col Medici, e il F. rimase presso di lei occupandosi dell'educazione del piccolo Giovanni, delle controversie patrimoniali con il cognato Lorenzo e di quelle legali per la tutela del fanciullo. Alla morte di Caterina, avvenuta il 28 maggio 1509, in virtù del testamento di quest'ultima al F. fu attribuita, in concorso con Iacopo Salviati, la tutela e l'educazione fino al diciottesimo anno di età di Giovanni de' Medici, compito che si rivelò notevolmente arduo, dato il carattere indocile del futuro condottiero. Gli furono inoltre affidate, sempre secondo le ultime volontà della Sforza, le sue carte personali e quelle del marito, con facoltà per il F. di conservare o distruggere, a suo insindacabile arbitrio, tutto ciò che avesse ritenuto opportuno.
Alla morte della Sforza si diffuse la diceria che il F. avesse ereditato una notevole somma di denaro, ma egli, che pure dalle lettere appare sempre molto sollecito dei suoi interessi materiali, nello smentire questa notizia ebbe a scrivere a un amico che le commissioni di fiducia che gli erano state affidate erano per lui la più onorevole delle ricompense.
Il F., che dal 1521 poté fregiarsi del titolo di "protonotario apostolico non partecipante", seguì da vicino il suo pupillo anche oltre il diciottesimo anno di età, restandogli vicino anche fisicamente finché rimase a Firenze o nelle residenze di campagna, e intrattenendo con lui un'assidua corrispondenza nel periodo successivo, quando gli impegni di condottiero lo portarono a trascorrere lunghi periodi lontano da casa. Dopo il matrimonio di Giovanni de' Medici con Maria Salviati, il F. rimase al servizio di quest'ultima. Nel 1524, quando la Salviati si recò a Roma per chiedere di persona a papa Clemente VII un trattamento economico più favorevole per il marito, fu il F. ad accompagnarla; ancora lui, dopo la morte di Giovanni dalle Bande Nere, consigliò alla Salviati di assumere la tutela del figlio Cosimo, futuro primo granduca di Toscana, e nel 1527, in seguito ai disordini che portarono alla fuga da Firenze del cardinale S. Passerini, governatore della città per conto di Clemente VII, insisté perché madre e figlio si allontanassero da Firenze.
Nel 1525 il F. ricevette da papa Clemente VII la facoltà di testare. Pur avendo cominciato la carriera del tutto privo di beni di fortuna, nel corso della sua vita, attraverso un'oculatissima amministrazione dei proventi dei benefici ecclesiastici di cui era titolare e non tralasciando la minima occasione per ottenere sgravi tributari e diminuzioni di censi passivi o per recuperare crediti, era riuscito ad accumulare un non disprezzabile patrimonio fondiario, costituito da numerosi appezzamenti di terreno e da due case e situato nel popolo di S. Michele a Castello. Come corollario di una vita interamente spesa al servizio dei Medici, del ramo secondario, poi divenuto ramo principale, egli dispose che alla sua morte la maggior parte di questi beni passasse al giovane Cosimo.
Morì ai primi di maggio 1528 (il 16 maggio 1528 il canonicato già da lui goduto in S. Lorenzo veniva attribuito a Francesco de' Medici "propter obitum").
Fonti e Bibl.: Sono state utilizzate le seguenti fonti inedite, tutte conservate nell'Arch. di Stato di Firenze: Catasto (1469), c. 519; 1017, c. 575; Decima repubblicana, 26, c. 672; Decima granducale, 3629, c. 54; Notarile antecosimiano, 3338, cc. 24, 48 s., 73, 75, 77, 291; 5712, c. 187; 5713, cc. 28, 50; 5718, c. 263; 5720, c. 54; 1701, c. 142; 15834, cc. 28, 36, 45, 49, 52, 56, 76, 109, 125, 127; 18974, cc. 26, 33, 65, 81; 18975, cc. 43, 131, 214, 215, 229, 259, 287; 18976, c. 207; Diplomatico, Mediceo, 1500 ott. 17, 1500 ott. 23, 1500 dic. 15, 1501 maggio 3, 1521 ott. 24, 1525 apr. 22.
La fonte principale per la biografia del F. è costituita dal suo carteggio, per la maggior parte conservato nell'Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, per il quale cfr. Archivio Mediceo avanti il principato. Inventario, I-IV, Roma 1950-1963, ad Indices. Alcuni nuclei di questo carteggio sono stati pubblicati per esteso o in regesto: ad es. il suo carteggio con Giovanni dalle Bande Nere è stato edito da C. Milanesi, Lettere ined. e testamento di G. dalle Bande Nere, in Arch. stor. ital., VII (1858), 2, pp. 15-23, 25, 27-30, 32 s.; VIII (1858), 1, pp. 3 s., 6, 24 s., 30, 32, 34 s., 37 s.; IX (1859), 1, pp. 4, 24; 2, pp. 111, 113, 123, e da P. Gauthier, Nuovi documenti intorno a Giovanni de' Medici, detto dalle Bande Nere, ibid., s. 5, XXX (1902), pp. 72, 87, 90 s., 93. Il carteggio del F. con Caterina Sforza e con i fratelli Riario è stato pubblicato da P.D. Pasolini, C. Sforza, III, 1893, pp. 285, 304, 306, 310 s., 313 s., 321, 350, 353, 368, 371, 378, 381, 384, 389 s., 399 s., 405, 454 s., 457, 465 s., 469 s., 475, 489, 510 s., 514, 517 s., 521, 523 s., 528, 530, 532 s., 535 s., 538, 541, 543, 548, 550 s., 553 s., 583, 606. Il carteggio con G. Benivieni è pubblicato da C. Re, G. Benivieni fiorentino. Cenni sulla vita e sulle opere, Città di Castello 1906.
Cfr. inoltre N. Machiavelli, Legazioni e commissarie, a cura di S. Bertelli, in Opere, VI, Milano 1970, pp. 26 s.; D. Moreni, Continuazione delle memorie istor. di S. Lorenzo, Firenze 1817, p. 145; A. Gherardi, Nuovi documenti e studi intorno a G. Savonarola, Firenze 1887, pp. 259 s.; A. Virgili, L'assassinio di O. Manfredi, a cura di S. Bertelli, in Arch. stor. ital., s. 5, XXV (1901), pp. 101 ss.; P. Gauthier, Jean des Bandes Noires, Paris 1901, pp. 26, 33, 35, 42 ss., 53 s., 76 s., 109, 116, 244, 268 s., 332, 357, 376; J. Schnitzer, Savonarola, II, München 1924, pp. 51, 79 s., 124; O. Zorzi Pugliese, G. Benivieni, umanista, riformatore, in La Bibliofilia, LXXII (1970), pp. 253 ss.; R. Cantagalli, Cosimo I de' Medici granduca di Toscana, Milano 1985, pp. 8, 18, 29; H.C. Butters, Governos and government in early sixteenth century Florence (1502-1519), Oxford 1985, pp. 65 s., 213.