FOLLI, Francesco
Nacque il 31 maggio 1624 a Poppi, nel Casentino, da Domenico e Orsina Dombosi.
La famiglia era originaria di Sansepolcro. A Poppi il F. compì gli studi letterari e, nel frattempo, andò scoprendo interessi eminentemente scientifici, in quell'ampia accezione che, sotto la denominazione di "studio della natura", ancora includeva l'indistinta curiosità verso agricoltura, mineralogia, medicina, astronomia, come la volontà di comprensione tanto dei corpi "terrestri" che di quelli "celesti".
Il 21 giugno 1648 si addottorò in filosofia e medicina a Pisa e, dopo l'abilitazione (12 apr. 1650), esercitò con successo a Poppi.
La fondamentale lettura che, nel 1652, il F. faceva dell'Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus (Francofurti 1628) di W. Harvey - che aveva riassunto e diffuso straordinariamente in Europa gli avanzamenti sulla conoscenza della circolazione unica e chiusa del sangue - e le ripetute esperienze da lui compiute sugli innesti delle piante, che gli avevano fatto constatare come "diverse piante di diverso sugo concorrano all'augniento, di un sol frutto", lo condussero a formulare l'ipotesi che, "data la circolazione del sangue", quanto si fosse osservato come realizzabile nella natura dei vegetali lo fosse anche negli animali e quindi negli uomini. Ciò gli faceva prospettare come possibile la trasfusione del sangue da individuo a individuo, e lo induceva ad ideare lo strumentario idoneo a mettere in atto una tale operazione "colla quale non solo si potesse curare alcuni mali, ma ringiovanire ed ingigantire" (F. Folli, Stadera..., p. 35).
Il 13 ag. 1654 presentò al granduca Ferdinando H de' Medici una sua Memoria manoscritta che non ebbe però alcuna conseguenza. Ottenuta la condotta di Bibbiena (19 ott. 1657), il F. formò la sua famiglia (il 21 giugno 1660 si sposò con Margherita Torsi, dalla quale ebbe un unico figlio, Roberto) e continuo, stimato, a praticare la sua professione, mentre non cessava di applicarsi al variegato campo dei suoi interessi scientifici quali, ad esempio, certi studi sul movimento e sulla composizione delle comete, nati, appunto, dall'osservazione di una di esse comparsa tra il dicembre 1663 e il gennaio 1664. In quest'ultimo anno, poi, riusciva a realizzare un igrometro, cui dette il nome di "mostra urnidaria" proprio per andare incontro a specifici interessi di Ferdinando II e del quale F. Redi - cui si legava di grande amicizia - gliene ascrive il merito nelle sue Esperienze intorno alla generazione degli insetti (Firenze 1668). L'"igrometro originale a nastro di carta" del F. è esposto ora al Museo di storia della scienza di Firenze (cfr. Gli strumenti antichi al Museo..., a cura di M.C. Cantù - M.L. Righini Bonelli, Firenze 1980, pp. 150 s.).
Forse proprio per avvicinarsi ad un ambiente confacente allo sviluppo dei suoi interessi scientifici, costituito di uomini più o meno coinvolti, allora e in passato, nell'Accademia sperimentale di Ferdinando II e in quella parallela del Cimento del fratello Leopoldo, il F. si trasferì nel 1665 a Firenze, dove, in questo stesso anno, pubblicava la Recreatio physica, in qua de sanguinis, et omnium viventium analogica circulatione disseritur, con la quale per la prima volta rendeva pubblico l'incontro avuto col granduca nel 1654 e l'oggetto del loro colloquio, non riuscendo comunque a indurlo a intervenire. Eppure a Ferdinando II l'idea del F. non era dispiaciuta se, insieme con Leopoldo, già da due anni spingeva G.A. Borelli e C. Fracassati a procedere, a Pisa, nelle sperimentazioni per "tramandare nelle vene cibi e medicamenti", le quali erano, in effetti, una parte di tutte quelle esperienze che avevano il sangue come oggetto di studio.
Per il F., quindi, dovette farsi sempre più impellente la necessità di palesare le sue idee sull'argomento per uscire da una condizione che certo avvertiva come separata. Ne risultava profondamente segnata la redazione, iniziata nel 1668, del suo Dialogo intorno alla cultura della vita (Firenze 1670) poiché nel 1669 era venuto a conoscenza di esperimenti sulla trasfusione condotti in Inghilterra. Ma, se pure nei Saggi del Cimento l'operetta fosse menzionata in maniera lusinghiera, di nuovo misconosciuto rimase l'intento che ne aveva diretto la stesura. E la mancanza di un commento si rileva anche nelle Philosophical transactions. nel Journal des sçavans e nel Giornale dei letterati che, negli anni cruciali 1665-70, avevano infittito le pagine del loro settimanale resoconto proprio con le notizie sulla sperimentazione europea della trasfusione. Ma, d'altra parte, al F. stesso, che fin dal principio aveva scelto di trasmettere il suo "inventum" come "secretum", nei confini di una diffusione limitata, rimaneva estraneo il senso di quei dibattiti allargati.
A Firenze il F. rimase forse fino al 1680 seppure, poco dopo il 1670, resta testimonianza della sua presenza - e di una sua attività pregevole come medico - a Citema, non lontano da Sansepolcro ma allora borgo dello Stato della Chiesa; forse questo suo allontanarsi può porsi in relazione con la condanna che nel 1673 gli aveva macchiato lo "specchietto".
Sempre a Firenze, comunque, il F. pubblicava nel 1680 la sua ultima opera: Stadera medica, nella quale oltre alla medicina infusoria e altre novità, si bilanciano le ragioni favorevoli e le contrarie alla trasfusione del sangue già inventata da F. F. ..., con la quale, esauritasi con la morte di Ferdinando II la possibilità di una sua testimonianza, pareva volesse stilare la storia definitiva del suo "inventurn", all'intemo di quella sua idea pansofica del mondo che a lui ne aveva spiegato la ragionevolezza.
In quest'opera descriveva minutamente l'armamentario necessario al cerusico per portare a buon fine l'intervento della trasfusione - presentato su tavola in rame - e ripercorreva l'annoso iter della sua scoperta. Per giungere, infine, a denunciare il fermo convincimento che la spiegazione di come essa "di Toscana avesse navigato in Londra" fosse da ricercarsi nella frequentazione della corte fiorentina di un gruppo di "virtuosi inglesi" e, soprattutto, nel ruolo giocato tra le due nazioni dall'anatomista G. Finchio che a quella visita aveva partecipato e che, in effetti, negli anni, si faceva tramite tra l'Accademia del Cimento e la Royal Society di Londra. Certo è che in questa ripresa di molti degli insiemi tematici della cultura magico-naturalistica, di fatto imperniati nella lettura di un mondo inteso come un tutto nella corrispondenza delle sue parti, la trasfusione del sangue si delineava più come strada verso la giovinezza eterna che come terapeutica straordinariamente innovativa per superare, in alcuni casi, certe patologie.
Il F. morì il 25 genn. 1685 a Sansepolcro, dove si era recato a trovare un suo fratello.
Rimaneva inedita la sua Memoria consegnata a Ferdinando II, di cui ancora, invece, rimane un indizio nel Fascio contenente diverse memorie... (Galil. 268) nei carteggi dell'Accademia del Cimento. Qui si possono ammirare lo schizzo dell'imbutino con le tre parti, "cannellino", "budellino" e "bocchetta" (così uguali a quelli della Stadera), necessane per la trasfusione (cc. 72v-73r) insieme con lo schizzo di un suo ritratto (molto simile a quello del frontespizio della medesima opera) che, pertanto, lo rappresenta ancor giovane (c. 74r).
Fonti e Bibl.: Per la ricostruzione biografica e l'attività scientifica del F. si veda: Firenze, Bibl. nazionale, Galil. 268: Scritto e disegni di mano del ... principeLeopoldo, in Fascio contenente diverse memorie prese in varj tempi di esperienze da farsi e cose necessarie per quelle..., cc. 71r-74v; le notizie sparse nelle opere del F. e in F. Redi, Esperienze intorno alla generazione degli insetti (Firenze 1668), in M.L. Altieri Biagi, Scienziati del Seicento, Milano 1969, p. 350; G. Mannucci, Giunta alla prima parte delle Glorie del Clusentino overo Seconda parte, Firenze 1687, p. 185; A. Fabroni, Historia Academiae Pisanae, III, Pisis 1795, p. 674; G. Goretti Miniati, F. F., in Gli scienziati italiani, a cura di A. Mieli, I, Roma 1921, pp. 203-207; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, VII, New York 1958, p. 523; G. Volpi, Actagraduum Academiae Pisanae, II, Pisis 1979: "Dei candidati", pp. 253, 283, 517; "Dei luoghi d'origine", p. 43; "Dei testimoni", p. 516; M. Giunta, Libri matricularum Studii Pisani 1609-1737, Pisis 1983: "Degli studenti", p. 15; "Dei luoghi d'origine", p. 91; M. Di Segni, Ilcontributo italiano alle origini della trasfusione del sangue e della iniezione di medicamenti nelle vene, in La Rassegna di clinica terapia e scienze affini, XXIX (1930), App., pp. 66-90, 179-199; A. Simili, Origine e vicende della trasfusione del sangue, Bologna 1933, pp. 55, 68, 71-79, 85, 118, 125 s., 133, 135 s.; U. Viviani, F. F. di Poppi e trasfusione del sangue, in Atti e mem. della R. Acc. Petrarca..., n.s., XVI-XVII (1934), pp. 171-176; Id., Tre medici aretini (A. Cesalpino, F. Redi e F. F.), Arezzo 1936, pp. 195-247; A. Pazzini, F. F. da Poppi, in Celebr. del VII centenario della Confr. della Misericordia, Firenze 1936, pp. 25-39; U. Viviani, Di un preteso delitto del dott. F. F., in Atti e mem. della R. Acc. Petrarca..., n.s., XX-XXI (1936), pp. 123-130; Id., La data accertata della morte del dott. F. F. di Poppi inventore della trasfusione del sangue, ibid., XXII-XXIII (1937), pp. 177-180.