FLORIO, Francesco
Le notizie sulla vita del F. sono piuttosto scarse, soprattutto per quanto riguarda gli anni della giovinezza. Si sa che nacque a Firenze - anche se il cognome non rientra fra quelli consueti fiorentini, né il suo nome si riscontra nei registri di dichiarazione di età e in quelli di cittadinanza conservati nell'Archivio delle Tratte presso l'Archivio di Stato di Firenze - e che soggiornò per qualche tempo ad Arezzo e a Roma, ma non si hanno termini di riferimento cronologico. Si pensa tuttavia che la nascita del F. sia avvenuta nei primi decenni del Quattrocento, presumibilmente fra il 1420 e il 1430; e appunto a questo decennio la fanno risalire alcuni studiosi che di lui si sono in vario modo occupati (al 1420 il Salmon, al 1422 il Claudin, al 1427 il Finlayson). Per altri invece (Gesamtkatalog der Wkgendrucke) si sarebbe recato ad Arezzo nel 1428: se così fosse, l'anno di nascita dovrebbe essere anticipato.
Secondo quanto affermato in una sua opera, il De probatione Turonica compendium, il F. sarebbe stato frate domenicano; tale qualifica ritorna anche in un manoscritto da lui copiato a Parigi nel 1465. Ma sull'effettiva appartenenza del F. all'Ordine domenicano non risultano notizie precise.
Si ritiene, secondo la ricostruzione effettuata dal Salmon, che il F. sia passato in Francia fra il 1461 e il 1462: lo stesso F., nel De probatione Turonica compendium, sostiene di aver lasciato la Toscana, e quindi l'Italia, per causa di un non meglio specificato "actus stultitiae", recandosi al seguito di Giovanni d'Armagnac in Francia, dove appunto quest'ultimo ritornava dopo una permanenza in Italia. Sempre in base alla testimonianza diretta del F. si sa che egli dapprima si spostò lungo la Francia per due o tre anni, dopo aver lasciato il D'Armagnac deluso dall'immoralità della sua condotta, e che poi trascorse tre anni a Parigi, prima di fermarsi a Tours. A Parigi, quindi, il F. dovette vivere nel periodo fra il 1464 e il 1467, e al 1467 dovette risalire il suo arrivo a Tours; qui, infatti, nel dicembre, concluse la stesura dell'Historia Camilli et Emilie. A Tours visse presso l'architetto Guillaume Larchevesque, e quindi presso un canonico, Frangois Thouars. Non è certo se in quel periodo sia stato nominato segretario dell'arcivescovo di Tours (Gerald Nartot o Elias de Bourdeilles). Era ancora Vivo il 12 marzo 1480 quando finì di copiare, per il vescovo di Sens, Tristan de Salazar, i Decreti di Graziano (nell'attuale manoscritto 1183 della Bibliothèque de l'Arsenal di Parigi). Dopo questa data non si hanno più notizie sul Florio.
L'attività letteraria del F. si rivolge a due settori specifici: uno di produzione di opere originali, l'altro di copiatura di manoscritti. Al primo settore appartengono il De laudibus rethotice, steso a Parigi nell'aprile 1466,l'Historia Camilli et Emilie, scritta a Tours nel dicembre 1467, e il De probatione Turonica compendium, composto a Tours nel 1478.
Il De laudibus rethorice è un discorso breve ma assai incisivo, rivolto a non meglio specificati "viri spectabiles" (e poi "viri insignes"), forse professori o studenti dell'università di Parigi. L'operetta è fondata sul concetto che la retorica, cioè l'arte che insegna a parlare, è la scienza più utile e necessaria per l'umanità. La lingua è l'elemento distintivo della natura dell'uomo, il quale è un essere politico, creato per vivere all'interno di una società che egli stesso contribuisce a sviluppare. Essa gli consente di entrare in contatto con i suoi simili: e, conseguentemente, proprio l'eloquenza rende gli uomini signori della Terra e simili a Dio. Mentre ogni altra disciplina - dalla grammatica all'astronomia, dalla poesia alla fisica, dalla geometria alla musica ed a qualunque altra scienza - fornisce una preparazione parziale e settoriale, solo l'eloquenza dà una formazione globale e fa gli uomini cittadini e politici. Nel corso dei secoli l'eloquenza ha prodotto frutti straordinari, grazie a figure come Gorgia, Aristotele, Ermagora, Cicerone, perché essa si identifica con la saggezza, regolatrice di ogni azione umana. E questa convinzione il F. illustra attraverso il richiamo ad altre figure della storia: dal re di Roma Numa Pompilio ai santi Barnaba, Paolo e Agostino, fino al frate domenicano Pietro da Verona, che liberò l'Italia dall'eresia dei manichei. L'eloquenza appare così al F. capace di risolvere le guerre, consolidare la pace, spingere alla misericordia, unire i cittadini, bandire i tiranni, consentire la tranquillità al governo dei re.
Si tratta, nel complesso, di tesi ben poco originali e piuttosto comuni, che però presentano una loro vitalità soprattutto in rapporto all'ambiente culturale d'Oltralpe in cui furono enunciate dal F., dove preminente appariva l'affennazione scolastica sulla superiorità assoluta della teologia.
L'Historia Camilli et Emilie Aretinorum sembra, in parte, una narrazione autobiografica, soprattutto per quanto riguarda il racconto delle vicende amorose vissute dall'autore durante la giovinezza. Per nascondere la sua diretta partecipazione ai fatti raccontati, il F. provvide a cambiare i nomi dei personaggi. È anche probabile che, per la medesima ragione, sia stata modificata anche la qualificazione originaria dei due personaggi ("aretini" anziché "fiorentini"): a meno che non si tratti di situazioni verificatesi durante il soggiorno, pur sempre giovanile, del F. ad Arezzo. L'autore sostiene anche - e qui può vedersi il riflesso autobiografico - che uno dei protagonisti è vivo e ha circa quarant'anni.
L'Historia è dedicata dal F. a un amico di Tours, Guillaume Tardif, figura di un certo rilievo nella cultura francese dell'ultimo Quattrocento, traduttore in francese, fra il 1490 e il 1492, delle Facezie di Poggio Bracciolini e degli Apologi di Lorenzo Valla.
La trama del racconto è abbastanza semplice. Ad Arezzo, due fanciulli quasi coetanei, ma di diversa condizione sociale, Emilia, nata da una ricca famiglia, e Camillo, proveniente da poveri fabbricanti di coltelli, crescono insieme in grande amicizia nella casa di Emilia. Studiano e vivono con affabilità fin quando la fanciulla, a quattordici anni, viene data in sposa a un giovane di rispettabile condizione. La separazione fa aumentare fra i due una reciproca attrazione e un forte amore, un amore in contrasto con le convenzioni che trova drammaticamente sbocco nella separazione dei due amanti e nella malattia e morte di Emilia, che - prima di morire - scrive una lettera d'addio all'amato. L'Historia si chiude col triste e penoso lamento di Camillo per la perdita di Emilia.
L'opera si inserisce, dunque, in un filone della letteratura umanistica di particolare rilievo, qual è quello della novellistica in latino. Un genere che, rispetto alla novellistica in volgare, era fortemente minoritario e ridotto, e che, al suo inizio, aveva avuto origine nelle traduzioni in latino di alcune novelle del Decameron compiute a partire dal Petrarca, da A. Loschi e da L. Bruni, per proseguire poi nell'ambito della facezia e della vera e propria novellistica latina, qual è rappresentata dalla Historia de duobus amantibus, composta nel 1444 da E. S. Piccolomini, che il F. richiama esplicitamente nel proemio, e che in parte imita nella struttura inserendo nel suo racconto alcune lettere che i due amanti si scambiano. Né è un caso che proprio alla traduzione del Bruni della novella boccacciana di Griselda (Decameron, IV, 1) sia unita l'Historia del F. nelle due stampe parigine quattrocentesche che la tramandano, nelle quali, altrettanto significativamente, alla traduzione bruniana è dato il titolo De duobus amantibus. Il F. si inserisce, quindi, in un genere letterario di notevole originalità e di primaria importanza nella produzione umanistica in prosa, sia pure con un racconto tenue ed esile, e assai usuale nella tradizione novellistica (è presente un influsso specifico dell'Historietta di Leonora de' Bardi e di Ippolito Buondelmonti di L.B. Alberti, poi tradotta in latino da P. Cortesi), ma non per questo privo di una sua peculiare vivacità.
Il De probatione Turonica compendium è un elogio della città di Tours, rivolto, in forma epistolare, a un amico del F. residente a Roma, Giacomo Tarlati da Castiglione. Non è facile individuare se questi sia un francese, nato in qualche paese di nome Chátillon, o un italiano; certo è che si tratta di una persona che aveva tralasciato gli studi letterari per interessi più concreti e alla quale ora il F. si indirizza - come scrive lui stesso all'inizio dell'operetta - invitandola a leggere la sua lettera con la stessa cordialità del passato e aggiornandola, dopo anni di silenzio, sia pure sinteticamente, delle sue vicende biografiche essenziali: abbandono "actu stultitiae" della Toscana e dell'Italia, peregrinazioni per la Francia con l'Armagnac, soggiorno di tre anni a Parigi e infine, "paci ac quieti suae consulens", residenza a Tours, scelta come sua nuova dimora.
E di Tours il F. traccia una rapida storia partendo dalle leggendarie origini della città, inserita in una regione particolarmente felice e fortunata, dove non vi erano state guerre e rovine, dove solo la "benignitas" di Giove regolava l'esistenza dei suoi abitanti. La grandezza della storia di Tours è essenzialmente identificata dal F. con l'episcopato di due grandi vescovi, esempi per l'intera cristianità, s. Gregorio e s. Martino, ai quali si aggiungeva anche il più recente vescovo Jean Bernard. Dopo la narrazione storica è dato spazio alla descrizione geografica della regione, ingentilita da un clima favorevole e dalla provvida presenza di fiumi, donde deriva la sua ricchezza. Segue un'ulteriore celebrazione della città di Tours per la sua struttura urbanistica ed architettonica e quindi per l'operosità degli abitanti, la cui vita appare gratificata dalla benefica presenza della Loira. Tre sono - secondo il F. - i più considerevoli edifici della città: la cattedrale di St-Gatien (descritta con prolissità di particolari), la basilica di St.-Martin e il monastero di St.-Julien. Oltre agli edifici religiosi è ricordato il castello con la cappella reale.
Il De probatione Turonica compendium è un'operetta che presenta - al di là di alcuni inserimenti autobiografici del F. - un valore essenzialmente letterario, più che storico, anche se l'autore poteva attingere a fonti storiche e cronachistiche di rilievo disponibili a Tours negli anni del suo soggiorno. Lo scritto riprende, comunque, gli schemi consueti di similari panegirici di origine medievale, proseguiti poi in età umanistica con esempi illustri a partire dalla Laudatio Florentine urbis di L. Bruni. Ma, pur entro limiti evidenti, la narrazione del F. sembra uscire da una dimensione municipalistica, rivendicando, quasi, gli aspetti più positivi di una città d'Oltralpe validi anche al di fuori di essa. Né è da escludere una qualche forma di polemica verso il mondo intellettuale italiano dal quale il F. si sentiva estraneo e lontano.
Al settore dell'attività di copista risale un gruppo di codici trascritti dal F., andati poi dispersi in varie biblioteche; ma non è stato finora attuato un censimento completo relativo alla sua produzione libraria. Caratteristica dell'operosità del F. quale amanuense è la qualifica che egli dà di sé in alcuni explecit: "Florius infortunatus"; ma non è dato sapere le ragioni di questa "sfortuna" o "disgrazia" a cui egli voleva riferirsi. Ogni ipotesi rimane, allo stato attuale delle ricerche., priva di riscontro: non si può sapere se si trattasse di una situazione negativa di ordine fisico o di ordine morale. Un passo dell'Historia Camilli et Emilie, in cui il protagonista recrimina la sua posizione di innamorato esclamando "Heu, infortunatus ego" (in realtà passi simili sono piuttosto frequenti), ha fatto pensare al Finlayson che l'infelicità del F., nell'Historia mascheratosi sotto la figura di Camillo, derivasse da ragioni d'amore.
Sono stati identificati finora come scritti dalla mano del F. una diecina di codici: un Virgilio, contenente sul foglio iniziale le armi del re di Scozia e scritto forse nel 1447, ora conservato a Edimburgo, University Library, 195 (già Dd.VI.8); un Seneca, conservato a Oxford, Merton College, A-31; un Tommaso d'Aquino, scritto fra il maggio e l'agosto 1465 a Parigi, ora conservato a Tolosa, Bibliothèque municipale, 214; una miscellanea contenente la Retorica a Erennio e le Satire di Giovenale e di Persio, scritta a Parigi nell'agosto 1467, ora conservata a Firenze, Biblioteca Laurenziana, Med. Pal. 109; un Valerio Massimo, terminato di scrivere a Bruges sul finire del 1469, ora a El Escorial, Real Biblioteca de San Lorenzo, S.III-4 (il nome del F. è in caratteri greci); una Visio mira super archana Francie, scritto tra la fine del 1469 e i primi del 1470, ora a Roma, Biblioteca nazionale, 428 (anche qui il nome del F. è in caratteri greci), un Decretum di Graziano, scritto fra il 1478 e il 1480 per il vescovo di Sens, ora a Parigi, Bibliothèque de l'Arsenal, 1183; le Decretali, scritte prima del settembre 1483 per lo stesso vescovo, ora Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 6054, e un altro manoscritto giuridico, l'attuale Vat. lat. 6055.
Opere: Il De laudibus rethorice è stato edito, sulla base del manoscritto HB.X.24 della Landes bibliothek di Stoccarda da E. Beltran, Un discours inconnu de F. F. sur la rhétorique, in Bibliothèque d'Humanisme et Renaissance, L (1988), pp. 101-109; l'Historia Camilli et Emilie Aretinorum è stata pubblicata due volte nel Quattrocento a Parigi: da Pierre César e Johan Stoll, circa 1473 (Hain, Pellechet, Indice generale degli incunaboli); il De probatione Turonica compendium è stato stampato da A. Salmon, Description de la ville de Tours sous le règne de Louis XI par F. F., in Mémoires de la Société archéol. de Touraine, VII (1855), pp. 82-108.
Fonti e Bibl.: F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, IV, Milano 1749, p. 152; J. Ch. Brunet, Manuel du libraire, II, Paris 1861, coll. 1309 s.; P. Larousse, Grand dict. universel, VIII, Paris 1872, p. 503; A. Claudin, Histoire de l'imprimerie en France au XVe et au XVIe siècle, I, Paris 1900, pp. 122-124; L.M. Delaissé, L'exposition "Flemish Art" à Londres, in Scriptoriu, IX (1955), p. 111 P.O. Kristeller, Una novella latina e il suo autore Francesco Tebaldi mercante fiorentino del Quattrocento, in Studi letterari in onore di E. Santini, Palermo 1956, p. 165; C.P. Finlayson, Florius infortunatus, in Scriptorium, XVI (1962), pp. 378-380; Id., Florius infortunatus, scribe and author, ibid., XIX (1965), pp. 108 s.; G. Toumay, Historia trium amantium. Une contribution à l'étude de la nouvelle latine au Quattrocento, in Humanistica Lovaniensia, XVII (1968), p. 55; L. Sozzi, Petrarca, Tardif e Denys de Harsy (con una nota su F. F.), in Studi francesi, XLIII (1971), pp. 78-82; M.S. Buhl, Die Handschrffien der Württembergischen Landesbibliothek, I, Wiesbaden 1972, pp. 92-100; L. Bertalot, Studien zum italienischen und deutschen Humanismus, a cura di P. O. Kristeller, Roma 1975, I, pp. 220, 248 s.; II, p. 461; A. Schmitt, Camillus und Emilia. Zur Entstehung und Tradition einer Renaissance novelle in Deutschland, in Studien zur Buchund Bibliotheksgeschichte. Hans Luifing zum 70. Geburutag, a cura di U. Altmann - H.E. Teitge, Berlin 1976, pp. 109-120; G. Toumoy, F. F. novelliste italien, in Acta Conventus Neo-Latini Sanctandreani, a cura di J.D. Mc-Farlane, Binghampton 1986, pp. 193-202; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, VIII, coll. 524-527; L. Hain, Repertorium bibliographicum, n. 7193; M. Pellechet, Catalogue générale des incunables… n. 4852; Indice generale degli incunaboli delle biblioteche d'Italia, n. 4005.