FLORIDO, Francesco
Nato nel 1511 a Poggio Donadeo, oggi Poggio Nativo, in Sabina (da cui l'appellativo di "Sabino" che si attribuì), sarebbe appartenuto al ramo romano della facoltosa famiglia dei Floridi, la cui sede principale era Nepi. Dopo l'incarcerazione e la morte (1497) in Castel Sant'Angelo di Bartolomeo, vescovo di Cosenza e segretario apostolico, la famiglia si ritirò a Nepi e di lì, dopo l'infeudamento del Comune da parte di Alessandro VI a favore dei nipoti, in Sabina, legandosi forse ai Savelli, feudatari della zona, avversi ai Borgia.
Il F. compì i primi studi a Roma alla scuola dell'umanista Decio Sifiano da Spoleto, ma a quindici anni entrò nella famiglia di Alberto Pio da Carpi, presso il quale completò la sua formazione. Lo seguì alla corte di Francesco I, svolgendo le mansioni di lettore ed amanuense. Rimase in Francia fino alla morte del protettore avvenuta nel 1531 mentre era in corso la stampa dei ventitre libri In locos lucubrationum variarum D. Erasmi Roterodami (Parisiis, Baduis, 1531), che fu portata a termine dal F.: suoi sono la prefazione, la conclusione, l'indice e il dialoghetto di presentazione dell'opera (un'altra edizione apparve lo stesso anno a Venezia presso i Giunta). Nel 1533, per volere del padre, iniziò gli studi di legge a Bologna, ma dopo due anni si dedicò interamente alle lettere, aggiungendo allo studio del latino e del greco anche quello dell'ebraico.
Su un dibattito corrente tra gli umanisti verte la sua prima opera, l'Apologia contro i detrattori di Plauto, apparsa probabilmente alla fine del 1535 con la dedica al nipote di Alberto Pio, Rodolfo, vescovo di Carpi. La seconda edizione e prima che possediamo, col titolo Apologia in Marci Accii Plauti aliorumque poetarum et linguae Latinae culumniatores (Lugduni, Gryphio, 1537), presenta un impianto articolato in quattro parti di cui solo la prima è dedicata al commediografo latino.
Poco dopo la pubblicazione dell'Apologia con il De iuris civilis interpretibus il F. intervenne in un'altra vexata quaestio che divideva i letterati contemporanei. L'operetta, terminata alla metà del 1538 e pervenutaci nell'edizione basileese del 1540 di varie opere del F. (Apologia in M.A. Plauti... calumniatores; Liber de iuris civilis interpretibus; De C. Iulii Caesaris praestantia; Lectionum successivarum libri tres; Callimachi hymnus in Dianam), riguardava la polemica che opponeva gli umanisti e i giuristi intorno al corretto uso dei vocaboli giuridici.
Destinatario immediato dell'intervento del F. era A. Alciati, in quegli anni all'università di Bologna, che nel De verborum significatione (Lugduni, Gryphio, 1530) aveva difeso i giuristi dalle accuse apparse nel III libro delle Elegantiae del Valla. L'Alciati si risentì delle ingiurie che conteneva il libello del F. e reagì con un epigramma In Ranciscum Olidum, che fu poi incluso con titolo In detractores nell'edizione aldina del 1546 degli Emblemata.
Nell'aprile 1539 il F. diede alle stampe le Lectiones succisivae, in tre libri, opera sul genere delle Miscellaneae del Poliziano comprendente una cinquantina di articoli.
Ancora al soggiorno bolognese risalgono la traduzione dell'Inno a Diana di Callimaco, compiuta in soli quattro giorni nel 1539 (allegata in calce alle Lectiones), e il dialogo De Caesaris praestantia intorno al primato di Cesare o Scipione.
Il libro, terminato alla fine del 1538, descrive la discussione avvenuta a Bologna in casa di Bassiano Landi, piacentino, il 13 giugno 1537 tra il F., il Landi e due stranieri. A. Arlenio e R. Seleio. L'opera, ristampata a Basilea nel 1540, ebbe anche una traduzione tedesca (Kriegsübung dess fürtrefflichsten und streitbarsten ersten Römischen Kaisers Julii..., Strassburg, Knoblouchs, 1551).
La fama ottenuta con i suoi scritti procurò al F. la chiamata a Roma da parte di Paolo III, che gli affidò l'educazione del nipote Orazio Farnese. Giunse a Roma probabilmente nel 1540: all'anno successivo risalgono due scritti polemici contro l'umanista francese Etienne Dolet e il tedesco Jakob Spiegel. Il Dolet era l'autore di un dialogo De imitatione Ciceroniana adversus Erasmum (Lugduni, Gryphio, 1535), che attaccava le critiche espresse da Erasmo nel Ciceronianus: il F. aveva discusso le posizioni del Dolet in Lectiones succisivae (1, 2 e 4), prendendo le difese di Erasmo pur non condividendone interamente le posizioni. Una volta a Roma, ebbe notizia della replica del Dolet nel De imitatione Ckermiana adversus F. Sabinum, alle cui calunniose invettive fu indotto a replicare - così afferma - dalle sollecitazioni degli amici in un Liber adversus calumnias Doleti. Ad una genesi polemica è legata anche l'Epistola allo Spiegel che nel De scribendi modestia aveva criticato i giudizi impertinenti su di lui in LectioNES, III, 4.1.
In luglio il F. lasciò la città per accompagnare il suo allievo alla corte di Francesco I. Sul viaggio e sull'accoglienza a Fontainebleau siamo informati dalle lettere del F. conservate all'Archivio di Stato di Parma, pubblicate in parte da A. Ronchini (Epistolario scelto, b. 9). Circa l'ufficio di precettore, informava generosamente dei progressi dell'allievo i parenti in Italia. Il comportamento disinvolto e sprezzante doveva però mettere il F. in una luce non del tutto positiva almeno tra i propri connazionali residenti presso la corte francese. Il nunzio G. Dandino., in una lettera del 18 luglio 1543, traccia senza perifrasi il ritratto di un erudito spocchioso e scostante, dal quale Orazio ricavava più male che bene e che sarebbe stato perciò opportuno sostituire.
In Francia il F. intraprese la versione latina dell'Odissea, interrotta al libro VIII per passare al servizio personale dei cardinale Alessanfro Farnese, giunto nel 1543 con l'incarico di negoziare la pace di Crépy tra Francesco I e Carlo V. La traduzione uscì a Parigi tra il dicembre 1544 e il gennaio 1545.
Rientrato in Italia nel marzo 1545 insieme con Orazio, la cui presenza alla corte francese costituiva un ostacolo per la politica filoimperiale ora intrapresa dai Farnese, fu rispedito col suo allievo in Francia, in vista di un rovesciamento di alleanze destinato ad essere sancito dal matrimonio di Orazio con Diana, figlia naturale del delfino Enrico. Alla partenza il F. fu allettato con promesse di una pensione e di rendite in Spagna, nonché con la prospettiva dell'incarico di consegnare il cappello cardinalizio a Giorgio d'Amboise, cosa che gli avrebbe valso una mancia cospicua. Il 22 aprile e il 6 giugno 1546 pregò ancora il cardinale Farnese di affidargli la lucrosa commissione, sollecitando al contempo una pensione decorosa. Invano: il F. morì a Parigi nel 1547 senza avere ottenuto alcun favore dai suoi protettori.
Un epigramma del F. si legge in Delitiae CC Italorum poëtarum, a cura di R. Gherus (I. Gruterus), II, Francofurti 1608, p. 582.
Fonti e Bibl.: A. Alciato, Le lettere, a cura di G. L. Barni, Firenze 1953, n. 113 P. Giovio, Lettere, a cura di G.G. Ferrero, I, Roma 1956, p. 301; Correspondances des nonces en France Capodiferro, Dandino et Guidiccione 1541-1546, a cura di J. Lestocquoy, Rome-Paris 1963; Correspondances des nonces en France Dandino, Della Torre et Trivultio (1546-1551), a cura di J. Lestocquoy, ibid. 1966, pp. 59, 82; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., IV, Milano 1833, pp. 199 s.; A. Ronchini, F. F., in Atti e mem. delle R. Deputaz. di storia patria per le prov. modenesi e parmensi, V (1868), pp. 385-392; R. Sabbadini, Storia del ciceronianismo, Torino 1885, pp. 72 s., 130-136: Id., Vita e opere di F. F. Sabino, in Giorn. stor. della lett. ital., IV (1886), pp. 233-263; E. Costa, A. Alciato allo Studio di Bologna, in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 3, XXI (1903), pp. 338 ss.; R. Abbondanza, La giurisprudenza medievale nel giudizio dell'umanista F. F. Sabino, in Il Mulino, II (1953), pp. 640 ss.; E. Leoni, Profilo dell'umanista sabino F. F., in Lunario romano, IX (1980), pp. 241-260; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Ind.