FILELFO, Francesco
Umanista, nato il 25 luglio 1398 a Tolentino, morto a Firenze il 31 luglio 1481. Ebbe maestro a Padova, tra gli altri, Gasparino Barzizza; e a Padova, a Venezia e a Vicenza fu poi maestro di eloquenza. Dal 1420 al 1427 fu a Costantinopoli, e v'imparò assai bene il greco, alla scuola di Giovanni Crisolora, di cui sposò la figlia Teodora, e del Crisococca; tornato in Italia, insegnò per breve tempo eloquenza a Bologna, e poi (1429) passò allo studio fiorentino, dove suscitò grande ammirazione, ma non tardò a circondarsi anche di antipatie e di nemici. Ferito ai primi di giugno da certo Filippo da Casale, egli attribuì l'attentato a ispirazione di Cosimo de' Medici, e quando questi cadde prigione dei suoi nemici, ne consigliò la morte piuttosto che il bando; onde al ritorno di lui a Firenze (1434) il F. fu a sua volta bandito. Dal 1434 al 1438 insegnò a Siena, nel 1439 a Bologna; infine passò al servizio di Filippo Maria Visconti, dapprima come insegnante a Pavia, poi (febbraio 1440) come suo famigliare. Continuò in questi anni a battagliare contro i Medici, contro cui disegnò le Commentationes florentinae de exilio; ma la rotta delle armi viscontee ad Anghiari gli consigliò i primi passi sulla via delle ritrattazioni. Non mancavano intanto al F. lucri e onori da parte di Filippo Maria; ciò non impedì però che egli recasse allo Sforza trionfante il primo omaggio dei Milanesi. Si acconciò dunque con lo Sforza; ma l'erario esausto non permetteva che la pensione decretatagli fosse pagata con puntualità: onde egli metteva a contributo per le sue molte spese principi e prelati, promettendo in cambio l'immortalità, con lodi prodigate nelle sue opere; pronto se non accontentato a diventare, da accattone, insolente. Morto Francesco Sforza, cercò più sicuro e redditizio collocamento e fu in trattative con Bologna e con Pisa; infine Sisto IV lo chiamò a Roma (1474). Tornò a Milano dopo l'uccisione di Galeazzo Maria Sforza, e vi dimorò finché Lorenzo il Magnifico, cassato il decreto di bando del 1434, non lo chiamò a legger greco nello Studio fiorentino; ma era appena giunto a Firenze quando venne a morte.
Oltre a orazioni, scritti polemici e pedagogici, lettere - per lo più aride e brevi, adulatorie o insolenti -, il F. compose i dialoghi Convivia mediolanensia (1443), curioso guazzabuglio di astronomia, archeologia, storia, ecc., superficialmente ravvivato da sferzate polemiche; una Vita del sanctissimo Iohanni Baptista (1448), poema in volgare di 48 capitoletti di 14 terzine ciascuno, simmetrico nel disegno, sciatto e monotono; cinque libri di Odae, contenenti 50 carmi di vario metro, cortigianeschi e squallidi; il De iocis ac seriis (1458-1465), immensa raccolta di epigrammi, in dieci libri, ricca anch'essa d'invettive e di adulazioni, commiste ai consueti temi moralistici e a sconcezze. Ma l'occupazione più importante e lucrosa degli anni passati al servizio di Francesco Sforza fu la Sphortias, poema rimasto incompiuto, e che narra pedestremente, non senza l'intervento di divinità mitologiche e di sant'Ambrogio, le imprese dello Sforza dopo la morte di Filippo Maria Visconti.
Il F. non fu un grande ingegno; poche vivaci scene dei Convivia mediolanensia e qualche pagina commossa delle sue orazioni, non bastano a far di lui un artista, né gli scritti filosofici e pedagogici, espositivi piuttosto di teorie antiche che di sue dottrine, valgono a dargli lode di pensatore originale; carattere peculiare del suo ingegno, certa arida tendenza alla precisione cronologica e alle costruzioni simmetriche. Infatuato di sé, fu moralmente uno strano miscuglio di orgoglio e di bassezza, d'ipocrisia e di temerità, di astuzia e di violenza. Solo aspetto simpatico della sua figura morale, l'affetto per la famiglia, che ebbe numerosa: successivamente tre mogli e di figlioli, tra legittimi e naturali, un paio di dozzine. Dei figli, due ebbero qualche fama letteraria: Giammario (1426-1480) maestro vagante in più città dell'Italia settentrionale e centrale e fecondo scombiccheratore di migliaia di versi latini in lode di principi, e Senofonte (morto nel 1470), cancelliere della repubblica di Ragusa.
Bibl.: C. De Rosmini, Vita di F. F., 3 voll., Milano 1808; A. Luzio-R. Renier, I Filelfo e l'umanesimo alla corte dei Gonzaga, in Giorn. stor. d. lett. ital., XVI (1890) p. 119 segg.; G. Zippel, Il F. a Firenze, Roma 1899; A. Calderini, Ricerche intorno alla bibliot. e alla cultura greca di F. F., in Studi ital. di filol. classica, XX (1913); id., I codd. milanesi delle opere di F. F., in Arch. stor. lombardo, s. 5ª, XLII (1915) p. 335 segg.; G. Biscaro, Documenti milanesi ined. su F. F., in Arch. stor. lomb., s. 4ª, XL (1913), p. 215 segg.; C. Picci, Il De iocis et seriis di F. F., Varallo 1914; G. Benadducci, Contributo alla bibliografia di F. F., in Atti e Mem. della R. Deputaz. di storia patria per le prov. delle Marche, V (1901), pp. 450-535 (bibliografia delle opere del F. e degli scritti intorno a lui); V. Rossi, Il Quattrocento, 2ª ediz., Milano 1932; L. Agostinelli e G. Benadducci, Biografia e bibliografia di G. Mario Filelfo. Tolentino 1899; F. Gabotto, Senofonte F. a Ragusa, in Arh. stor. p. Trieste, l'Istria e il Trentino, IV, pp. 132-38.