FICHERA, Francesco
Figlio di Filadelfo e Anna Gallo, nacque a Catania il 16 giugno 1881.
Il padre (1850-1909), ingegnere, fu una delle personalità di spicco della vita culturale e artistica della Catania liberale, postborbonica. Professore di disegno presso la Scuola di belle arti, vicedirettore dell'Ufficio tecnico municipale, si occupò del piano di risanamento igienico della città, colpita nel 1866 da una disastrosa epidemia di colera. Oltre all'ingegneria sanitaria Filadelfo rivolse i suoi interessi allo studio della storia antica di Catania; diresse campagne di scavo nell'anfiteatro romano e in numerosi altri siti archeologici nell'area centrale urbana; fu anche sostenitore di un avveniristico progetto di "allacciamento" di Catania all'Etna (Boscarino, 1966, pp. 164 ss.).
Il F. seguì molto da vicino il percorso professionale di suo padre. Studiò ingegneria a Roma, dove si laureò nel 1904 con un progetto di "grande galleria per una metropoli"; due anni dopo conseguì anche il diploma in architettura, completando brillantemente il suo iter scolastico a soli venticinque anni. Prima di rientrare nella natia Catania, dove si stabilì intorno al 1907, prendendo di lì a poco le redini dello studio del padre, prematuramente scomparso, passò più di un anno a Palermo, uno dei centri artistici più attivi della Sicilia a cavallo fra i due secoli, dove compì un fruttuoso periodo di apprendistato artistico e architettonico. Si formò culturalmente nel circolo che gravitava intorno a E. Basile, da cui ricevette una duplice lezione, quella improntata alla declinazione dei caratteri del gusto liberty locale e quella rivolta alla cultura architettonica internazionale. Dell'insegnamento del maestro seppe conservare l'amore per la preziosità del dettaglio e lo spirito classico del pensiero architettonico.
Fu grande studioso dell'architettura barocca e degli splendidi monumenti della città in cui era nato. Il suo volume Una città settecentesca (Roma 1925), riccamente illustrato, è interamente dedicato allo studio delle chiese e dei palazzi catanesi. Questo lavoro, che fu il prodotto di una solida e approfondita ricerca scientifica, permette di conoscere più da vicino lo spirito appassionato e la vivacità intellettuale del Fichera. I suoi interessi per l'architettura del XVIII secolo, particolarmente quella della sua terra natale, lo portarono in seguito a pubblicare due volumi (testo e tavole) su G. B. Vaccarini e l'architettura del Settecento in Sicilia (Roma 1934).
"L'opera storica del F. non è mai superficialmente esegetica o limitata allo stretto campo architettonico: contiene vaste risonanze e profonde connessioni con attitudini critiche più generali; si esprime con uno stile letterario assai colorito e caratteristico" (Piacentini, 1939, p. 589). Del F. come uomo di cultura moderna e della sua preparazione nel trattare insieme questioni estetiche e storiche parlava anche G. Giovannoni nella prefazione all'opera monografica del F. Luigi Vanvitelli, pubblicata dall'Accademia d'Italia in occasione delle celebrazioni vanvitelliane (Roma 1937). Il volume analizzava l'opera del Vanvitelli, dai primi lavori anconetani ai capolavori della produzione napoletana, evidenziando come l'artista fosse approdato ad una ampia sintesi, attraverso una originale unità, dei valori più vivi dell'architettura classica.
Gli studi sul barocco e sul Settecento lasciarono più di una traccia nella maniera di progettare l'architettura del F.: lo indirizzarono verso un classicismo ricco di particolari raffinati e lo dotarono di uno spiccato senso delle proporzioni. A proposito del suo essere un prodotto della cultura siciliana aveva scritto, facendo riferimento a se stesso: "Non rumore, ma melodia... non tecnicismo, ma genialità; non caricatura, ma humour. (Melodia, genialità, humour: essenze tutte di cui la nostra terra impregna i suoi ingegni rendendoli così saporosi come i suoi frutti)" (Piacentini, 1931, p. XVII).
Il F. iniziò l'attività professionale intorno al 1908 con la realizzazione dell'ampliamento dell'ospizio dei ciechi a Catania. Negli anni immediatamente successivi fu responsabile del restauro di alcune ville e palazzi signorili e si dedicò con particolare attenzione alla progettazione di residenze di lusso, sia in città che nei suoi magnifici dintorni etnei. Particolarmente interessanti, anche per i riferimenti al pensiero architettonico internazionale, e più precisamente a quello viennese della secessione, sono la villa Simili a Catania (1908-1910), la villa Scannapieco in località Picanello (1909-1911), la villa Majorana a Catania (1911-1913), la palazzina Zappalà a Trecastagni (1912), il palazzo Failla e il palazzo Zuccarello, entrambi del 1913, ancora a Catania.
Dalla fine del primo decennio del Novecento quella città visse un momento di grande interesse per il decoro urbano e i nuovi riti della vita sociale urbana. Nel 1913 si inauguravano il cinema-teatro Olympia e il nuovo complesso dello Sport Club di Catania, entrambi progettati dal Fichera. Dell'anno successivo, erano due progetti, non realizzati, ma che nascevano da quella medesima febbre per il lusso e il divertimento che si era diffusa a Catania: per il grande Kursaal e stabilimento balneare alla Plaja e per un grande albergo. Al tema della moda e dell'arredo si ricollegavano le ristrutturazioni di alcuni negozi, in particolare quello Alfonsetti e quello Martinez (1909) e del grande negozio di tessuti Pandolfini in piazza Manganelli con una elegante boiserie in stile fioreale; per lo stesso committente il F: realizzò nel 1934 il nuovo negozio ai Quattro Canti. Infine, al disegno di una sala cinematografica il F. ritornò ancora molti anni dopo con il "cinema blu" a Catania (1929), una struttura in cemento armato, dominata da un raffinato studio della luce e del colore.
Il palazzo delle Poste e Telegrafi a Catania, progettato nel igiq e ultimato nel 1929, aprì la serie dei progetti di grandi attrezzature pubbliche che impegnò il F. nei tre decenni successivi. La tipologia messa a punto, e più volte ripresa, era quella di un edificio a corte interna, formato in pianta da due anelli concentrici, di cui quello esterno era accessibile al pubblico, mentre quello interno era occupato dagli uffici che si aprivano sulla corte. Il medesimo schema funzionale venne ripetuto nel progetto per il palazzo delle Poste e Telegrafi a Siracusa (1920-1929).
In questo caso è evidente come il F. cerchi di far aderire temi classici alla concezione moderna del palazzo postale. L'esterno, rivestito in pietra calcarea locale, esprime un'aura di monurrientalità enfatizzata dalle due torri angolari, ove sono contenuti gli ingressi; l'interno, reso nobile dall'uso degli ordini architettonici negli ambienti di collegamento, ossia atri e corridoi, mantiene un aristocratico spirito classico nei particolari decorativi, quali i frammenti antichi inseriti nelle murature.
Nella seconda metà degli anni Venti il F. si confrontò nuovamente con la progettazione di edifici pubblici; in quella occasione si occupò di due scuole: del 1926-1929 è l'istituto tecnico commerciale a Catania, seguito nel 1930 dall'istituto tecnico e liceo scientifico a Siracusa.
La prima è un'architettura animata nei prospetti da una serrata composizione delle parti. La facciata principale è ritmata dalla sequenza di tre quarti di colonne, in ordine dorico, che si elevano su un basamento in pietra grigia dell'Etna e formano un potente chiaroscuro. Sui fianchi la scansione del piano mediante colonne e paraste doriche fichiarna alla mente i templi classici dell'area siciliana, ma anche la riproposizione di quel linguaggio da parte di maestri del calibro di P. Behrens. A Siracusa l'ordine compositivo fu rivolto a creare un'opera semplice e organica, che lo stesso F. definì "mediterranea", richiamandosi alle forme e ai caratteri propri della cultura italiana.
Queste vanno a ragione considerate opere della maturità, in cui teoria e pratica, forma e sostanza, fantasia e matematica si fondono in una sapiente unità architettonica. All'epoca si parlò del F. come di un "magister ex vivis lapidibus", paragonandolo agli architetti delle cattedrali medievali. Il giudizio espresso da Piacentini sulle sue architetture andava nella stessa direzione: "ricerca di espressioni sintetiche, chiarezza e potenza di pensiero, raccolte in semplicità di forme; impostazione della composizione nella planimetria; espressività attraverso le masse, i rapporti di vuoto e pieno, il chiaroscuro" (1931, p. XI).
La progettazione della residenza di lusso, in cui si celebrava il mito della famiglia borghese, risultò uno dei temi più confacenti alla sensibilità architettonica del Fichera. In quei progetti egli ritrovava la sua vena migliore, una libertà compositiva che si esprimeva con grande fantasia e originalità. È il caso della villa Inga (1924-27), realizzata al lido di S. Francesco d'Albaro, nei pressi di Genova.
Il "classicismo fantasioso" del F. s'ispirò ai modelli delle ville genovesi dei secoli XVI e XVII. Il fronte principale, tutto proteso verso il mare, ne riproponeva alcuni caratteri, sia nei partiti compositivi che nell'impostazione materica. Forte era il contrasto fra le membrature principali in pietra grigia e il paramento murano in intonaco bianco; ugualmente vistosa, la contrapposizione fra il pronao sporgente al primo piano e il nicchione al livello superiore. Il pesante basamento è animato da un monumentale scalone simmetrico a doppia rampa. Sul retro il terreno fu traformato dal F. in un giardino formale, con viali a forbice, che si chiudeva con un ninfeo alla maniera classica.
Allo stesso periodo appartiene la casa Messina-Pantò (1926-1927) a Catania, in posizione magnifica, dominante il panorama della città.
Pensata in simbiosi con la natura, la costruzione sembra quasi germogliare sugli strati lavici della pendice etnea. La "casa sulla lava", come lo stesso F. la denominò, si presenta con un volume fortemente geometrico con leggere sovrapposizioni decorative che servono a sottolineare le strutture. L'architettura acquista accenti aerei nell'elegante altana in ferro che la sovrasta, assecondando così un gusto vernacolare e, allo stesso tempo, inserendo una nota di sapore settecentesco. La distribuzione dei due alloggi è razionalissima; le stanze hanno visuali stupende, sono ampie e confortevoli, arricchite da terrazze e poggioli.
Seguì di lì a poco la casa che il F. costruì per se stesso (1929) nell'entroterra agricolo catanese. L'impostazione è analoga a quella adottata per la precedente: un cubo appoggiato su un cocuzzolo lavico. Ancora motivi tradizionali, con richiami alla cultura normanna, si mescolano con accenti moderni, come messo in evidenza dalle larghe finestre e dall'ampio terrazzo scoperto. Dall'inizio degli anni Trenta i contatti con la "Scuola romana" condussero ad un impoverimento delle matrici architettoniche e la progettazione ne risultò come inaridita; è quanto si può desumere da realizzazioni come il palazzo delle Poste (1930) e il palazzo dell'Economia provinciale (1934), entrambi a Ragusa e la scuola a Noto.
L'ultima opera significativa del F. fu il palazzo di Giustizia a Catania (1937-1953), in cui l'impostazione volumetrica e distributiva, basata su uno schema simmetrico, fa riemergere alcuni dei caratteri più genuini che avevano ispirato i primi anni della sua attività.
Il F. insegnò per quasi un quarantennio progettazione architettonica nell'istituto di disegno della facoltà di ingegneria dell'università di Catania; fu dal 1925 accademico di S. Luca. Morì a Catania il 14 ag. 1950.
Altre sue opere significative sono: il palazzo degli uffici della Società elettrica Sicilia Orientale a Catania (1911-1912); il progetto per le scuole comunali a Trecastagni (1912); la villa La Lumia a Canicattì (1913); il padiglione per l'Esposizione edilizia di Messina (1914); numerose cappelle funerarie nel cimitero di Catania (1915 e 1926) e nella stessa città i tre successivi progetti per il Palace hotel (1919-1920), l'istituto tecnico industriale (1919-1929), la casa Lazzara (1919), il garage Musumeci (1924), il progetto per il padiglione Vittorio Emanuele III per bambini tubercolotici (1929), la villa Jole (1929-1930); il tempio votivo dedicato ai caduti di Siracusa (1932); il progetto per il palazzo delle Poste e casa del Littorio a Noto (1935); i progetti per due grandi edifici d'abitazione dell'Istituto nazionale fascista per la previdenza sociale e dell'Istituto nazionale delle assicurazioni a Siracusa (1935), il progetto per il palazzo delle Poste e Telegrafi a Augusta (1935); il supercinema Gravina a Caltagirone (1935-1937); le palazzine Ruggeri e Mirone a Catania (1937).
Fonti e Bibl.: Il fondo dei disegni del F. è conservato presso il dipartimento di architettura e urbanistica della facoltà di ingegneria dell'università di Catania. Per un elenco dettagliato delle opere fra il 1900 e il 1920 si fa riferimento a Pagnano, 1976. Cfr. inoltre: A. Franchini, La "casa sulla lava" architettata da F. F., in Domus, I (1928), 6, pp. 12-15; La "casa sulla lava" in Catania, in L'Architettura ital., XXIV (1929), 5, pp. 58 ss. e tav. 19; Palazzo delle Poste e dei Telegrafi in Catania, ibid., XXV (1930), 6, pp. 61-67 e tavv. 21-24; E. Giovannetti, Villa sull'Etna, in Casabella, IV (1931), 42, pp. 10-15; M. Piacentini, F. F., Ginevra 1931; Il nuovo palazzo delle Poste in Ragusa, in Rassegna di architettura, IV (1932), 4, pp. 178 ss.; Risveglio architettonico in Sicilia, in Architettura, XI (1932), 6, pp. 275 s.; Progetto per il palazzo dell'Economia provinciale di Ragusa, ibid., XIII (1934), 8, pp. 476-479; Progetto per il palazzo delle Poste e casa del Littorio a Noto, ibid., XIV (1935), 12, pp. 668 ss.; M. Piacentini. Recenti opere di F. F., ibid., XVIII (1939), 10, pp. 589-606; S. Caronia Roberti, F. F. architetto, in Tecnica e ricostruzione, VI (1950), 11, p. 387; S. Boscarino, Vicende urbanistiche di Catania, Catania 1966, pp. 176 ss. (con allegato elenco degli scritti del F.) e passim; S. Correnti, Alla scoperta di Catania, Catania 1968, ad Indicem; F. F. architetto. Mostra dei disegni 1900-1920, a cura di G. Pagnano, Catania 1976; F. F. Il déco a Catania, in R. Bossaglia, L'art déco, Bari 1984, pp. 99-105; G. Giarrizzo, Catania, Bari 1986, ad Ind.; S. Polano, Guida all'architettura italiana del Novecento, Milano 1991, pp. 534 s., 581.