FERRARI, Francesco
Non si conoscono gli estremi anagrafici del F., attivo a Roma come architetto e pittore nella prima metà del sec. XVIII. Partecipò al concorso Clementino del 1701 con un disegno di un palazzo pontificio, ottenendo il secondo premio ex aequo con C. S. Fontana. Diventò accademico di S. Luca nel 1721, fu segretario, poi consigliere e nel 1750 nominato "stimatore di architettura" insieme con F. Raguzzini.
Architetto non particolarmente originale, appartiene alla folta schiera dei seguaci di C. Fontana, che si cimentarono come lui soprattutto nel restauro delle antiche chiese di Roma, in linea con l'obiettivo principale della politica, edilizia pontificia della prima metà del XVIII secolo, dopo i grandiosi progetti seicenteschi.
Nel 1708 il F. ebbe una parte importante nei lavori di trasformazione della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, voluti dal cardinale F. Paolucci.
L'architetto A. Canevari, nel 1715, aveva abbattuto l'altare maggiore e il ciborio cosmatesco; il F. rinnovò l'abside e sistemò nel nuovo altare un'antica urna di porfido, dove papa Benedetto XIII pose le reliquie dei martiri nel 1726.
La sua opera più vasta ed organica è senza dubbio il restauro della chiesa di S. Gregorio al Celio (1725-1731). I lavori di rinnovamento erano stati affidati nel 1721 a G. Soratini, converso dei monaci camaldolesi, che aveva già ampliato il monastero. Nel 1725 il F. subentrò al suo posto, proponendosi non solo di trasformare l'interno, già basilicale a tre navate, ma di ristrutturare l'edificio, secondo una concezione pienamente settecentesca.
Nella navata centrale gli eleganti pilastri che reggono la trabeazione su cui si imposta la volta si alternano alle colonne preesistenti. Il F. dà un risalto particolare al vano absidale, mediante le colonne scanalate e gli archi che si susseguono in profondità; i motivi ornamentali in stucco, in parte rifatti nell'Ottocento. impreziosiscono questo interno rococò.
Nel 1727 si colloca la decorazione della cappella dedicata alle sante Degna e Merita (seconda a destra; cappella MutiBussi) in S. Marcello al Corso, costruita nel 1644 dalla famiglia Muti.
L'effetto estetico è dato dalla varietà dei marmi usati: cottanello, alabastro, fior di pesco e dallo stucco bianco e dorato. Nella volta, entro medaglioni, sono le figure allegoriche della Fortezza e della Fede fiancheggiate da angeli, l'altare è sormontato da cherubini.
I benedettini di Montevergine gli affidarono nel 1729 l'esecuzione della facciata della chiesa di S. Agata dei Goti, "dove le doti del Ferrari, di fronte all'esiguità del tema, meglio si esprimono con un pur tenue risultato poetico" (Portoghesi, 1966).
L'architetto adottò l'ordine unico di paraste poggianti su alto basamento; queste reggono la trabeazione sormontata da un frontone curvo e spezzato includente il timpano triangolare. Sopra la porta è posto il medaglione in stucco con l'effigie della santa. La facciata, posta tra due ali del monastero, non corrisponde direttamente al corpo della chiesa, ma immette in uno spazio, sopravvivenza di un antico atrio. La lieve concavità del prospetto ricorda esempi tardobarocchi, quali S. Marcello, la chiesa della Trinità di via Condotti, la Maddalena, e riconduce alla tradizione borrominiana.
Tra il 1º luglio 1727 e la fine di dicembre 1728 si dovettero svolgere i lavori (cfr. Tancioni, 1989, p. 34) di decorazione della cappella dedicata a S. Francesca Romana in S. Maria Nova, o S. Francesca Romana al Foro. L'altare fu consacrato nel 1729; qui il F. creò un felice contrasto fra il candore degli elementi scultorei e la policromia dei marmi. È ascrivibile al F. anche il restauro della chiesa di S. Stanislao dei Polacchi, eseguito tra il 1729 e il 1735.
La facciata è incorporata in un palazzo barocco e presenta due ordini di coppie di lesene includenti il portale e il finestrone.
A lui si deve, poi, la sistemazione attuale del coro di S. Prassede, voluta dal cardinale L. Pico della Mirandola nel 1730, comprendente la costruzione del baldacchino e della scalea, ascendente verso l'altare e discendente verso la cripta.
Il baldacchino presenta le antiche colonne di porfido, del tempo di papa Pasquale I (817-824), e i pilastri in marmo giallo con capitelli bianchi; agli angoli i quattro angeli portanti vari emblemi sono di Giuseppe Rusconi. Il ciborio è coperto da una cupola d'argento, dono di papa Pasquale.
Dal 1730 al 1735 il F. fu architetto della famiglia Carpegna; nel 1733 compì ristrutturazioni nel loro palazzo (sede dal 1934 dell'Accademia di S. Luca), tra cui il portico del pianterreno e la facciata prospiciente il cortile. Alla fine dei quarto decennio il F. probabilmente lavorò al progetto del palazzo Del Cinque a Montecitorio (Bevilacqua, 1987). Nel 1741 il F. si cimentò nel restauro della chiesa dei Ss. Sergio e Bacco, detta anche della Madonna del Pascolo, nel rione Monti, risalente all'VIII secolo. L'interno, decorato con profusione di marmi e di stucchi, è rimasto quasi immutato, mentre la facciata fu ricostruita nel 1896. Del quinto decennio del Settecento è l'intervento nella chiesa dei Ss. Ildefonso e Tommaso di Villanova, fondata nel 1667.
Il prospetto, restaurato nel 1954, adorno di paraste con cornice aggettante, non è certo originale, come del resto le altre facciate del F., ma ha il pregio della semplicità e della lievità.
La policromia e l'eleganza rococò si ritrovano nel monumento Bussi in S. Maria in Trastevere (prima cappella a destra), del 1742.
Il cardinale G. B. Bussi, morto nel 1726, è effigiato nel busto, eseguito da G. B. De Rossi, posto in alto entro una cornice ondulata in marmo fior di pesco e fiancheggiata da elementi floreali di porfido. In basso è il sarcofago in marmo rosso venato; nell'opera, caratterizzata da un gusto vivace e dalla predominanza delle linee curve, il F. rivela le sue doti di decoratore.
La cappella di S. Francesca Romana nella chiesa di S. Maria Liberatrice, ora distrutta, fu ornata dal F. nel 1748.
Della sua attività pittorica resta ben poco: una pala rappresentante Un miracolo di s. Vincenzo Ferreri, eseguita per il primo altare di destra della chiesa di S. Nicola dei Prefetti, ora in sagrestia.
Il quadro (erroneamente attribuito a Francesco Ferrari, omonimo pittore attivo a Ferrara, morto nel 1708) mostra un equilibrio cromatico e compositivo; al centro è raffigurato s. Vincenzo che richiama dalla morte alla vita una donna che si alza dal cataletto posto a sinistra. A destra un gentiluomo esprime un senso di meraviglia e di spavento; in alto è un angelo. con la tromba araldica. L'opera prelude al gusto neoclassico, come si nota dai tratti somatici dei personaggi, dal colorito disteso ordinatamente sulla superficie, dagli scorci e dalle luci.
Sono andati perduti la pala per il primo altare di sinistra, rappresentante i Ss. Anna, Giuseppe e Domenico nella stessa chiesa, e il dipinto con il Fondatore dell'Ordine dei servi di Maria, eseguito per il terzo altare di destra della chiesa di S. Nicola in Arcione, ora distrutta.
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