FEDERIGHI, Francesco
Nacque a Firenze attorno alla metà del. sec. XIV da Lapo, capitano di cavalleria al soldo del Comune di Firenze, e da Tana di Lamberto di Iacopo Bochini.
La famiglia era detta anche "da Sovigliana", dal nome di un piccolo borgo sulla riva destra dell'Amo presso Empoli di cui era originaria. L'emigrazione a Firenze risale ai primi anni del sec. XIV, nella persona di Federigo di Ferro, speziale (Passerini). Secondo il Gamurrini, invece, i Federighi erano di origine francese e si erano stabiliti a Firenze nel sec. XII. La loro denominazione "da Sovigliana" sarebbe derivata dal fatto che, essendo magnati, e come tali banditi da Firenze dal 1268al 1281, si sarebbero rifugiati in quel periodo a Sovigliana, ove avevano proprietà immobiliari.
A Firenze abitavano nel popolo di S. Pancrazio, in via degli Orafi, strada che, dopo la costruzione di palazzo Federighi, avrebbe assunto lo stesso nome della famiglia.
Dal 1346, anno in cui cominciarono ad accedere alle cariche pubbliche, fino alla caduta della Repubblica fiorentina, i Federighi godettero nove volte il gonfalonierato di Giustizia e trentacinque volte il priorato.
Il F., dopo essersi immatricolato all'arte della lana, forse la più potente delle dodici arti fiorentine, fu eletto alle cariche comunali dal 1382, alla fine del predominio delle arti minori cominciato con il tumulto dei ciompi. In quell'anno egli divenne per la prima volta gonfaloniere di Giustizia (la seconda volta fu nel 1406) ed entrò a far parte della Balia, creata il 20 gennaio, per riformare le liste elettorali in sintonia con il nuovo regime.
Da allora e fino alla sua morte rimase sempre in primo piano sulla scena politica fiorentina. Per quattro volte (nel 1389, 1393, 1396 e 1403) fu membro dei Dieci di balia, l'organismo che sovrintendeva alla politica estera ed alle spese militari. Dal 15 maggio al 15 ottobre 1402 fu capitano di Pistoia. Varie volte impegnato in missioni diplomatiche, il 22 dic. 1385 fu uno dei sei sindaci designati dalla Signoria a risolvere le vertenze con i sudditi dei signori di Pietramala, che erano stati fino all'anno prima feudatari accomandati al Comune di Arezzo. Nel 1384 i loro feudi, insieme agli altri territori costituenti il dominio aretino, erano stati annessi da Firenze; in questo contesto il compito del F. e degli altri sindaci era quello di stabilire un risarcimento per i fuorusciti e i condannati per motivi politici dai Pietramala.
Il 22 genn. 1388 il F. fu inviato a Venezia come ambasciatore incaricato di promuovere la pace tra quella Repubblica e i Carrara, signori di Padova, e di proporre una lega tra Firenze e Bologna da un lato e la Repubblica veneta dall'altro, in funzione antiviscontea. A questo scopo egli doveva, nella sua missione diplomatica, fare tappa a Bologna ed ottenere lettere credenziali dal governo di questa città. Egli non dovette tuttavia ottenere risultati apprezzabili, se Giangaleazzo Visconti riuscì in quello stesso anno ad impadronirsi dei territori dei Carrara con il consenso di Venezia.
Il 5 luglio 1390 il F. fu incaricato di un'altra missione diplomatica che, in compagnia di Andrea Vettori, lo avrebbe portato nuovamente nei domini veneti e in Lombardia.
Il quadro politico era assai diverso rispetto a quello della precedente missione. Tra Firenze e Milano era ora guerra aperta ed i territori verso cui il F. era diretto erano teatro di scontri. Sebbene, infatti, il teatro principale delle operazioni militari fosse costituito dal territorio bolognese, ben presto una parte delle truppe viscontee dovette essere distaccata nei territori veneti, ove i Carrara avevano approfittato dello scoppio delle ostilità per rientrare in possesso di Padova e minacciare Verona. In mancanza di informazioni precise sulla natura e gli scopi di questa missione, è lecito supporre che i due inviati fiorentini avessero soprattutto compiti informativi sull'andamento delle operazioni militari per conto del governo.
Nel mese di novembre di quello stesso anno il F. fu designato come sindaco del Comune di Firenze per negoziare un accordo con il marchese d'Este, sempre nell'ambito della guerra fiorentino-viscontea. Il 7 novembre fu stipulato un trattato in cui l'Estense si impegnava a permettere il passaggio dai suoi territori delle truppe fiorentine e a provvederne l'approvvigionamento, nonché a vietare gli stessi diritti alle truppe del Visconti.
Dopo la conclusione, avvenuta nel gennaio 1392 senza risultati apprezzabili, della prima guerra fiorentino-viscontea, la situazione diplomatica di Firenze continuava ad essere poco rassicurante; non solo il Visconti non aveva rinunciato alle sue mire espansionistiche, ma cercava anche di farsi nuovi alleati. Nei primi mesi del 1394 era morto Giovanni Acuto (John Hawkwood), già capitano generale al soldo della Repubblica fiorentina; pertanto si rendeva urgente la nomina del successore.
La scelta cadde sul perugino Biordo Michelotti, che era stato per alcuni anni al servizio del Visconti. La Signoria fiorentina incaricò pertanto il F., insieme con altri tre cittadini, di recarsi presso di lui e stabilire le condizioni di una sua condotta: l'accordo fu raggiunto nel mese di marzo di quello stesso anno e il Michelotti poté subentrare all'Acuto come capitano generale.
Per valutare il ruolo svolto dal F. nella vita politica fiorentina, oltre che alle missioni diplomatiche a lui affidate ed agli uffici pubblici da lui ricoperti, occorre considerare la frequenza con cui venne chiamato a far parte delle consulte e pratiche.
Questi Consigli, talora ristretti, più spesso allargati a comprendere alcune decine di cittadini, venivano convocati dalla Signoria per avere pareri sulle più importanti questioni che agitavano in quel momento la vita dello Stato, attinenti tanto alla politica interna che estera. La partecipazione frequente ed attiva a questi consessi era l'unico mezzo. offerto ai membri della classe dirigente di influire dureyolmente sul governo della Repubblica, dato il veloce ricambio cui tutte le cariche, politiche, amministrative e diplomatiche andavano soggette.
Il F. partecipò attivamente, nell'arco della sua attività politica, a più di venti di questi Consigli, dando pareri soprattutto su questioni di politica estera. Di contro agli arciguelfi, fautori di una ripresa della politica espansionistica da parte della Repubblica e di una risposta armata immediata alle provocazioni del Visconti, il F. si fece portatore dell'istanza pacifista, comune ad ampi strati della popolazione: fu cosi, ad esempio, nella pratica del 23 apr. 1398, convocata per decidere se iniziare o meno trattative di pace col Visconti, ed in quella dell'8 apr. 1409, occasionata dalle proposte di pace di Ladislao re di Napoli.Il F. morì improvvisamente nel 1411 a Firenze.
Il F. era dotato anche di una notevole ricchezza: era uno dei maggiori contribuenti del gonfalone del Leon Rosso alle numerose prestanze indette in questo periodo dalla Signoria per fronteggiare le spese derivanti dalle guerre viscontee. Questo fatto lo rendeva uno dei cittadini più influenti del distretto in cui abitava, di cui più volte fu chiamato a ricoprire l'ufficio di sindaco. I sindaci dei gonfaloni fiorentini avevano l'importante compito di amministrare gli affari finanziari del rispettivo distretto, tra cui, in primo luogo, la ripartizione delle imposte e delle prestanze tra gli abitanti. Tuttavia non si configuravano come pubblici ufficiali, bensì venivano liberamente eletti dagli abitanti di ciascun gonfalone e i loro compiti e le loro funzioni non avevano regolamentazione ufficiale. Erano tuttavia personaggi molto potenti e ben lo sapeva il famoso mercante pratese Francesco di Marco Datini, che nel 1393, anno in cui ottenne la cittadinanza fiorentina e fu ascritto al gonfalone del Leon Rosso, e nel 1400, quando emigrò per un certo periodo a Bologna, si rivolse al F. per ottenere un trattamento favorevole nella distribuzione delle imposte. Le sue istanze dovettero avere esito positivo, tanto che il F. fu ricompensato con cospicui doni.
Il F. si sposò due volte: con Bice di Domenico Rucellai e con Piera di Cola Nerini; ebbe almeno otto figli, tra cui Carlo, famoso giurista, e Benozzo, vescovo di Fiesole.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Raccolta genealogica Sebregondi, ins. 2142; Ibid., Dieci di balia. Deliberazioni, Condotte e Stanziamenti, reg. 4, c. 222v; Ibid., Legazioni e Commissarie, reg. I, c. 47; Ibid., Provvisioni. Registri, reg. 83, c. 1; Firenze, Bibl. naz., Poligrafo Gargani 790; M. Salvi, Delle historie di Pistoia e fazioni d'Italia, II, Pistoia 1657, p. 209; I capitoli del Comune di Firenze. Inventario e regesto, II, Firenze 1893, pp. 246, 478; L. Mazzei, Lettere di un notaio a un mercante del sec. XIV, a cura di C. Guasti, II, Firenze 1880, pp. 45, 48, 59, 69, 88, 138, 143, 145, 173, 179, 196, 200, 220, 258 s., 281, 312-317, 325, 335, 338, 388 s., 391, 437 s., 441; C. Salutati, Epistole, a cura di F. Novati, III, Roma 1896, p. 316; Le consulte e pratiche della Repubblica fiorentina nel Quattrocento, I, Firenze-Pisa 1981, pp. 266, 284; V. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane e umbre, II, Firenze 1671, pp. 246 ss.; A. Ademollo, Marietta de' Ricci. Vicende di Firenze al tempo dell'assedio, con note stor. di L. Passerini, IV, Firenze 1845, pp. 1492 ss.; G. Brucker, The civic world of early Renaissance Florence, Princeton 1977, pp. 163, 2403 243, 267, 282; D. V. Kent - F. W. Kent, Neighbours and neighbourhood in Renaissance Florence. The district of the Red Lion in the fifteenth century, New York 1982, pp. 59 s., 70.