FANELLI, Francesco
Figlio di Virgilio, scultore, nacque a Firenze come attestano i documenti che lo definiscono sempre "florentinus" (Varni, 1879, p. 74; Alizeri, 1880, pp. 197 s.; Alfonso, 1985; Belloni, 1988, pp. 20-22); ma ancora ignote sono la data di nascita - presumibilmente da collocarsi nell'ultimo quarto del sec. XVI - e le vicende della sua prima formazione artistica e tecnica come scultore in marmo e in bronzo.
I caratteri stilistici delle sue opere tuttavia denunciano chiaramente un'educazione nell'ambito della cultura manieristica tardocinquecentesca fiorentina, rappresentatata soprattutto dal Giambologna e dai suoi principali collaboratori ed allievi, Pierre Francqueville e Pietro Tacca. E se la documentazione finora emersa non cita alcuna diretta collaborazione fra l'artista e questa attivissima équipe di scultori, privilegiata dalla protezione della corte medicea, è indubbia una filiazione della sua produzione dalla bottega del Giambologna.
Il primo documento sul F. è l'atto di battesimo del figlio Giovanni Battista, del 6 ag. 1605, nella chiesa genovese di S. Agnese (Belloni, 1985, p. 28); nella stessa chiesa furono battezzati, dal 1612 al 1623, altri cinque figli, natigli dalla prima moglie Lucrezia nel corso dell'operoso soggiorno genovese dell'artista.
Le ragioni del trasferimento a Genova del F. vanno cercate senza dubbio nell'apprezzamento dimostrato dalla committenza cittadina nei confronti della scultura fiorentina contemporanea che fondeva le moderne arditezze della stilizzazione manieristica con aulici e coltissimi riferimenti all'antico, in forme classicheggianti spesso nobilitate da vere e proprie citazioni "archeologiche", in consonanza con il gusto contemporaneo. Il F., non inserito nella bottega giambolognesca e dunque emarginato dalle grandi commissioni medicee, a Genova trovò infatti buone possibilità di lavoro sia per la sua caratterizzazione culturale, consona a questa situazione di gusto, sia per la sua perizia tecnica di scultore in bronzo. L'occasione per il trasferimento a Genova fu forse offerta al F. anche dal ritorno in città nel 1599 del pittore genovese Giovan Battista Paggi, che aveva vissuto e lavorato a Firenze per vent'anni, intrattenendovi rapporti di amicizia sia col Giambologna sia col Francqueville (Pesenti, 1986). Lo stretto rapporto di dipendenza dal Paggi sembra provato dal ruolo di garante e controllore della qualità delle opere del F. che il pittore genovese ricoprì per il Crocifisso bronzeo, commissionato nel 1609 da Gio. Domenico Spinola, e per i capitelli e gli angeli bronzei in S. Maria delle Vigne (1620): come attestano i documenti, infatti, il F. si impegnava ad eseguire le opere "a giudicio" del Paggi (Varni, 1879, pp. 74 s.; Alizeri, 1880, pp. 197 s.).
Non si conoscono, per ora, le prime opere del soggiorno genovese del F., che iniziò probabilmente qualche anno prima di quel 1605, data del battesimo del figlio Giovanni Battista; perde perciò rilevanza quel contratto di subaffitto del 17 genn. 1608 che l'Alizeri indicava come la data più precoce per l'arrivo a Genova dell'artista (ibid.).
Sono andate disperse, forse distrutte, le sue prime opere documentate, i due Crocifissi bronzei ordinatigli da Gio. Domenico Spinola, l'uno, grandioso, alto ben otto palmi (m 1,98 circa) come specifica il contratto notarile del 23 apr. 1609, l'altro di soli tre palmi, misura da inginocchiatoio domestico, con contratto dell'11 febbr. 1610 (ibid., pp. 198-200, 395 s.). È errata l'identificazione del grande Crocifisso del 1609 con il Crocifisso in legno policromo nella chiesa di S. Luca (Alizeri, 1875, p. 130; Id., 1880, p. 198; Gavazza, 1976; Parma Armani, 1988, p. 79), opera, quest'ultima, di Domenico Bissoné (Ratti, 1766, p. 113). Sono perdute anche le statuette argentee e gli altri ornamenti che, col contratto del 19 luglio 1619, il F. si impegnava ad eseguire come decorazione di uno "scrinium ebuli", forse un grande stipo in legni pregiati, per Giacomo Filippo Durazzo, con la collaborazione, per la fusione, dell'"argenti faber" Francesco Carrega e con la garanzia e il controllo dello scultore Battista Carlone (Belloni, 1988, p. 20). Probabilmente ancora tramite il Paggi, il F. ottenne nel 1615 dal genovese Franco Barsotto l'incarico di scolpire i sei angeli marmorei sui due portali minori del santuario di N.S. della Misericordia di Savona; i documenti (Parma Armani, 1991) attestano al 13 ag. 1615 il pagamento del primo acconto "de sei angioli ... per ornamento delle due porte piccole de la fazada". Dalla registrazione del pagamento conclusivo il 30 maggio 1617 sembra però che lo scultore ne abbia eseguiti soltanto quattro, che non sono facilmente identificabili fra i sei tuttora esistenti.
Nel terzo decennio del secolo il F. fu chiamato a collaborare a due prestigiose imprese: la decorazione della cappella della Vergine nella chiesa di N.S. delle Vigne, e del presbiterio e della cappella Raggio nella chiesa del Gesù. Quest'ultima commissione, soprattutto, poneva le opere del F. a diretto confronto con la statuaria dei lombardi B. Carlone e B. Orsolino.
Che per lavorare nel campo della scultura a Genova fosse necessario fare i conti con le operosissime botteghe dei lombardi, che avevano praticamente monopolizzato l'attività a partire dall'estrazione dei marmi dalle cave fino al commercio dei materiali grezzi e lavorati, è dimostrato dal ruolo di arbitro della qualità del lavoro e dell'entità dei compensi del F. che Battista Orsolino ricoprì insieme al Paggi, per i bronzi in N.S. delle Vigne. Nel contratto del 4 sett. 1620 il F. si impegnava ad eseguire "tutti li bronzii ... con quella pulitezza e perfecione a gusto" del Paggi e dell'Orsolino (Varni, 1879). I pagamenti si susseguirono, come dimostrano le inedite ricevute in data 11 marzo e 29 maggio 1621 (Arch. di Stato di Genova, Notarile, Notaio Orazio Camere, sc. 636, filza 47); il 26 maggio 1627 furono affidati al F. i capitelli in bronzo dorato (Varni, 1879, p. 53) per i quali è registrato un altro pagamento inedito l'11 genn. 1628 (Arch. di Stato di Genova, Notarile, Notaio Orazio Camere, sc. 638, filza 60). Infine il 21 marzo 1629 si concludeva l'esecuzione dei due angeli in bronzo dorato, fusi dal "maestro" Martino Pozzo (Cervetto, 1920, p. 50). In questi bronzi decorativi il F. si esprimeva in un linguaggio aulico e classicheggiante di grande raffinatezza formale: i ricchissimi capitelli corinzi, i festoni di fiori e di frutta dal rilievo pieno, dal disegno nitido e fermo, ancora cinquecentesco nell'evidente richiamo ad una cultura umanistica sostanziata di riferimenti all'antico, infine i due bellissimi angeli, evidentemente ispirati ai due Putti sul delfino del Giambologna oggi al Museo del Bargello, sono squisitamente "fiorentini" nelle forme piene e classicheggianti, armoniosamente disposte in un vivace e libero movimento, e tanto più "colte" delle forme dure e a volte impacciate degli scultori lombardi. Contemporaneamente all'esecuzione dei bronzi di N. S. delle Vigne, il F. lavorava anche nel gran cantiere della nuova chiesa dei gesuiti: nel 1619 veniva posto nel presbiterio il suo marmoreo S. Giovanni Evangelista (Roma, Archivum Romanum S.J., ms., Med. 81: G. Negrone, Historia Domus Professae Gennensis S.I. ab anno 1603 ad 1773, c. 56; Saggi cronologici..., 1692, p. 203; Parma Armani, 1988, pp. 30 ss., fig. 32) e nel 1625 il F. veniva pagato a più riprese per le statue marmoree del Redentore e dell'Ecce Homo eseguite per la cappella Raggio (Alfonso, 1985; Parma Armani, 1988, pp. 32 ss., 62, figg. 33, 70). Questi importanti spazi concessi al F. in un cantiere, come quello della chiesa del Gesù, interamente monopolizzato dagli scultori lombardi, si spiegano forse - oltre che con la apprezzata qualità del suo lavoro - anche con la sua personale amicizia con Battista e Francesco Carlone; quest'ultimo, in particolare, era padrino di suo figlio Giacomo Maria, battezzato il 6 maggio 1623 e farà "sigurtà" della qualità dell'opera nel contratto notarile del 16 dic. 1626 per un bronzeo Cristo risorto per Gio. Gerolamo di Negro (Belloni, 1988, pp. 21 s.). La piccola scultura alta due palmi e mezzo e fatta eseguire dal committente per il tabernacolo di S. Bartolomeo della Certosa, scomparve nelle ripetute depredazioni subite dalla chiesa. Le tre grandi statue marmoree del Gesù si staccano nettamente dalle altre sculture eseguite per la chiesa dalle botteghe dei lombardi; la finezza esecutiva, l'idealizzazione classicheggiante delle figure, l'armonioso e composto modulo compositivo, riportano a celebri modelli: le tre statue eseguite dal Giambologna per l'Altare della libertà nel duomo di Lucca. A queste opere si collega forse la marmorea Madonna col Bimbo della chiesa parrocchiale di Parodi Ligure, recentemente attribuita al F. (Belloni, 1988, p. 23, figg. 6s.) e certo proveniente da Genova poiché la chiesa è di recente fondazione. Dai documenti risulta che anche i bozzetti dell'artista erano ricercati a scopo collezionistico. Nell'inventario dei beni del pittore Giulio Benso, steso dallo stesso artista nel 1668, è descritta "una testa di terra cotta" del F. (Paolocci, 1984) che il pittore probabilmente conobbe, opera perduta, come le piccole figure in bronzo "del Fiorentino" che nel 1662 decoravano due stipi preziosi nella casa di Filippo Spinola (Simonetti, 1992) e come il bassorilievo bronzeo con Cristo portacroce "del Fiorentino" che nel 1689 era nel palazzo di Vincenzo Spinola in via Garibaldi (Belloni, 1988, p. 23). Forse a decorazione di uno stipo fu eseguita anche la placchetta bronzea con Giove e Io a bassorilievo di collezione privata, recentemente attribuita all'artista (Wengraf, Alex Wengraf..., 1992).
L'attivo inserimento del F. a Genova è documentato dalla sua iscrizione all'arte degli scultori: nel 1621 versava anch'egli il suo contributo per la decorazione marmorea della cappella dell'arte nella chiesa di S. Sabina. Inoltre dalla registrazione dell'imposta governativa per la costruzione delle nuove mura della città nel 1630, conosciamo la composizione, tipicamente familiare, della sua bottega: il F. pagava 3 lire, Giovanni Battista 6 lire, il "filius maior" e il "filius secundus", evidentemente già operosi come scultori, 2 lire a testa (Belloni, 1988, pp.20, 22, 270). Il 1630 è anche l'ultima data documentata del soggiorno genovese del F.; l'8 maggio e il 20 nov. 1635 sono registrati, nell'archivio di re Carlo I d'Inghilterra, il versamento di una pensione reale di 60 sterline e un pagamento di 30 sterline allo scultore italiano (Pope Hennessy, 1953, p. 158).
Non sono note la data e le circostanze del trasferimento del F. in Inghilterra, ma sono evidenti il suo ruolo di scultore di corte ed il suo aumentato prestigio in un ambiente privo della concorrenza e del controllo corporativo degli scultori lombardi, oltre che estremamente favorevole ad accogliere artisti italiani. Se è vero che, come scrive il Sandrart (1675), il F. attirò l'attenzione di Carlo I con una statuetta in avorio rappresentante Pigmalione (cfr. anche Pope Hennessy, 1953, p. 158), fu proprio la sua perizia tecnica e raffinatezza formale nel creare piccole sculture da collezione su modelli della scuola del Giambologna o della statuaria antica a farlo apprezzare da una committenza aristocratica, per la quale egli intraprese a lavorare con buon successo anche nel campo della ritrattistica.
I bronzetti italiani erano apprezzatissimi alla corte inglese da quando, nel 1612, il granduca di Toscana Cosimo II aveva inviato ad Enrico principe di Galles, come dono diplomatico, sette bronzetti appositamente eseguiti da Pietro Tacca su modelli del Giambologna (K. Watson-C. Avery, Medici and Stuart; a grand ducal gift of "Giovanni Bologna"..., in The Burlington Magazine, CXV [1973], 845, pp. 493-507, fig. 19). È dunque molto probabile che il F., artista certo di minore fama e prestigio degli allievi del Giambologna, ma privo di legami contrattuali, abbia risposto positivamente ad una proposta diretta della corte inglese, giunta attraverso i canali diplomatici e commerciali attivi fra Genova e l'Inghilterra. Un inventario della residenza reale di Whitehall cita un Cupido in corsa, un Cupido su un cavallo al galoppo e un S. Giorgio a cavallo col drago, bronzetti "vernisht over with black vernish" di "Ffrancisco ffanello ... the one eyed Italian" (Pope Hennessy, 1953, p. 158).Oltre a queste opere, oggi disperse, il F. eseguì altri dieci bronzetti, anch'essi laccati con vernice nera secondo un gusto tipicamente manieristico, per William Cavendish duca di Newcastle: due S. Giorgio, cinque Cavalli, un Cupido a cavallo, un Turco a cavallo, un Nesso e Deianira. Tutti soggetti equestri, come voleva la passione del duca per i cavalli, nota in tutta Europa e documentata anche dal suo trattato Méthode et invention nouvelle de dresser les chevaux (pubblicato in esilio a Parigi nel 1657). Di queste dieci sculture, due - un S. Giorgio e un Cavallo - si conservano nella residenza di Welbeck (Pope Hennessy, 1953, pp. 158-61, figg. 6, 12).
Sono opere caratterizzate da una tecnica virtuosistica e da precisi riferimenti ai bronzi del Giambologna: il classicheggiante Cavallo, in particolare, è una copia fedele di uno dei bronzetti, oggi a Windsor, eseguiti da Pietro Tacca su modello del Giambologna ed inviati ad Enrico principe di Galles nel 1612 dal granduca Cosimo II. Il S. Giorgio, invece, esprime un dinamismo già barocco, in stretto rapporto con la pittura contemporanea ma anche con i contemporanei sviluppi della stessa scuola giambolognesca e in particolare di Pietro Tacca. Sono stati attribuiti al F. alcuni bronzetti che si possono accostare a quelli di Welbeck per i caratteri stilistici e tecnici, e che corrispondono ai soggetti descritti dai documenti: due Nesso e Deianira, un Turco a cavallo assalito da un leone, un S. Giorgio, un Cupido a cavallo al Victoria and Albert Museum, un altro S. Giorgio allo Holburne Museum di Bath p. 161, figg. 7, 9-11, 13, 15), due Cupido a cavallo, uno alla Walters Art Gallery di Baltimora e uno nella coll. Lehman di New York (Gabhart, 1968), una Caccia al cinghiale e una Lotta col toro del Museo di belle arti di Budapest (Balogh, 1966, p. 320, figg. 165, 167, 169), infine sei bronzetti allo Herzog Anton Ulrich-Museum di Brunswick (Radcliffe-Thornton, 1978, p. 259) e un Cavallo che si impenna di collezione privata (Wengraf, Alex Wengraf..., 1992), tutti gruppi equestri laccati a vernice nera. Benché alcuni di questi bronzetti sembrino, per il livello qualitativo meno alto, repliche di imitatori, essi sono tuttavia da tenere presenti come l'unica documentazione, finora nota, di prototipi del F. andati perduti. Di alta qualità sono invece i due gruppi bronzei con S. Giorgio a cavallo col drago del Civico Museo Schifanoia a Ferrara (Massarenti, 1991) e di collezione privata (Wengraf, in Kunst..., 1992) giustamente attribuiti all'artista. La produzione di copie da illustri modelli, che abbiamo visto per il Cavallo di Welbeck ripreso da quello giambolognesco di Windsor, è documentata anche da un'altra importante opera del F.: il Cupido dormiente, siglato "F", del Victoria and Albert Museum, copia in bronzo di un analogo Cupido marmoreo, attribuito a Prassitele ed appartenuto ad Isabella d'Este, che Carlo I aveva acquistato dalle collezioni ducali di Mantova, e che aveva suscitato l'ammirazione della committenza inglese, tanto che il F. ne eseguì un'altra copia, anch'essa siglata ("F. F. R"), oggi in collezione privata inglese (Radcliffe, 1982). Una terza copia autografa siglata "F. F." del Cupido, di collezione privata, è stata recentemente pubblicata (Wengraf, in Kunst..., 1992; Id., Alex Wengraf…, 1992). Per raffinati committenti vicini alla corte inglese, il F. eseguì probabilmente anche due gruppi bronzei recentemente attribuitigli, un Davide e Golia (Howarth, 1989, fig. 50) e un bellissimo Mercurio e Cupido di collezione privata (Wengraf, in Kunst..., 1992; Id., Alex Wengraf..., 1992). Apprezzatissimo per i suoi bronzetti da collezione, il F. ricoprì anche, per la corte inglese, il ruolo di ritrattista, in busti bronzei di grande impegno tecnico ed esecutivo. Il piccolo busto di Carlo I della coll. Ionides (Pope Hennessy, 1953, p. 161, fig. 14) si rifà alla tradizione del classicismo aulico cinquecentesco toscano nella raffinata decorazione dell'armatura del re con un unicorno e divinità marine, ma il viso e i capelli hanno uno scavo movimentatissimo e una vivacità espressiva ben lontani dalla compassata ritrattistica di corte. L'attribuzione al F. di quest'opera appare sicura, a confronto con l'unico ritratto firmato dall'artista, il piccolo busto di Carlo principe di Galles, ilfuturo Carlo II, eseguito per il duca di Newcastle negli anni in cui il duca era il responsabile dell'educazione del principino. Il ritratto, che si trova ancora nella residenza di Welbeck, è datato 1640 e firmato "Fr. Fanellius sculptor Magn. Brit. regis", a ribadire il suo ruolo di artista di corte (Whinney-Millar, 1957), ed è in tutto simile al Carlo I nella decorazione manieristica dell'armatura e nella felice immediatezza espressiva della testa, dal rilievo mosso e contrastato, sensibilissimo all'incidenza della luce sulle superfici in movimento. A questi splendidi ritratti si possono accostare i busti bronzei di Lord Richard Weston (morto nel 1635) sul suo monumento sepolcrale nella cattedrale di Winchester e di Sir Robert Ayton (morto nel 1637) sulla sua tomba nell'abbazia di Westminster a Londra (Avery, 1980-82, p. 191, nn. 53-54), già attibuiti a H. Le Sueur ma certamente del Fanelli.
L'ultima notizia del F. in Inghilterra riguarda un progetto mai eseguito: nel suo testamento steso il 3 sett. 1641 Thomas Howard conte di Arundel dispose che il suo ritratto a figura intera sul proprio monumento sepolcrale fosse eseguito "of white marble or brasse designed by Sign.r F. F.". Ma la guerra civile, la fuga del conte e la sua morte in Italia nel 1646 impedirono la realizzazione del progetto (Hervey, 1921). Forse il F. lasciò l'Inghilterra e si rifugiò a Parigi al seguito della regina e del duca di Newcastle fra il 1642 e il 1644; con l'inizio della guerra civile erano certo drasticamente diminuite le occasioni di lavoro, ed il suo ruolo di artista di corte non gli lasciava altra possibilità che seguire la corte stessa in esilio (Radcliffe-Thornton, 1978, p. 259). Tuttavia non si hanno prove certe di un suo soggiorno a Parigi, anche se furono forse eseguiti da lui i piccoli bronzi descritti nell'inventario dei beni di André Le Nôtre, steso a Parigi alla sua morte nel 1700, che, sul piano iconografico, corrispondono in tutto a quelli già noti del Fanelli. Fra il 1646 e il 1652 il F. eseguì le decorazioni bronzee per lo stipo in legno e pietre dure acquistato a Firenze nel 1644 da John Evelyn, ed oggi al Victoria and Albert Museum.
Lo stipo si trovava in quegli anni a Parigi ed è questo l'indizio sul quale si basa soprattutto l'ipotesi di una attività parigina del F.; ma è possibile che i bronzetti appositamente scolpiti per l'Evelyn siano stati eseguiti altrove e inviati a Parigi al collezionista inglese. Il prezioso cabinet reca, sulla faccia interna della porticina, una placca a bassorilievo con Orfeo che ammansisce gli animali col canto, e in facciata otto rilievi più piccoli con un Cinghiale, un Cane, un Cavallo, un Toro, una Vacca, un Asino, un Leone, una Leonessa (Radcliffe-Thornton, 1978, pp. 254-57, figg. A, 2, 4-6). Le nove placchette, ricoperte da una lacca chiara che accentua i valori luministici del rilievo raffinatissimo, raggiungono il virtuosismo nella rappresentazione degli sfondi paesistici, incisi, più che scolpiti, da un "segno" vibrante che contrasta con la corposità volumetrica dell'Orfeo e degli otto animali in primo piano. Qui il F., chiamato ad eseguire un lavoro squisitamente decorativo (già nel 1619, come si è visto, aveva decorato uno "scrinium" per il genovese Giacomo Filippo Durazzo), diede prova della sua elaborata cultura manieristica e della sua nota perizia tecnica; a questo proposito il Sandrart (1675), che possedeva alcuni bronzetti del F., scriveva che le fusioni dell'artista erano tanto perfette da non aver bisogno di rifiniture a freddo. Di alta qualità doveva essere anche la testa in rame e argento "very rare ... by Sculptor Vanelli" nella collezione di Evelyn a Wotton House, oggi dispersa (Radcliffe-Thornton, 1978, p. 261). Alle placchette del cabinet si possono accostare alcuni splendidi bassorilievi bronzei laccati a vernice nera: un Orfeo molto simile a quello di John Evelyn e dodici piccoli rilievi con animali (otto sono identici a quelli del cabinet) disposti attorno ad un'altra placca con Orfeo, opere tutte recentemente acquistate dal Victoria and Albert Museum, come il piccolo bronzo a tutto tondo Cavallo che beve a una fonte, del quale esistono altri esemplari a Welbeck, alle Staatliche Kunstammlungen di Dresda e al Bayerisches Nationalmuseum di Monaco. Infine, il bellissimo bassorilievo già della coll. Wernher, con Adamo ed Eva, dove l'intera superficie di fondo, dalla quale emergono le forme armoniose e tornite dei due nudi e le superfici scabre e movimentate del terreno, dell'albero, degli animali, appare increspata e mossa da una vibrazione che pervade tutta la composizione.
Queste opere, che si possono attribuire con certezza al F. (Radcliffe-Thornton, 1978, pp. 257 s., 260, figg. 3, 7-9; Wengraf, in Kunst..., 1992), sono, in ordine cronologico, le ultime che conosciamo dell'artista; ma non si può escludere che il F. avesse mantenuto qualche rapporto con la committenza genovese, e che per Genova avesse continuato ad eseguire lavori, dei quali finora non abbiamo notizia. Forse il salvacondotto dato dal segretario di Carlo I ad un "Italian Sculptor" il 19 febbr. 1639 documenta un ritorno a Genova del F. per un soggiorno brevissimo se nel 1640 l'artista firmava il busto di Carlo principe di Galles (Wengraf, in Kunst..., 1992). Errata è, invece, la notizia della sua presenza in città nel 1653 per il battesimo del figlio Virgilio (Alfonso, 1977): il neonato non era infatti figlio, ma pronipote dell'artista (cfr., voce Fanelli, Virgilio, in questo Dizionario e inoltre Wengraf, in Kunst..., 1992). Nel 1661 furono pubblicate a Parigi le Varie architetture di Francesco Fanelli fiorentino scultore del re della Gran Bretagna, ventun tavole incise da W. Faithorne con fontane di gusto squisitamente manieristico, alcune delle quali molto vicine ad opere del Giambologna (Harris, 1969, fig. 33).
È assai significativo che, nell'intitolazione di quest'opera, il F. ostenti il suo vecchio ruolo di artista di corte: dall'anno precedente, infatti, il nuovo re d'Inghilterra, Carlo II, che il F. aveva ritratto ancor bambino, era tornato dall'esilio sul trono paterno, e lo scultore era evidentemente intenzionato a riprendere i contatti con la corte inglese. Del resto sia le fontane della Varie architetture sia i ninfei pubblicati, forse postumi, a Parigi nei Dessins de grotte, verso la fine del secolo (Miller, 1982, fig. 66) sono elaborati e raffinati progetti per l'arredo da giardino di residenze aristocratiche o regali. La maggior parte dell'attività del F. è connotata da questa sua specializzazione come artista di corte: fornitore di preziosi bronzetti da collezione e di piccole sculture da cabinet, esecutore di ritratti, decoratore di giardini con fontane e ninfei: fu proprio questa sua specializzazione ad aprirgli buone possibilità di lavoro a Londra, per una committenza laica particolarmente interessata al suo virtuosismo tecnico e al suo discorso culturale.
Non si conosce la data della morte dell'artista, che era ancora vivo nel 1662, quando De Bie (1662) lo cita come scultore del re d'Inghilterra e gli dedica un componimento poetico elogiativo.
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