DOTTI, Francesco
Nato a Padova verso il 1345, secondogenito di Paolo di Dotto e di Diamante, il D. fu durante la sua maturità, dal 1373 al 1405 circa, al servizio dei Carrara, signori di Padova.
Il padre del D. si era guadagnato la gratitudine di Francesco il Vecchio, avendogli rivelato nel 1355 un complotto organizzato contro di lui dallo zio, Giacomino da Carrara, che aveva assunto Zambon Dotti per uccidere il nipote. Giacomino fu arrestato e condannato al carcere nella rocca di Monselice mentre Zambon venne strangolato dai cugini di Paolo, Paolo e Giacomo Dotti. Nel 1368, quando fece testamento, Paolo era un uomo ricco con vaste proprietà in Villa Casale nel Padovano e strette relazioni con i frati eremitani, tra cui i dotti fratelli Bonsembiante e Bonaventura Badoer, che egli nominò suoi esecutori testamentari. Suoi eredi universali furono i figli, il D. e Antonio, capitano al servizio dei Carrara, che morì nell'ottobre del 1378 nella battaglia di Noale durante la guerra di Chioggia.Il D., al pari del padre e del fratello, entrò come militare al servizio di Francesco il Vecchio da Carrara, e nel 1373 fu fatto cavaliere per il valore dimostrato nella battaglia della fossa di Piovado di Sacco, combattuta contro Venezia. In seguito, nel medesimo anno, egli fu inviato a Venezia come uno degli ostaggi padovani consegnati per garantire il rilascio di Taddeo Giustinian, tenuto prigioniero in Ungheria. Dal 1°sett. 1377 al 29 febbr. 1378 il D. ebbe la carica di podestà di Bologna e, dopo un breve soggiorno in Padova nel palazzo della famiglia in contrada S. Andrea, fu podestà di Firenze dal 10 aprile al 10 ott. 1380. Il 12 ott. 1383 il D. fece il suo primo testamento, dal quale risulta che egli aveva sposato Giovanna di Giovanni Della Torre, della nobile famiglia milanese trapiantata nel Friuli, che sarebbe morta nel 1388. Da questo matrimonio gli nacquero due figlie, Giacomina e Bonaventura, che sposarono i fratelli Giovanni e Antonio Cavalcabò, cavalieri e nobili di Cremona.
Nel 1384 venne mandato come podestà a Treviso che Francesco il Vecchio aveva da poco acquistata da Leopoldo, duca d'Austria. Successe a Simone di Lupi da Parma e rimase in carica dal 2 ott. 1384 al 16 maggio 1386. Durante la sua podestaria il D. apportò molti miglioramenti nell'amministrazione comunale, fra i quali il più notevole fu la promulgazone di nuovi statuti approvati dal nuovo signore, che entrarono in vigore a Treviso e nei suoi territori il 1° febbr. 1385. Il D. prese anche provvedimenti per una scuola pubblica cittadina, diretta dal maestro Pietro d'Asolo, e riformò il notariato, istituendo un esame per i nuovi notai. Sovrintese inoltre all'introduzione di una nuova moneta, il carrarese, e riformò il servizio dovuto per la manutenzione di strade e ponti; infine definì la natura delle competenze giudiziarie fra il podestà e il capitano di Treviso e il loro ruolo in questioni di ricorsi. Negli ultimi mesi del 1385, mentre era ancora in carica, il D. si recò come ambasciatore di Francesco il Vecchio presso Antonio Della Scala, signore di Verona, nel vano tentativo di convincerlo a non rompere la pace con Padova.
Nell'estate del 1386 troviamo il D. a Padova, dove sovrintese ad alcuni affari familiari, fra cui, il 22 ottobre, la restituzione della dote di 1.800 lire a Costantina di Andrea Rossi di Parma, vedova di suo fratello Antonio. Il 22 maggio dell'anno successivo il D., insieme con Ugolino Scrovegni ed altri, fu testimone al conferimento del dottorato in artibus ad Antonio Cermisone, figlio del famoso condottiero Bartolomeo. Nell'estate del 1387 il D. fu inviato ambasciatore a Udine insieme con Tiso di Sant'Angelo e Guglielmo Curtarolo. Tornato a Padova nell'autunno, il 30 dicembre del medesimo anno fu nominato da Francesco il Vecchio ambasciatore insieme con il giurista Paganino Sala e Giacomo Turchetto, per trattare con il doge e il Senato a Venezia la questione della pace nel Friuli.
Nell'estate del 1388, allorché Padova stava per cadere nelle mani dei Visconti e dei Veneziani, il D. è ricordato tra i più intimi consiglieri di Francesco il Vecchio; egli lo sollecitò a rinunciare alla signoria di Padova in favore di suo figlio Francesco Novello. Nel novembre dello stesso anno il D. fu presente a un altro Consiglio che si dichiarò in favore sulla rinuncia di Francesco Novello alla signoria e sulla sua partenza per l'esilio. Quando gli ufficiali di Gian Galeazzo Visconti entrarono in Padova nel novembre del 1388 il D., come sostenitore del regime dei Carrara, fu condannato all'esilio e alla confisca delle sue proprietà. Ma queste sentenze, a quanto pare, non furono mai applicate e il D. probabilmente rimase a Padova durante il breve governo visconteo.
Mortagli la moglie nel 1388 circa, il D. si risposò nel 1390 con Caterina Dal Verme, dalla quale ebbe nel 1392 Alberto, che morì bambino, e più tardi una figlia, Diamante, mentre altri due figli maschi, Dotto e Paolo raggiunsero la maturità. Paolo divenne un famoso giurista e professore, e fu esiliato a Creta nel 1439.
Alla restaurazione carrarese del 1390 il D. rientrò al servizio di Francesco Novello e nel 1393, alla morte di Francesco il Vecchio, gli fu accordato l'onore di scortare la salma tenendo in mano la bacchetta della Signoria. Nel 1394, come membro dei Consiglio di Francesco Novello, fu testimone al conferimento della cittadinanza padovana ai nobili fratelli Collalto di Treviso, figli di Ansedisio; nel luglio del medesimo anno fu presente alle deliberazioni del Consiglio del Carrara. L'anno seguente il D. ritornò a Firenze, di nuovo come podestà, per un periodo di sei mesi, dal 1°ag. 1395 al 1° febbr. 1396. Nel giugno 1397, insieme con altri cinque cavalieri, accompagnò Gigliola, figlia di Francesco Novello, a Ferrara, per il suo matrimonio con Niccolò III d'Este.
Tornato a Padova nell'autunno del 1397, il D. si occupò delle sue tenute rurali, decretando, per esempio, la pace fra alcuni suoi contadini, che erano venuti alle mani a Villa Masera. Negli anni seguenti il D. compare in molti atti notarili rogati nei palazzi di famiglia, di S. Lucia e di S. Andrea. Ma nonostante l'antica fedeltà verso i Carrara nel novembre 1405, mentre incombeva la caduta del loro regime, il D. cambiò destramente versante e si fece vedere con un gruppo di vecchi fautori dei Carrara nelle piazze di Padova, gridando: "Viva San Marco e muore quisti de Carara" (Gatari, p. 574). Subito dopo il D. e altri voltagabbana si recarono nel campo dei Veneziani, chiedendo loro di prendere possesso della città. Nel gennaio del 1406 il D. fece parte di una delegazione di personalità padovane che a Venezia presentarono i simboli del Comune di Padova al doge Michele Steno.
Durante il governo veneziano il D. visse onoratamente a Padova, ricoprendo la carica di cavaliere vassallo del vescovado padovano. In questa veste il D. ottenne feudi decimali dal vescovo di Padova, specialmente nei villaggi di Casale, Masera e Terradura, come anche proprietà e rendite dai monaci di S. Giustina. Nel medesimo tempo risulta anche strettamente legato alla comunità universitaria di Padova; fu presente infatti come testimone a molti esami privati per la licenza in legge o in arti e al conferimento pubblico del dottorato nel duomo. Come testimone, egli è ricordato l'ultima volta l'8 giugno 1416 e probabilmente morì non molto tempo dopo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Padova, Arch. notarile (i regg. 99-101, rogiti del notaio Giovanni Pessolati contengono atti riguardanti gli interessi economici del D., i suoi sei testamenti si trovano nei regg. 100, ff. 109 ss., 12 ott. 1383; ff. 300v-302, 21 ott. 1386; ff. 336-39, 15 sett. 1388; ff. 419-22, 25 maggio 1390; 101, ff. 315v-318, 26 luglio 1405; ff. 319-21, 8 nov. 1405); A. de Redusiis, Chronicon Tarvisinum, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XIX, Mediolani 1731, col. 780; G. B. Gatari-A. Gatari, Cronaca carrarese, in Rerum Ital. Script., 2 ed., XVII, 1, a cura di A. Medin-G. Tolomei, pp. 30, 107, 125 ss., 242, 311-14, 328, 355, 442, 454, 574-77; Corpus chronicorum Bononiensium, ibid., XVIII, 1, a cura di A. Sorbelli, III, p. 345; M. Griffoni, Memoriale historicumde rebus Bononiensium, ibid., XVIII, 2, a cura di L. Frati-A. Sorbelli, p. 75; M. Savorarola, Libellus de magnificis ornamentis regie civitatis Padue, ibid., XXIV, 15, a cura di A. Segarizzi, p. 43; Monumenti della Università di Padova (1318- 1405), a cura di A. Gloria, Padova 1888, I, nn. 61, 117, 149, 228; II, nn. 1463, 1558, 1566, 1569, 1629, 1652, 1671, 1677, 1681, 1686, 1693, 1791, 1857, 1885, 1888, 1894, 1907, 2169, 2171, 2176, 2180, 2234, 2246, 2249, 2275, 2304, 2306; Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1406 ad annum 1450, a cura di G. Zonta-G. Brotto, I, Padova 1970, nn. 49, 57 s., 80, 87, 163, 275, 280, 303 s., 322, 376; Gli statuti del Comune di Treviso (sec. XIII-XIV), a cura di B. Betto, II, Roma 1986, pp. 297, 303; B. Scardeone, De urbis Patavii antiquitate, Basilea 1560, p. 302; J. Salomonio, Urbis Patavinae inscriptiones, Patavii 1701, p. 232; G. B. Verci, Storia della Marca trivigiana e veronese, XVI, Venezia 1788, pp. 144, 154; G. Cittadella, Storia della dominaz. carrarese in Padova, II, Padova 1842, ad Indicem; A. Gloria, Il territorio padovano illustrato, IV, Padova 1862, p. 129; E. Levi, Francesco di Vannozzi e la lirica nelle corti lombarde durante la seconda metà del sec. XIV, Firenze 1908, pp. 56, 60, 177; E. Pastorello, Nuove ricerche sulla storia di Padova e dei principi da Carrara al tempo di Gian Galeazzo Visconti, Padova 1908, pp. 44, 53, 147, 169, 175; G. Liberali, La dominaz. carrarese in Treviso, Padova 1935, pp. 54-57, 61, 128 s., 173, 175, 185, 187; P. Sambin, Ricerche di storia monastica medioevale, Padova 1959, p. 73; Id., Su Giacomo della Torre († 1414), in Quaderni per la storia dell'Universita di Padova, VI (1973), pp. 151 s.; S. Collodo, Per la storia della signoria carrarese: lo sfruttamento dei benefici canonicali di Padova nel XIV secolo, in Studi sul Medioeveo veneto, Torino 1981, pp. 100 ss.; Id., La pratica del potere a Padova nel secolo Trecento, in Studi di storia medioevale e di diplomatica, IX (1987), p. 113.