DONÀ (Donati, Donato), Francesco
Nacque a Venezia il 4 apr. 1744 dal patrizio Nicolò di Francesco, del ramo del rio della Sensa, e da Maria Vendramin. Fu attentamente seguito dal padre nei suoi primi studi. Emancipato a sedici anni, sembra che abbia fatto parte dei soci dell'Accademia dei nobili in Ca' Giustinian a S. Barnaba.
Benché uscisse da una casa moderatamente provvista di beni e che non poteva fare assegnamento su parentele particolarmente influenti (ad ogni modo era soprattutto dai parenti della madre che poteva attendersi un appoggio efficace), il D. riusci a piantare robuste radici nel Collegio dei savi: dopo essere stato savio agli Ordini, il gradino iniziale concesso ai giovani appartenenti alle famiglie "bene" dell'aristocrazia, nel 1771 fu eletto tra i savi di Terraferma, occupando negli anni seguenti per ben sette volte il seggio di savio cassier, vale a dire di ministro delle finanze dello Stato marciano.
È probabile che l'ascesa politica del D. debba essere principalmente attribuita alla "protezione" di Andrea Tron, in quegli anni il "paron" della Repubblica: al fianco del Tron si schierò in occasione della correzione del 1774-75, quando il "partito" dei savi fu imputato di una gestione oligarchica del potere sia dai seguaci di Alvise Emo, il correttore che il ruling nucleus del governo considerava "troppo Repubblicano", sia dagli "innovatori" usciti dalle file del patriziato "basso". Tra il 1774 e il 1776 fu, in appoggio al Tron, tra i fautori di una serie di riforme economiche ispirate ad un programma mercantilista: ma sia il piano doganale sia quello postale finirono per arenarsi di fronte all'opposizione degli avversari del "paron".
Nonostante questi scacchi e nonostante il varo di una normativa diretta ad imbrigliare lo strapotere del Collegio, di fatto il "partito" dei savi fu il vincitore della prova di forza della correzione: lo stesso D. fu premiato con l'elezione, nel gennaio del 1775, a storiografo pubblico, una nomina alla quale va necessariamente attribuito un significato politico non solo perché ottenuta da un patrizio poco più che trentenne e privo di particolari benemerenze culturali (salvo forse quella di essere figlio dell'ultimo storiografo pubblico che aveva accettato l'incarico), ma soprattutto perché conseguita nonostante la concorrenza dell'Emo e di altri due correttori.
Ancora una volta allineato sulle posizioni dei Tron nel 1777, quando fu discussa la ricondotta degli ebrei, il D. fu particolarmente preso di mira dagli "innovatori", che riuscirono a strapparlo al Collegio facendogli assegnare dal Maggior Consiglio il capitaniato di Verona. L'incarico in Terraferma lo trattenne lontano da Venezia dal giugno del 1779 all'ottobre del 1780, proprio nei mesi che videro la crisi politica raggiungere le punte più alte. Nell'"esilio" veronese il D. fu tenuto al corrente delle vicende della correzione, promossa da Giorgio Pisani e dagli altri "innovatori", dalle lettere che gli spedivano il Tron e il più informato cronista della correzione, il "quaranta" di parte conservatrice Giovan Mattio Balbi di S. Marcuola.
A Verona il D. applicò i metodi e gli indirizzi appresi alla scuola del Tron, distinguendosi per un attivismo che sollevò non pochi mugugni. Naturalmente non si trova traccia di essi nei discorsi, "ragionanienti" e poemetti che celebrarono il capitanio, "gloria delle virtù politiche e morali", "nel fine del reggimento". D'altra parte, dal momento che il rettore uscente si guardò bene dal presentare al Senato la prescritta relazione, non è facile tracciare un bilancio dell'esperienza veronese del Donà. Quel che è certo è che seppe conquistarsi l'approvazione dei letterati locali: non a caso l'Accademia di agricoltura, commercio ed arti di Verona lo scelse quale protettore.
Una volta ritornato a Venezia, il D. poteva aspirare, grazie al suo curriculum politico, a rientrare in Collegio in qualità di savio del Consiglio o per lo meno al "titolo" di senatore. Ma anche quest'ultima meta fu mancata: la sconfitta appare meno incomprensibile se si tiene conto, da un lato, del netto declino dell'influenza del Tron dopo la débácle degli "innovatori" e, dall'altro, del diffuso clima di ostilità che circondava il D. a causa della sua spregiudicata condotta quale savio cassier e capitanio di Verona.
Il D. fece di necessità virtù: nell'agosto del 1781 scrisse al Consiglio dei dieci che, da quando era tornato in patria, aveva dedicato "tutto [sé] stesso" alla "somma incombenza" di storiografo pubblico e che era sua intenzione farne la sua "unica occupazione nel tempo avvenire". Avvertiva anche che "da altro fonte non sarà tratta la materia al lavoro che da pubblici archivi, se non in quanto essi per avventura mancassero". "La raccolta de documenti" era "ben avvanzata": "quasi tutto il primo libro della Storia" era stato "esteso". Ma gli scavi archivistici erano quanto mai improbi: chiedeva pertanto che gli fosse consentito di avvalersi dell'assistenza di un notaio della Cancelleria e di un notaio del Consiglio dei dieci. Aveva anche tratto "dall'oscurità de faraginosissimi autografi" del padre "la serie diplomatica di carte" che Nicolò aveva utilizzato per scrivere il suo compendio. Avrebbe voluto "dar alle stampe" la storia paterna, "ma illustrata con delle annotazioni, che marchino li documenti delle di lei asserzioni, e dell'inganno, per cui" vari scrittori esteri, primo fra tutti l'abate Laugier, avevano cercato, naturalmente "a torto", di "oscurare il nome Pubblico".
Il programma storiografico del D. fu approvato dal governo, che concesse gli aiuti richiesti. Nel 1784 il D. ultimò il primo, massiccio tomo della Storia della Repubblica di Venezia dall'anno MDCCXIV sin a giorni presenti (inedita, ms. 1443 della Bertoliana di Vicenza): riguardava unicamente gli avvenimenti del 1714-15. Era condotto, come aveva preannunciato, soprattutto su documenti tratti dai pubblici archivi, ma teneva conto anche delle carte private di alcuni protagonisti di quelle vicende, da Carlo Ruzzini ad Andrea Memmo. Il risultato: una solida storia politico-diplomatico-militare attenta anche alla dimensione economico-finanziaria (riproduceva, tra l'altro, tre bilanci generali della Repubblica). Pur non uscendo dal solco della tradizione storiografica pubblica di Venezia, sapeva efficacemente coniugarla con la lezione degli eruditi.
Di particolare interesse era l'introduzione che rifletteva, da un lato, la lettura di alcuni storici illuministi (da Montesquieu a Voltaire, da Mably a Robertson) e dall'altro riprendeva la riflessione sulla storia di Venezia, che trent'anni prima l'amico Giacomo Nani aveva esposto in alcuni appunti sui "vari passaggi della nostra repubblica nei scorsi tempi a diversi fini politici". Il D. distingueva tre età, dominate da altrettante "massime", da altrettanti "interessi fondamentali dello Stato": i commerci, le conquiste, le difese. La decadenza di Venezia - faceva capire lo storico - era iniziata quando "lo spirito di proprietà per sua natura inerte, invido, sospettoso, esclusivo" aveva debellato "quello di commercio, ch'è spirito d'industria, di frugalità, di buona fede, di fratellanza". Di qui la condanna della "falsa idea della gloria" militare e l'esaltazione, nella scia del programma politico del Tron, delle "conquiste pacifiche utili più ch'altre ad ogni Nazione cioè quelle che il Governo fà nello stato proprio a benefizio de propri sudditi".
Negli anni seguenti il D., sia per evitare l'"imbarazzante ... esposizione della storia contemporanea" (di una storia sulla quale, tra l'altro, il governo si pronuncerà, per bocca dei consultori in iure Giambattista Bilesimo e Piero Franceschi, soltanto undici anni più tardi, sconsigliandone la pubblicazione), sia perché affascinato dal mondo dell'erudizione, si gettò a capofitto in un ambizioso e dispersivo progetto di edizione di testi e di raccolta di documenti. Accantonata l'ipotesi di un secondo tomo della Storia di Venezia, tentò di promuovere una silloge di Rerum Venetarum scriptores (prevedeva l'edizione critica di cronache e storie inedite, tra le quali i Diari di Marin Sanuto) e un Corpus Venetiarum (un codice diplomatico, per il quale aveva raccolto nel 1793 ben trentamila documenti editi e inediti). Fece fare ricerche in molti archivi italiani, strinse contatti con parecchi eruditi (tra i quali va ricordato almeno Giambattista Verci, che morirà in una casa di campagna del D.), costitui addestrate équipes per la trascrizione dei codici (dodici persone attendevano a quella dei Diari del Sanuto). Ma quando, nel 1793, presentò un bilancio al Consiglio dei dieci, il programma di lavoro rimaneva ancora quasi del tutto sulla carta: oltre ad un ampio prospetto degli studi fatti, era in grado di esibire soltanto i saggi, quanto mai parziali, del codice diplomatico e dell'edizione critica del compendio storico del padre.
Nel 1796 la grave situazione in cui versava la Repubblica spinse il Maggior Consiglio a porre fine alla lunghissima contumacia che aveva colpito il Donà. Essendo stato eletto censore, poté finalmente entrare in Senato. Nell'aprile del 1797 fu uno dei tre deputati inviati dalla Repubblica a Bonaparte e sottoscrisse, insieme con i colleghi, l'inutile pace di Milano. Lasciò una cronaca dei "fatalissimi avvenimenti" che in maggio portarono alla caduta della Repubblica aristocratica: fu pubblicata nel 1797 a Venezia, con la falsa data di Basilea, sotto il titolo di Esatto diario di quanto è successo dalli 2sino a 17 maggio 1797 nella caduta della Veneta Aristocratica Repubblica. Ostile alla "sedicente municipalità provvisoria", accolse con favore l'arrivo degli Imperiali. Nel 1798 fu nominato presidente della commissione camerale: tuttavia anche il governo austriaco prese ben presto le distanze dall'"intrigante" ex patrizio.
Il D. morì a Padova il 21 nov. 1815 "in condizioni finanziarie non prospere".
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P. D. C2265-3: atto di emancipazione; Ibid., Codd. Cicogna 2909, VII, r: Epoche di parità accordate alla Repubblica di Venezia dalle corti di Vienna, Spagna, Francia, Roma, raccolte dalla Secreta da F. D. Savio di Terraferma (12 luglio 1771); Vicenza, Bibl. Bertoliana, ms. 1233 (G. 5.2.2) e 1431 (G.3.11.6): Serie diplomatica tratta dalla Cancellaria segreta della Serenissima Repubblica di Venezia da Niccolò Donado istoriografo della medesima comprobante li fatti e carte riferite nel prodromo della sua Istoria Veneta... (1781); Ibid., ms. 1443 (G. 5.7.15): Storia della Repubblica di Venezia ... ; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna 3087, VI: Scrittura sulla regolazione delle valli veronesi (1786); ibid. 2818: Ristretto sulla legislazione veneziana (1798); ibid. 1687: Chiaccheramento, Eat agricola in agros, miles ad castra. Dialogo (1790 circa), corrispondenza con l'Accad. di Verona, G. B. Verci, G. R. Carli, A. Bottari, G. Tiraboschi, S. Assemani, G. B. Corniani, F. Mandelli, G. B. Tomitano, G.D. Coleti, L.A. Loschi e altri (1781-95); A. Querini, Ultima verba, s.n.t. [Venezia 1793], p. 66 (lettera del D. ad Anzolo Querini, Padova, 15 ott. 1792).
Arch. di Stato di Venezia, Riformatori dello Studio di Padova, f. 363: Informazione istoriografo pubblico (1793 c.); Ibid., Correttori alle leggi, b. 3: N. Balbi, Relazione delle cose occorse in Maggior Consiglio nella correzione dell'anno 1775 ... ; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3588: Z. M. Balbi, Relazioni istoriche delle dispute e vertenze seguite sulla proposizione postale 6 decembre 1775 ... ; Venezia, Bibl. Querini Stampalia, ms. cl. IV, 433: Z. M. Balbi, Memorie storiche della correzione 1780, raccolte in XXV lettere famigliari... scritte al N. H. ser F. D....; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P. D. c. 2256.1: lettere di Andrea Tron al D., Venezia 1779-80; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 1661 (8729), 4: scrittura dei consultori in iure sulle opere presentate dallo storiografo pubblico (21 ott. 1795); G. Sommaja Stoppazzola, Nella partenza del reggimento di Verona dell'ill.... F. D.... Orazione, Verona s. a. [1780]; Z. Betti, Ragionamento nella solenne apertura dell'Accademia ... di Verona, recitato nel fine del reggimento di ... F. D...., Verona 1780; Poemetto all'ill.... F. D...., Verona 1780; Terminazioni dell'ill.... F. D. capitanio... di Verona .... Venezia 1781; G. A. Moschini, Della letter. venez. del sec. XVIII, II, Venezia 1806, p. 170; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia, I, Venezia 1855, pp. 109-10; P. Rigobon, Di Nicolò e F. Donà veneziani del Settecento e dei loro studi storici e politici, Venezia 1910 (estr. da Ann. d. R. Scuola super. di commercio in Venezia per l'anno scol. 1909-10), pp. 7, 18-41; Arch. stor. ital., XLVI (1910), pp. 71 s.; Nuovo Arch. ven., XX (1910), parte 2, pp. 365 ss.; G. Tabacco, Andrea Tron (1712-1785) e la crisi dell'aristocrazia senatoria a Venezia, Trieste 1957, pp. 141, 167n., 174n., 179, 181; Bilanci generali della Repubblica di Venezia, IV, a cura di A. Ventura, Padova 1972, pp. XC-XCI; G. Gullino, La politica scolastica venez. nell'età delle riforme, Venezia 1973, pp. 104-05; F. Venturi, Venezia nel secondo Settecento, Torino 1980, p. 168; G. Cozzi, Repubblica di Venezia e Stati italiani..., Torino 1982, pp. 344 n., 376 n.