DONÀ (Donati, Donato), Francesco
Primo dei quattro figli maschi di Nicolò di Nicolò e di Dolfina Fini di Gerolamo, naque a Venezia il 1°genn. 1681.
La famiglia, che da poco si era trasferita in un palazzo preso in affitto a S. Simeon Grande, nel sestiere di S. Croce, apparteneva al ramo detto di S. Fosca, perché in questa contrada i Donà avevano le loro case; era ricca, ma non tanto da essere considerata tra le principali di Venezia: nella redecima del 1711 il D. dichiara di possedere due case e tre botteghe in città, ed in Terraferma tredici immobili (tra i quali un castello, a Lendinara) con 700 "campi" e alcuni terreni paludosi, tutti dislocati nel Padovano e nel Polesine, per un reddito, depurato da ógni aggravio, di annui ducati 2.456: 11; altri ducati 1-331:4 costituiscono le entrate del fratello Girolamo, e ducati 2.446:21 quelle della madre, che risulta ormai vedova. Dunque fu probabilmente per obbedire alla logica della concentrazione patrimoniale che il solo D. si sposò il 28 genn. 1705, con Fontana Maria Zen di Baldassarre di Gian Francesco, da cui ebbe un unico figlio, Nicolò, futuro successore del doge Marco Foscarini nell'incarico di storiografo ufficiale della Repubblica.Colto, intelligente, ambizioso, con il consenso dei fratelli il D. intraprese una brillante ma dispendiosa carriera politica: il 24 luglio 1707 accettò infatti la nomina a capitano di Bergamo, che lo avrebbe portato a far parte dell'Ordine senatorio senza sottoporsi all'abituale tirocinio del saviato agli Ordini.
Nella città orobica il D. si trattenne dal 12 febbr. 1708 all'11 giugno dell'anno seguente, dedicandosi soprattutto al controllo delle fortificazioni ed all'approvvigionamento delle truppe che vi erano acquartierate, inerti spettatrici delle devastazioni che Imperiali e Francesi, impegnati nella guerra di successione spagnola, infliggevano alle province venete; né fu questa la sua unica fonte di afflizioni, giacché durante il rettorato dovette subire anche la perdita della moglie.
Al ritorno a Venezia fu nominato scansador delle Spese superflue (25 luglio 1709 - 24 luglio 1711), quindi savio di Terraferma (1° ott. 1717 - 31 marzo '18, 1° ott. 1719 - 31 marzo 1720, 1° ott. 1720 - 31 marzo '21; in quest'ultima circostanza con l'incarico di savio alla Scrittura e, per il primo semestre 1720, di cassiere del Collegio). Subito dopo ottenne la nomina a savio del Consiglio per il semestre 1° apr. - 30 sett. 1720, che conseguì anche l'anno successivo, nel quale fu nuovamente cassier del Collegio per il primo trimestre, e provveditore sopra i Danari (16 ott. 1721 - 15 ott. '23). Il 4 genn. 1722 fu quindi eletto podestà a Padova, ma qualche giorno più tardi (22 gennaio) preferì optare per il prestigioso incarico di ambasciatore presso l'imperatore.
Si rendeva conto, il D., che una tale missione avrebbe posto a dura prova il suo patrimonio, ma sapeva anche trattarsi di occasione irripetibile per imporsi autorevolmente nel mondo politico veneziano: parti dunque per Vienna il 21 luglio 1722 (le commissioni gli erano state consegnate il 9 maggio), portando con sé il figlio, alla cui educazione dedicò sempre molta attenzione.
In Austria ed in Boemia, a Simmering, a Módling, a Praga, il D. si trattenne sino al 7 luglio '25, occupandosi soprattutto dei risvolti commerciali che la politica di potenziamento delle strutture marinare, tenacemente perseguita dall'imperatore ed alla quale la recente annessione della Sicilia aveva recato nuove prospettive di sviluppo, poteva presentare per gli interessi veneziani, soprattutto nella rotta di Ponente, giacché la guerra russo-turca sembrava per il momento scoraggiare qualsiasi iniziativa austriaca nel Levante.
Per tale ragione il D. annunciava con sgomento, il 3 marzo 1725, la morte dello zar Pietro I e la probabile successione al trono della vedova di questo, Caterina, conseguenza dell'"implacabile disnaturato" odio del defunto sovrano verso il suo sangue. Prevedibile dunque un allentarsi della pressione russa sui Turchi, dal momento che la communisopinio riteneva "affatto improbabile che la ferocità di quella nazione sia per sofferire un tal giogo", e contro la zarina si pronosticavano "con fondamento, strane rivolte e peripezie tutte particolari, le quali metteranno fuori di stato quel possente Impero d'implicarsi, per lungo tempo, ne' fatti altrui".
In realtà, i timori di una possibile concorrenza austriaca sul piano commerciale dovevano venir ben presto ridimensionati, se già qualche mese più tardi (18 sett. '25) il cavaliere D. (ché tale l'aveva creato l'imperatore) poteva leggere in Senato una relazione dal tono tranquillizzante, quando addirittura non incline ad ironizzare sulla validità di tanti sforzi.
Dal documento il monarca asburgico emerge tuttavia coii tratti di grande rilievo: "Carlo VI riempie l'Imperial soglio"; egli è "l'anima che informa questo gran Corpo". P, ricco di virtù, di "perfetto e sano temperamento, amante della fatica", ed ancora casto, pio, morigerato, leale, sebbene "par che non chiami a sè con la grazia dell'esterior portamento"; lo circondano persone capaci, primo tra tutti il principe Eugenio di Savoia il cui valore e fortuna "lasciarono a' Turchi un monumento troppo funesto"; possiede importanti domini: l'Austria è un "ricco paese"; la Boemia "forma per sé sola un considerabilissimo stato"; l'Ungheria è "vastissinia", ed ora giunge sino a Belgrado e a Temesvar, "spine fitte nel cuore degl'ottomani"; "possessione preziosa" la Sicilia; "pingue e dovizioso paese" il Regno di Napoli, assieme a Milano; "pupilla dell'occhio" il Ducato di Mantova. Eppure, a fronte di tanta potenza, un esercito inferiore alla sua fama, precariamente mantenuto con "tenui, e non pontuali paghe"; una struttura finanziaria della quale "la mia corta vista nulla seppe discernere di più disordinato, o di più scomposto": dati questi presupposti, non appaiono credibili i tentativi di fare dell'Austria una potenza marinara, poiché "quei due principij, che sono indispensabili a fornir materiali per si grande fabrica, che sono le navi, e le merci, giacciono ancora, per così dire, nella mente del promotore". Nella conclusione, infine, un accenno alla pesantezza dell'incarico sostenuto, ai gravi dispendi affrontati: una "voragine" che ha consumato "gli avanzi miserabili delle [sue] abbattute fortune", alle quali ora non resta che attendere conforto dalla "sovrana publica munificenza".
Il D. pensava al bailato a Costantinopoli, unico mezzo per soddisfare il debito di 40.000 fiorini ch'egli aveva sottoscritto a Vienna (coinvolgendo nell'operazione anche il figlio appena maggiorenne) coi banchieri Moser e Zanconi, ma gli venne preferito il cavaliere Giovanni Dolfin. Dovette quindi accontentarsi di riprendere il suo posto tra i savi del Consiglio, che ricopri per il semestre 1° ott.-31 marzo degli anni dal 1725 al 1728; fu anche aggiunto ai tre deputati sopra la Provvision del danaro, dal 5 apr. al 30 sett. 1727 e dall'8 apr. al 4 luglio 1728, giorno in cui riusci finalmente ad essere eletto bailo.
Per solito il viaggio a Costantinopoli aveva luogo nella primavera-estate; consapevoli di ciò, i suoi creditori, con la mediazione dell'ambasciatore cesareo, concordarono un piano di ammortamento del debito attraverso la scadenza di tre rate uguali, il cui primo versamento doveva verificarsi all'inizio del 1729. La data passò, tuttavia, senza che il D. provvedesse ad onorare l'impegno preso. si decise a farlo solo di fronte alla minaccia dell'ambasciatore austriaco, conte Giuseppe di Bolagno, di rendere pubblica la cosa, ed impiegando a tale scopo gran parte dei 5.500 zecchini che gli erano stati consegnati per far fronte alle spese del viaggio ed ai donativi soliti farsi ai ministri ottomani.
Riuscì in tal modo ad imbarcarsi sulla nave "S. Gaetano", ma non ad abbandonare il Lido: alla metà di maggio, Polo Renier ed il savio in settimana Carlo Ruzzini attaccarono pesantemente in Senato una condotta tanto imprudente e spregiudicata, che rischiava di compromettere il buon nome della Repubblica, alla loro azione non furono probabilmente estranee questioni di schieramento politico, ossia l'animosità dei gruppi oligarchici contro l'esponente di una casa dalle moderate fortune, che pure aveva tentato di adire alle massime cariche dello Stato. In seguito all'intervento degli inquisitori, il 22 maggio 1729 il D. era costretto a presentare una supplica per ottenere la dispensa dal bailaggio, e- poter disporre di "quella tanto necessaria libertà, che unicamente mi preme di non occuparmi in niente altro, che nel fisso pensiere delle mie tanto esorbitanti sciagure".
Alla duplice rovina, economica e politica, non sopravvisse molto: morì a Venezia, a S. Simeone, il 22 marzo 1732.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. docc., I, St. veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii…, III, c. 315; Ibid., Avogaria di Comun. Libro d'oro nascite, schedario 170, ad nomen; Ibid., Libro d'oro matrimoni, schedario 185, ad nomen; Ibid., Avogaria di Comun, b. 159/3: Necrologi di nobili, ad diem. Per la carriera politica, cfr. Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci. Elez. Maggior Consiglio, reg. 25, c. 208; reg. 26, cc. 154, 219; Ibid., Segr. alle Voci. Elez. Pregadi, reg. 21, cc. 21, 119; reg. 22, cc. 1, 4, 12, 22 s., 75, 77, 135; Ibid., Senato. Dispacci Germania, ff. 214-217, passim; Senato. Expulsis papatistis, ff. 13-4, passim (le commissioni, in Senato commissioni, f. 18, cc. 391, 395, 400; la relazione, in Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, IV, Germania (1658-1793), Torino 1968, pp. 625-641; Ibid., Senato. Dispacci Costantinopoli, f. 182, disp. del 24 apr. e 27 maggio 1729; la richiesta di dispensa dal bailato, Ibid., Avogaria di Comun. Misc. civile, b. 119/12; copia del carteggio relativo alla vicenda, con le accuse rivolte al D. e la sua rinuncia all'ambasceria, in Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Mss. Morosini-Grimani, 496, cc. 311-362. Per le condizioni economiche del D. cfr. Arch. di Stato di Venezia, Dieci savi alle decime. Condizioni di decima, b. 290/241 (le dichiarazioni della madre e del fratello, stessa busta, rispettivamente nn. 234 e 240). Cfr. inoltre G. Soranzo, Bibliografia veneziana, Venezia 1885, p. 386; P. Rigobon, Di Nicolò e Francesco Donà veneziani del Settecento e dei loro studi storici e politici, Venezia 1910 (estratto dall'Annuario della R. Scuola super. di commercio in Venezia per l'a.s 1909-10), pp. 5, 8; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, a cura di L. Firpo, II, Germania (1506-1554), Torino 1970, pp. LXIV s.