DIOTALLEVI, Francesco
Nacque a Rimini nel 1580 da nobile famiglia locale. Si sa ben poco della sua infanzia ed adolescenza. Inviato a studiare filosofia e teologia al Collegio Romano della Compagnia di Gesù, si segnalò anche per le propensioni letterarie - in gioventù fu un discreto poeta a detta dei suoi contemporanei - e soprattutto per le grandi capacità oratorie. che gli valsero la vittoria in numerose competizioni.
Terminati gli studi teologici e presi gli ordini, entrò nella Cancelleria apostolica e divenne referendario di entrambe le Segnature. Non abbandonò tuttavia la 'speculazione filosofica e teologica e partecipò alla ripresa del dibattito sul molinismo sotto Paolo V. Quando ormai da quattro anni il papa aveva lasciato piena libertà sia ai molinisti sia agli antimolinisti, pubblicò il De concursu Dei ad actus liberos voluntatis creatae, Lugduni 1611.
In quest'opera discusse a fondo le tesi di coloro che ritenevano la volontà umana fisicamente predeterminata da quella divina: nel complesso fu molto vicino alle posizioni di R. Bellarmino, anche se attento al ritorno al tornismo propugnato da F. Suarez. Sappiamo che il D. si proponeva di dare un seguito a questo suo primo libro e che aveva anche iniziato, o forse soltanto progettato, una riflessione sull'usura, ma i suoi studi teologici dovettero essere abbandonati per più urgenti attività diplomatiche.
Il 21 luglio 1614 fu creato vescovo di Sant'Angelo dei Lombardi e inviato immediatamente in Polonia come nunzio.
Nel regno polacco doveva evitare le ingerenze della Corona nelle gerarchie ecclesiastiche e far comprendere al re che non poteva immischiarsi nelle nomine cardinalizie presentando al papa propri candidati. Doveva inoltre far applicare i canoni del concilio tridentino e mantenere una ferrea presa sulla Chiesa polacca controllando la moralità di parroci e vescovi, curando la creazione e il buon andamento di seminari vescovili, visitando i monasteri per isolare quelli più riottosi e indisciplinati. Doveva infine fare attenzione che nelle Diete non si facessero concessioni ai protestanti, procedere al recupero di tutte le chiese parrocchiali contestandone il patronato ai protestanti, far progredire la conversione degli "eretici" e l'azione dei gesuiti.
La situazione non era delle più facili: Sigismondo III Vasa voleva imporre a ogni costo la nomina cardinalizia del vescovo di Reggio e già nunzio in Polonia CI. Rangoni, la nobiltà polacca non sempre concordava con la politica cattolica del re, protestanti e ortodossi minacciavano di allearsi politicamente. Appena arrivato in Polonia, il D. si trovò così a doversi destreggiare fra le continue sollecitazioni da Roma, dove si temeva un ritorno in forze dell'"eresia", e le resistenze locali.
I dispacci del nunzio riportano una serie continua di polemiche con il re e con la Chiesa locale. Sigismondo III non gradì la ferma volontà papale di non nominare cardinale chi fosse piaciuto al re di Polonia. Tantomeno fu facile al D. annunziare che la S. Sede non poteva più elargire sussidi alla corte polacca, date le proprie ristrettezze finanziarie. Per mantenere buoni contatti con la famiglia reale, il nunzio cercò di entrare in buoni rapporti con il principe ereditario Ladislao, ma questo non gli evitò di sentirsi spesso non appoggiato, se non proprio avversato dalla corte.
I primi anni della nunziatura trascorsero nella lotta contro i protestanti e nell'acquisire il controllo della Chiesa polacca. Nel 1615 il D. si trovò a fronteggiare uno scandalo di una certa entità a Danzica: il fratello calvinista di un cattolico che in punto di morte aveva chiesto l'estrema unzione aveva gettato giù per le scale di casa il parroco che si apprestava a impartire il sacramento. Il D. protestò più volte con il re e cercò di servirsi del fatto per una più grande penetrazione cattolica nella zona di Danzica (come è noto oltre il 50% dell'attività commerciale nel Baltico era accentrato in questa città, dove i mercanti olandesi erano estremamente attivi e non soltanto sul piano economico). Le iniziative del nunzio non sembrano aver dato frutti, anche perché le coste del Baltico meridionale furono colpite l'anno successivo da un'epidemia di peste ed il nunzio dovette così preoccuparsi di un nemico più micidiale dei calvinisti.
Nel 1616 il nunzio dovette intervenire nella lite fra il monastero di Elbing e il vescovo di Ermland Simon Rudnicki; riuscì a mettere pace, ma a prezzo di profondi contrasti con la gerarchia ecclesiastica locale, che non accettava le sue ingerenze. Nel 1617 e nel 1618 il D. fu occupato a combattere l'influenza dell'arcivescovo di Spalato, Marc'Antonio de Dominis, e della sua opera De republica ecclesiastica. Da un lato, fece continue pressioni sulla Dieta dei vescovi polacchi per impedire la penetrazione dei libri dell'arcivescovo di Spalato; dall'altro, cercò di ottenere da Sigismondo III un editto contro il De republica, ma il re giudicò inutile un simile editto e non appoggiò le iniziative del Diotallevi. Lo stesso problema si ripresentò nel 1619, quando il nunzio cercò di impedire la diffusione della Istoria del concffio di Trento di Paolo Sarpi.
Nel frattempo, a partire dal 1618, il nunzio dovette interessarsi di più gravi problemi di diplomazia europea, sollevati dagli inizi della guerra dei Trent'anni e inoltre, organizzare una rete di informatori in Russia, in Moldavia e in Turchia. L'abilità diplomatica e organizzativa del D. gli valse continui successi e riconoscimenti da Roma, ma dopo i primi cinque anni di nunziatura, egli iniziò a chiedere di essere richiamato. La sua richiesta non fu esaudita, perché si giudicò necessaria la sua presenza in Polonia in considerazione di una crescente tensione militare e di un imminente pericolo turco.
Le lettere degli anni 1620-1621 sono sempre più ricche di notizie e valutazioni sul conflitto con l'Impero ottomano: il D. raccoglieva informazioni da spie e mercanti provenienti soprattutto da Istanbul. Nel 1621 la situazione precipitò: l'esercito turco si avvicinava, mentre la situazione interna era estremamente tesa. Oltre agli scontri fra la nobiltà polacca e la Corona, il D. temeva addirittura che gli "scismatici" abbandonassero la difesa del regno per darsi al Turco.
La tensione nervosa del nunzio era ormai accompagnata da un grave deperimento fisico: le richieste di essere richiamato a Roma erano sempre più pressanti. Una lettera del 9 luglio 1621 lamenta le "difficoltà continue, et infinite da me sperimentate per più di sei anni", altre lettere ricordano le infermità contratte in Polonia a causa del clima.
Alla fine dell'anno fu finalmente richiamato e si stabilì a Roma, dove era ritenuto un sicuro candidato alla porpora, ma le malattie contratte in Polonia non gli permisero di ascendere al cardinalato. Morì infatti a Roma nel maggio del 1622.
Fonti e Bibl.: Le lettere del nunzio a Roma sono conservate nell'Archivio segreto Vaticano, Fondo Borghese, serie 11, 185, 219-21, 225, 227, 231 e 235, e alla Biblioteca apost. Vaticana, mss. Barberini 6579; vedi inoltre A. Theiner, Vetera Monumenta Poloniae et Lithuaniae, III, Romae 1863, pp. 358 s.; A. Levinson, Polnisch-Preussisches aus der Bibliotheca Borghese in Vatikanischen Archive, in Zeitschrift des Westpreussischen Geschichtsvereim, XLII (1900), pp. 89-115; XLVIII (1905), pp. 85-90; Iani Nicii Erythraei Pinacotheca, Coloniae Agrippinae 1643, pp. 282 ss.; G. Viviani, Monumenta virorum illustrium Galliae Togatae, Forolivii 1727, p. 65; C. Tonini, La coltura letteraria e scientifica in Rimini dal sec.XIV ai primordi del XIX, II, Rimini 1884, pp. 188-93; L. von Pastor, Storia dei papi, XII, Roma 1930, p. 439; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare ital., II, p. 616.