DIEDO, Francesco
Nacque a Venezia, nella parrocchia dei Ss. Apostoli, l'8 dic. 1560, primo dei tre figli maschi di Antonio e Cecilia Correr quondam Anzolo; Vincenzo e Anzolo furono i suoi fratelli minori.
Appartenente a una casata patrizia di antico lignaggio, ma a un ramo della stessa piuttosto periferico, il D. trascorse un'infanzia aggravata dalla immatura scomparsa del padre, spentosi a Venezia, il 7 nov. 1572, all'età di 37 anni. Non è dato sapere con certezza se a causa della scarsa rilevanza politica del genitore, che le fonti indicano sostanzialmente emarginato da incarichi governativi di rilievo, il D. rimase a lungo lontano da posizioni di una qualche influenza negli apparati governativi della Repubblica. Nel 1583 sposò Maria Duodo di Francesco, proveniente da una famiglia ascritta al patriziato veneziano, ma certamente tutt'altro che fornita di prestigio e solide relazioni. Neanche il primo mandato conferitogli, quello di podestà di Bergamo nel 1604, rappresentava di per sé un riconoscimento di grandissimo prestigio: nel cursus honorum dei patrizi la designazione a uno dei reggimenti di Terraferma costituiva, è vero, quasi sempre una sorta di passaggio obbligato; ma la sede di Bergamo non era quella, politicamente ben più significativa, di Padova o Brescia o Verona, e l'età non più giovane del D. non costituiva in ogni caso un presupposto molto incoraggiante. Si trattava purtuttavia del primo incarico in grado di affrancarlo da un desolante anonimato e il D. seppe comunque sfruttare nel migliore dei modi le difficili congiunture che gli si presentarono.
Trovatosi a fronteggiare i gravissimi problemi che l'emanazione da parte della S. Sede dell'interdetto contro Venezia aveva scatenato, particolarmente destabilizzanti in una provincia, come quella in cui esercitava le sue funzioni, nella quale il sentimento religioso e la devozione alla Chiesa erano capillannente diffusi e profondamente radicati in gran parte della popolazione, il D. ebbe modo di dar prova in quei frangenti di grande lucidità, adoperandosi per far rispettare le disposizioni del governo centrale, senza turbare però in alcuna maniera gli animi e la sensibilità delle genti del luogo.
Costretto a destreggiarsi tra l'atteggiamento sovente ostile del clero delle campagne e di alcuni Ordini religiosi come i teatini e i cappuccini (peraltro cacciati sin da principio con ordine espresso della Repubblica), il D. espletò con notevole avvedutezza ed incoraggianti risultati i compiti che si era inteso assegnargli. Precisa, particolareggiata e non priva di spunti interessanti, la relazione conclusiva presentata al Senato nel 1606.
Attorno al 1610 il D. fu chiamato tra i Dieci savi, ai quali, proprio in quel periodo, vennero in pratica delegate ampie competenze in una materia di straordinaria rilevanza come quella rappresentata dai rapporti delle Comunità rurali, e quindi anche degli interessi fondiari delle aristocrazie suddite, con il potere centrale.
Le fonti non offrono a riguardo ragguagli precisi e non siamo di conseguenza in grado di fissare con esattezza la durata dell'attività del D. all'interno della magistratura; dovette però probabilmente protrarsi fino al 1616, se solo in quella data egli venne chiamato ad offrire i suoi servigi in un altro incarico, quello di capitano, nella prestigiosa, ed economicamente redditizia, piazza di Brescia.
Normalizzatasi oramai la situazione in materia religiosa, il D. non incontrò in quella occasione eccessivi problemi e portò a compimento il proprio mandato, scaduto nel 1618, senza sussulti di particolare rilievo, occupandosi in prevalenza di rapporti fiscali ed istituzionali tra Comunità comitatine ed apparati periferici del governo veneto. Nel 1619 entrò a far parte del Consiglio dei dieci, organo che, se aveva perduto la totale preponderanza detenuta solo pochi decenni prima, si configurava pur sempre come uno dei più prestigiosi nei quali fosse dato di inserirsi. Nel 1620 partecipò, come membro della zonta del Senato, alla votazione che sancì la preclusione della Repubblica al ritorno della Compagnia di Gesù.
Senza figli, perlomeno legittimi, morì a Venezia il 10 maggio 1624.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle Voci, alle date; Ibid., M. Barbaro, Genealogie, III, c. 216;Roma, Arch. rom. Societatis Jesu, Venezia, busta 109, c. 413; Relazione di Diedo al principe di Venezia, Milano 1882;la relazione anche in Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura dell'Istituto di storia econ. dell'università degli studi di Trieste, XII, Podesteria e capitanato di Bergamo, Milano 1978, pp. 287-290. La notifica della presenza del D. come capitano a Brescia anche ibid., XI, Podesteria e capitanato di Brescia, Milano 1978, p. LIV.