Francesco di Vannozzo
Poeta, nato a Padova fra il 1330 e il 1340 da famiglia aretina. Studiò a Bologna e forse soggiornò qualche tempo ad Avignone; certo vagò fra le corti padane e fu a lungo a Venezia e Verona. Caduti gli Scaligeri, seguì i Visconti vincitori. Dopo il 1389 non si ha più notizia di lui, che forse finì la vita presso i Visconti, pei quali scrisse le rime più note, vicino ad essi nell'odio per Firenze.
Fu abile musicista e cantore, non vero giullare, anche se ne imitò il linguaggio (misto di forme dialettali e latineggianti e di francesismi) e i modi. La sua lirica è varia, a volte elevata, a volte plebea, come quella di tutti i rimatori lombardi, ai quali è certo superiore. Da Marsilio de' Carraresi fu detto " sovrano maestro d'ogni melodia "; venne lodato da molti, tra cui il Petrarca, di cui musicò versi.
Tra le sue rime sono notevoli quelle politiche, se pure espressione adulatoria d'interessi signorili. In esse si unisce l'imitazione del Petrarca a quella di D.; soprattutto dalla Commedia ha tempra la voce dello sdegno. La prima canzone ci presenta una visione: il Petrarca scende dal cielo a spiegare al poeta l'allegoria di un'impresa viscontea; nella canzone Era tra megio l'autore sale su un colle per tema di due animali. Evidente ancora l'influenza dantesca nelle frottole, non nelle liriche amorose, per antipatia verso le forme stilnovistiche. Per ciò Gidino da Sommacampagna tenzonando con F. chiama l'Alighieri " il tuo Dante "; e costui, del resto, è da F. associato in un indovinello a Socrate, Platone e Virgilio.
Bibl. - Le rime di F. di V., a c. di A. Medin, Bologna 1928; E. Levi, F. di V. e la lirica nelle corti lombarde durante la II metà del sec. XIV, Firenze 1908 (ID., in " Arch. Romanicum " I [1917] 481 ss., e in " Studi Mediev. " n.s. II [1929] 217 ss.); A. Medin, Ritornando sulle rime del V., ibid. 152-162; I. Vergani, Osserv. sulla lingua di F. di V., in " Rendic. Ist. Lombardo " XIII (1949) 247-252.