PELOSIO, Francesco di Bartolomeo
PELOSIO, Francesco di Bartolomeo. – Ignota è la data di nascita di questo pittore originario di Venezia, ma operoso in Emilia nella seconda metà del XV secolo.
Nel 1455 «Magister Franciscus Bartholomei Pelosii de Venetiis» si trasferì a Bologna insieme alla moglie, alla figlia e al collega Barnaba Amorotti da Venezia (Filippini - Zucchini, 1968), ma quattro anni più tardi egli operava stabilmente a Imola. Il maestro veneziano Francesco di Bartolomeo citato nei documenti imolesi è infatti perfettamente identificabile nel Pelosio presente a Bologna, in virtù delle concordanze dei nomi dei familiari menzionati nelle rispettive carte (Tambini, 1984, pp. 9, 15 n. 25, con riferimento alle ricerche inedite di Romeo Galli; a questo testo, a fianco di Filippini - Zucchini, 1968, si fa riferimento per le notizie biografiche riportate in questa voce). Inoltre, poiché la serva Caterina, che nel 1455 giunse a Bologna con Pelosio, è qualificata nel 1474 come originaria di Imola, è verosimile che il pittore si fosse lì insediato già prima della trasferta felsinea. Ciò è coerente con il tono di due documenti del 1459, in cui Pelosio risulta presente a un’investitura fatta da Taddeo Manfredi, signore di Imola, nel palazzo Nuovo, mentre nel 1462 presenziava a un atto di assoluzione concesso dallo stesso personaggio. Nel 1464 egli è menzionato invece quale revisore dei conti, per il trascorso periodo 1459-63, del tesoriere del Manfredi, Domenico di Pietro Ravenale.
La conoscenza della figura artistica di Pelosio inizia nel settimo decennio, periodo in cui è databile la tela raffigurante la Madonna con il Bambino angeli e donatore della chiesa di S. Maria delle Grazie a Imola, a lui ascritta da Luisa Becherucci (1942, pp. 21 s.). Il dipinto, lì presente già nel 1468, dovette essere realizzato poco prima, poiché i francescani osservanti dell’annesso convento erano stati chiamati a Imola dal Manfredi nel 1466 e il loro insediamento era stato eretto a partire dall’anno seguente (S. Gaddoni, I frati minori in Imola, Firenze 1911, pp. 62 s.). È verosimile che il donatore presentato dagli angeli alla Vergine sia lo stesso Manfredi, la cui famiglia fu da sempre devota all’Osservanza francescana. Malgrado la discrepanza tra i supporti, è stimolante la proposta di Anna Tambini (2002, p. 47) di ritenere l’opera il centro di un complesso formato anche da tre tavolette (divise tra due collezioni private, una milanese e una romana) raffiguranti S. Maria Maddalena, S. Girolamo e S. Francesco, alle quali se ne aggiunge una quarta con S. Gregorio Magno, già documentata nell’Ottocento insieme alle altre, ma di cui si erano perdute le tracce prima che potesse essere resa nota (Tambini, 1986).
Disposti probabilmente sue due registri ai lati della tela imolese (Minardi, 2011, pp. 96 s.), questi dipinti rivelano lo stesso grado di cultura, quello di un artista formatosi nell’alveo dello stile di Antonio Vivarini e Giovanni d’Alemagna, ma aggiornato anche sull’incisività lineare che distingue Bartolomeo Vivarini e il primo Lazzaro Bastiani. È inoltre verosimile che siano stati proprio i fratelli Vivarini, in più occasioni operosi per Bologna a partire dal 1450, a introdurre il collega veneziano su tale piazza. Una prima educazione in ambito lagunare, sempre nel giro dell’atelier vivariniano, parrebbe confermata da una Madonna con il Bambino in trono e angeli (già Milano, collezione Chiesa), riferita al maestro dalla Tambini (2002, p. 48), opera che manifesta attitudini più chiaramente goticheggianti rispetto alla Madonna di S. Maria delle Grazie e potrebbe costituire una traccia di una fase a essa precedente. Il rapporto di Pelosio con l’Osservanza di Imola trova conferma anche nella sua attività quale frescante all’interno della suddetta chiesa in cui si conserva, nella cappella maggiore, il frammento di una Deposizione, di non facile datazione.
Altre testimonianze dell’operosità di Pelosio a Imola alla fine degli anni Sessanta sono la Madonna con il Bambino e due devote (Imola, collezione Cassa di Risparmio) e la Madonna della Pietà (Imola, Museo di San Domenico), plausibilmente commissionata, come denuncia la singolare iconografia, in occasione della peste che dilagò in città nel 1468. Segue un profondo silenzio dei documenti imolesi sino al 1479: nel 1474 Pelosio doveva trovarsi a Venezia, dove è nominato esecutore testamentario della cognata Margherita, moglie di Pasqualino Pelosio (Testi, 1915, p. 551 n. 4), mentre nel 1476 intratteneva rapporti di lavoro con Bologna, città per la quale dipinse, in quell’anno, un pentittico raffigurante la Madonna con il Bambino e santi destinato alla chiesa dei Ss. Vitale e Agricola.
Il complesso, diviso tra la Pinacoteca nazionale di Bologna e il castello di Konopiště a Benešov, nella Repubblica Ceca, è stato ricomposto da Federico Zeri (1976), con l’eccezione delle Storie con i ss. Vitale e Agricola che componevano la predella, attualmente disperse (Mazza, 2004; Cavalca, 2013). L’opera venne commissionata, come recita l’iscrizione sottostante la Vergine, da «Domina Johana de Castelo abatissa dicti monasterii per manus Magistri Francisci de Pelosii de Venetiis». Si tratta del solo dipinto firmato da Pelosio, caposaldo della ricostruzione del suo catalogo, in cui si registra l’influsso, al di là dei Vivarini, dei pittori attivi nel panorama felsineo del settimo decennio, sul tipo di Cristoforo di Benedetto.
Nella stessa chiesa dei Ss. Vitale e Agricola è conservata una Madonna con il Bambino di Sano di Pietro, la cui copia, custodita nel santuario del Piratello a Imola, è stata riferita a Pelosio (Tambini, 1984, p. 11). Più problematica è invece l’attribuzione della cosiddetta Madonna del Tempo (Imola, chiesa di S. Stefano delle Clarisse; Tambini, 1984, p. 18 nota 32), che si presenta assai ridipinta.
Il fulcro dell’attività di Pelosio restò, dunque, la città emiliana, dove risulta nuovamente attestato nel 1479 in relazione alla commissione da parte della Confraternita di S. Croce di una storia di S. Elena «in qua debet facere multas imagines ligneas vel tintas coloritas auratas» (Tambini, 1984, p. 15 n. 25), della quale non è pervenuta traccia. Il compenso di cento ducati d’oro sarebbe stato raccolto portando l’opera, una piccola macchina scenica, di città in città.
Alcuni atti imolesi (1484-87) riguardano le vicende patrimoniali della figlia Isabetta, vedova di Francesco di Alberto Checchi da Forlì, già castellano della rocca di Forlì.
Nel dicembre 1487 il «providus vir Magister Francischus […] civis Imolae pictor sanus» dettava il proprio testamento, nel quale disponeva di essere sepolto nella già citata chiesa di S. Maria delle Grazie a Imola, destinando altresì «una telam pictam cum passione domini nostri Jesu Christi» al frate guardiano del convento (Tambini, 1984, p. 16 nota 25).
Un precedente atto dell’ottobre dello stesso anno documenta come Pelosio avesse realizzato, a fianco del non meglio identificato pittore Antonio Burchiello da Reggio, un’opera di piccolo formato con lo stesso soggetto, analogamente dispersa, ma nuovamente finalizzata a essere esibita «ab uno loco ad allium locum causa illam demonstrandi et cum ea super lucrandi» (Tambini, 1984, p. 16 nota 25).
Pelosio morì, probabilmente a Imola, in un periodo compreso tra il dicembre 1487 e il 26 novembre 1488, data in cui risulta già defunto.
Tra gli esponenti di spicco, insieme a Guidaccio da Imola, della pittura del primo Rinascimento della città emiliana, il suo profilo, ampliato da Longhi (1934) con aperture verso Piero della Francesca e l’orizzonte ferrarese, è stato poi attenuato da Zeri (1976, p. 57) al rango di «debole persona» (così già Testi, 1915, p. 351). Ciò nonostante, la sua figura va piuttosto compresa nel contesto in cui si trovò ad operare, portavoce di una cultura ancora imbevuta di reminiscenze tardogotiche, ma che ebbe anche un peso nella diffusione delle istanze figurative di marca veneziana tra l’Emilia orientale e la Romagna.
Fonti e Bibl.: L. Testi, La storia della pittura veneziana, II, Il divenire, Bergamo 1915, pp. 551-554; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, Leipzig 1932, p. 370; R. Longhi, Officina ferrarese, Roma 1934, in Id., Opere complete, V, Firenze 1968, pp. 21, 30, 194; L. Becherucci, in Mostra di Melozzo e del Quattrocento romagnolo (catal., Forlì), Bologna 1938, pp. 73, 76; Ead., Opere di F. P., in Le Arti, V (1942), pp. 16-24; F. Filippini - G. Zucchini, Miniatori e pittori a Bologna. Documenti del secolo XV, Roma 1968, p. 59; F. Zeri, Diari di lavoro 2, Torino 1976, pp. 55-57; A. Tambini, Un pittore veneziano a Imola: F. di B. P., in Paragone, XXXV (1984), 415, pp. 3-19 (con bibl.); Ead., Tre tavole inedite del Quattrocento imolese, ibid., XXXVII (1986), 431-433, pp. 18-23; M. Lucco, P., F., in La pittura in Italia. Il Quattrocento, a cura di F. Zeri, II, Milano 1987, p. 730; G.P. Cammarota, in La Pinacoteca di Imola, Bologna 1988, pp. 108 s.; W. Angelelli - A.G. De Marchi, Pittura dal Duecento al primo Cinquecento nelle fotografie di Girolamo Bombelli, Milano 1991, p. 235 nota 482; A. Tambini, Spigolature sulla pittura di Imola tra Quattro e Cinquecento, in Studi romagnoli, LIII (2002) [2005], pp. 41-55; A. Mazza, in Pinacoteca nazionale di Bologna, I, Dal Duecento a Francesco Francia, a cura di J. Bentini - G.P. Cammarota - D. Scaglietti Kelescian, Venezia 2004, pp. 267-270 (con bibl.); O. Pujmanová, in Italian Painting c. 1330-1550, I, National Gallery in Prague, II, Collections in the Czech Republic. Illustrated Sumary Catalogue, a cura di O. Pujmanová - P. Přibyl, Prague 2008, pp. 369 s.; M. Minardi, in Melozzo da Forlì. L’umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello (catal., Forlì), a cura di D. Benati - M. Natale - A. Paolucci, Cinisello Balsamo 2011, pp. 96-99; C. Cavalca, La pala d’altare a Bologna nel Rinascimento. Opere, artisti e città, 1450-1500, Cinisello Balsamo 2013, pp. 21, 273, 339-341.