DELLA VALLE, Francesco
Nacque ad Aiello, presso Cosenza, e non nel capoluogo, come pure è stato sostenuto (in un sonetto Alla città di Cosenza dice chiaramente: "presso al tuo seggio hebbi la cuna"). L'anno di nascita è incerto, ma non dovette essere molto lontano dal 1600, se nel 1617 si parlava del D. come di un "giovane ingegno".
Per motivi a tutt'oggi ancora oscuri, fu esiliato dalla città natale e riparò a Roma (il riferimento più preciso in un sonetto dello stesso poeta: "l'amor pregio e l'odio altrui non curo. Di vendetta il mio cor vago non rende antica offesa"). Le sue Rime (1617 e 1622), pur restando molto vaghe riguardo ai particolari biografici, consentono di precisare che il D. giunse a Roma molto giovane e che non vi trovò le condizioni favorevoli nelle quali aveva sperato (più volte torna a lamentarsi della sua "fortuna avara" ed è sempre alla ricerca di un protettore). Di certo non vive di poesia, e lo dice a chiare lettere l'editore Alessandro Zannetti ' che pubblicò nel 1622 la seconda edizione delle sue Rime: "egli professa d'attendere ad altro più che a questo essercitio, del quale si vale per mero trattenimento" (p. 5; non si conosce però quale fosse l'altro "essercitio"). Se pure qualche volta si lascia andare a toni sdegnosi ("... a null'aspiro, / ma del mondo spregiando il fiero sdegno, / la favola' del mondo ascolto, e miro"), non è da crederli espressione di un distacco intimamente e realmente vissuto: è sempre pronto a dispensare sonetti, stanze e canzoni d'occasione a cardinali neoeletti o a principi di passaggio.
Di un viaggio a Napoli ci informa lo stesso D. in un sonetto (Scrive da Napoli ad un suo amico la cagione perché non era tornato a Roma), dove tra l'altro chiarisce che la sua era stata piuttosto una fuga: "e venni del destin fuggendo l'ira / del bel Sebeto alle contrade amene", e ancora: "serba la sorte mia sempre un tenore, / onde son fatto in variar confine / scherno là di fortuna e qui d'Amore". E a Napoli esce la prima edizione delle Rime (la dedica a Ferdinando Gonzaga, duca di Mantova, è però datata "Roma a, dì 3 di gennaro 1617"), ma il fatto che quell'edizione si sia poi rivelata molto scorretta e che la seconda parte non sia stata nemmeno stampata (o, se stampata, non fu messa in circolazione; dice infatti lo Zannetti, presentando la sua edizione, "havendo dunque ristampato la Seconda Parte delle Rime del Sig. Francesco della Valle, che per la scorrettione della prima impressione non fu publicata ...", p. 4) lascia credere che il soggiorno napoletano non si sia prolungato fino alla stampa dell'opera. E infatti l'anno successivo il D. è di nuovo a Roma, già rappacificato con quell'ambiente, nell'atto di dedicare a Paolo V un sonetto sulla cometa apparsa nel novembre.
Le Rime, la maggiore tra le sue opere poetiche, si suddividono in due parti: la prima è quella edita nel 1617 a Napoli (dove, comprendeva 200 sonetti, 6 canzoni e 3 stanze) e poi di nuovo a Roma nel 1622 (con l'aggiunta di 24 sonetti e di i stanza); la seconda (208 sonetti, 7 canzoni, 3 stanze e i sestina) edita solo a Roma nel 1622. Nell'edizione napoletana i componimenti sono nettamente divisi in base all'argomento, per cui le liriche d'amore sono tutte raccolte nelle prime 86 pagine e quelle d'occasione nelle successive; in quella romana invece le liriche sono raggruppate in piccoli nuclei (dedicate a principi, a conti, a cardinali, ecc.), alternati con le varie fasi di una storia d'amore che perde cosi la sua primitiva veste di "narrazione". Il risultato è che nel 1622 la prima e la seconda parte, simili già nel numero e nel tipo di componimenti, presentano un'uguale organizzazione interna e, per di più, riprendono la stessa storia d'amore con le stesse - e tradizionali - scansioni: innamoramento, indifferenza della donna e sua lontananza, tentazione da parte di un'altra donna, morte dell'amata e rifiuto dell'esperienza amorosa. La seconda risulta semplicemente una duplicazione della prima, e una duplicazione che, non motivata né sostenuta da un adeguato corredo di variazioni tematiche e formali, resta quasi fine a se stessa. Se a questo si aggiunge che il D. si rifà al canone linguistico più tradizionale, quello petrarchesco, e da quello mutua tutto il repertorio delle immagini con rare sortite (del resto anch'esse canoniche) nel lessico dantesco, non si avrà difficoltà a concludere che quell'esperienza, se anche non fu del tutto frutto di inimaginazione letteraria, ai modelli letterari si conformò molto e il più delle volte passivamente.
La militanza letteraria del D. trovò la sua espressione più naturale nell'ambiente accademico: iscritto ad una delle accademie romane più autorevoli e prestigiose, quella degli Umoristi, in essa diede prova quotidianamente di una vena facile e al tempo stesso, stando almeno all'Eritreo, non superficiale. Di un'amicizia tra il D., G. B. Marino e Antonio Bruni, tutti umoristi, sulla base di una lettera del Marino al Bruni, nella quale si menziona il D., ha parlato l'Eritreo e, sulla sua scorta, lo Spiriti. Ma la cosa sembra essere piuttosto episodica, e se di amicizia si può parlare, essa sarà di certo posteriore al 1622 e connessa con la pubblicazione di un'altra opera del D., Le lettere delle dame e degli eroi. Infatti, scrivendo il 4 giugno 1622 da Parigi a Giacomo Scaglia, il Marino dice di aver avuto notizia della pubblicazione di un libro di epistole in versi "di non so chi ... E se bene son più che sicuro che costoro sono ingegni ordinari e non escono dal triviale. Non posso tuttavia non alterarmene, poiché dovrebbero vergognarsi di prendere i soggetti gia occupati, essendone molte delle mie date in volta a penna da quindici anni in qua che son fatte" (Lettere, pp. 311 s.). Ma una volta visto il libro, l'ingegno del D. non dovette più sembrargli così "ordinario" e comunque l'azione non così offensiva da impedire quei rapporti personali documentati dalla lettera al Bruni.
Le lettere delle dame e degli eroi (Venezia 1622 e 1626, con una Nuova aggiunta del 1627) sono una raccolta di componimenti poetici in terzine preceduti da un breve "argomento" in prosa. Sulla scorta di una nutrita tradizione (rappresentata, tra gli altri, dalle Epistole eroiche del 1569 di Andrea Salvadori, dalle Epistole Heroide. Lettere sopra il Furioso ... del 1584 di Marco Filippi e dalle Lettere di Rodomonte a Doralice del 1619 dello stesso Marino; il Bruni pubblicherà un libro di Epistole eroiche nel 1626), nella quale i soggetti dell'epica ariostesca e tassiana si innestavano su motivi più propriamente ovidiani, il D. scrisse venti componimenti (quindici nelle edizioni del 1622 e del 1626, cinque nella Nuova aggiunta), che accanto alle presenze boiardesche e strozziane registrano anche quella di un minore come Francesco Bracciolini dell'Api, anch'esso umorista.
Del D. (la cui scomparsa prematura è lamentata dall'Eritreo: 〈i in ipso enim aetatis fiore decessit") non si ha più notizia dopo il 27 marzo 1627, quando pubblicò una lunga canzone in una raccolta di liriche in memoria di Sitti Maani Gioerida, moglie del nobile Pietro Della Valle.
Opere: Rime, Napoli 1617 e Roma 1622; Le lettere delle dame e degli eroi, Venezia 1622; liriche del D. pubblica il Guccimanni nella sua Raccolta di sonetti d'autori eccellenti, Ravenna 1623; Nuova aggiunta alle Lettere, Venezia 1627; la canzone in memoria della Gioerida, in Funerale della Signora Sitti Maani Gioerida Della Valle, Roma 1627
Fonti e Bibl.: G. B. Marino, Lettere, a cura di M. Guglielminetti, Torino 1966, ad Ind.; I. N. Erythraei [G. B. Rossi] Pinacotheca imaginum illustrium..., 1,Coloniae 1645, pp. 252 s.; E. D'Amato, Pantopologia calabra, Napoli 1725, p. 40; S. Spiriti, Mem. degli scrittori cosentini, Napoli 1750, pp. 130 s.; G. I. Ferrazzi, Bibliogr. ariostesca, Bassano 1881 p. 157;B. Croce, Lirici marinisti, Bari 1910, pp. 39-44, 528;M. Maylender, Storia d. accademie d'Italia, V, Bologna 1926, p. 377;A. Piromalli, Poeti lirici calabresi dal Due al Novecento, s. l. 1952, pp. 22 ss.;C. Jannaco, Il Seicento, Milano 1963, pp. 180, 290;A. Piromalli, La letteratura calabrese, Cosenza 1965, pp. 91s.