DEL TUPPO, Francesco
Nacque nel 1443, o al più tardi l'anno seguente, da Giacomo e da Ilaria "de Scarfellitis", residenti a Napoli nel "seggio" di Porto "in loco ubi dicitur e la piazacta".
Il padre, notaio, era funzionario regio già con Giovanna II; appoggiò il partito aragonese e ciò gli valse la protezione di Alfonso e la conferma degli uffici al servizio della corte. Notai e funzionari regi furono anche i due fratelli del D., Gaspare e Antonio.
Il D. sembrava avviato ad una brillante carriera curiale quando nel 1453 venne accolto a corte per esservi educato da maestri spagnoli: per gli studi di grammatica Melchiorre Miralles e per quelli di logica e filosofia il teologo Ferrante di Valenza, confessore del re. Il D. dovette impegnarsi con profitto negli studi: nell'estate del 1456 fu uno dei cinque giovani presentati da Alfonso d'Aragona al legato pontificio cardinal L. Scarampo con il lusinghiero commento "hic est meus thesaurus" e forse nello stesso anno fu anche inviato con due compagni presso Callisto III perché li esaminasse.
L'adolescenza del D. si svolse dunque sotto ottimi auspici: secondo quando egli afferma nella dedica della Repetitio de iure iurando di Giovanni da Imola (Hain, Reper. bibl., 9154) era lo stesso re ad esortarlo: "Stude, Francisce, stude ... narri locum tibi paratum per me cruditum hominem petit". Le sue aspettative dovevano risultare però deluse a causa della morte di Alfonso (1458) e della grave crisi istituzionale ad essa seguita e segnata dal primo conflitto fra Ferdinando ed il baronato del Regno; scrisse il D. di Alfonso nella dedica citata "Ut filium proprium me tractabat pollicitus mihi grandia si mors amara sua non apparuisset".
Morendo, Alfonso d'Aragona avrebbe raccomandato il D. al suo successore, ma la prima testimonianza a noi nota della benevolenza di Ferdinando data al 1469 quando al D., ormai venticinquenne, viene concesso l'ufficio di "scrivano de le jostre" con provvigione annua di 12once; più tardi vennero altri segni di favore e a partire dal 1477 egli poté fregiarsi del titolo di "familiaris" del re.
La morte di Alfonso dovette forse anche comportare per il D. l'impossibilità di completare la propria educazione con studi universitari: egli infatti si qualificò costantemente nei colophones delle sue edizioni "legurri studens" e, più tardi, "legurri studiosus", ma non conseguì mai il dottorato. Una breve parentesi universitaria nella sua vita si aprì nel 1473 quando fu uno dei trecento studenti che nello Studio napoletano assistettero alle lezioni di Antonio D'Alessandro, ma questo episodio più che preludere a una ripresa degli studi costituì il presupposto per quella svolta decisiva nella sua vita che ne fece uno dei principali protagonisti della nascente industria tipografica napoletana. A infatti proprio con l'edizione dei Reportata di Antonio d'Alessandro (Hain, 811) che per la prima volta il suo nome si associa a quello del chierico e tipografo di Strasburgo Sisto Riessinger.
Il Riessinger, dopo una breve sosta a Roma, nel 1471 si era stabilito a Napoli e vi aveva inaugurato la prima officina tipografica del Regno. Qui infatti si presentavano le condizioni ideali per lo sviluppo della nuova arte: alla politica di Ferdinando, tendente ad incrementare le attività imprenditoriali nella capitale del Regno, si coniugavano, nel settore specifico, le condizioni favorevoli indotte dalla riapertura dello Studio, che determinava una forte richiesta di libri, specie nel settore giuridico. L'attività della tipografia riessingeriana si qualificò immediatamente per la quantità e la qualità delle scelte operate nel settore della letteratura giuridica affiancando classici commentatori (Bartolo, Baldo, Andrea d'Isernia) ad opere di contemporanei.
L'ingresso del D. nel campo dell'editoria è segnato appunto dalla sua partecipazione all'edizione dei Reportata di Antonio D'Alessandro (stampati in data 21febbr. 1474) in veste di correttore del testo e di parziale finanziatore delle spese. Da questo momento si avviò fra l'intellettuale napoletano e il tipografo tedesco una proficua collaborazione destinata a protrarsi fino al 1478 quando, tornato il Riessinger a Roma, il D. proseguì in proprio e per altri venti anni l'attività editoriale.
A testimoniare tale attività ci restano cinquantanove edizioni in parte firmate, in parte attribuibili alla di lui stamperia, di cui un buon numero venne pubblicato con l'intervento di finanziatori. In particolare, un gruppo di sette edizioni fu stampato fra 1478 e 1480 nella tipografia del D. per conto di Bernardino Geraldini reggente della Vicaria e consigliere di Ferdinando. Con le sue cinquantanove edizioni complessive il D. si qualificò come il più prolifico degli editori e stampatori attivi a Napoli nel Quattrocento; egli, inoltre, è quello nel cui catalogo è presente il maggior numero di edizioni di testi volgari (venti).
Della collaborazione fra il D. e Sisto Riessinger negli anni 1474-78 ci restano undici edizioni, di cui nove di opere giuridiche con le due sole, pur notevolissime, eccezioni, costituite dalla stampa della perduta editio princeps del Novellino di Masuccio Salernitano (1476; Hain, 10.885) e da quella del Filocolo di Giovanni Boccaccio (Hain, 329 che precede lo scioglimento della società. È bene tenere presente, tuttavia, che la società fra il D. e Sisto Riessinger non ebbe carattere vincolante per i due: infatti, mentre il tipografo di Strasburgo negli stessi anni stampava una dozzina di edizioni per conto proprio e di altri, il D. utilizzava la tipografia di B. Rihing per la stampa, nel 1475, del commento di Floriano Sampieri al secondo libro del Digesto (Hain, 7187), e nel 1478 firmava la dedica a Diomede Carafa del Confessionale di s. Antonino (Hain, 1181, 1222) stampato da Giovanni Adamo di Polonia e Nicola Iacopo de Luciferis. Ciò si spiega in quanto la società col Riessinger, nella quale il D., oltre ad assumersi parte degli oneri finanziari, svolse anche talvolta il ruolo di correttore, dovette per quest'ultimo ben presto costituire un aspetto, sia pure precipuo, di una più generale attività di commerciante di libri. Conferme in questo senso sono offerte dal colophon della citata edizione del commento del Sampieri "de propriis sumptibus Francisci Tuppi parthenopei ... in patulum distribui curavit", dalla richiesta di esenzione dei diritti di passo e dogana dallo stesso avanzata alla Regia Camera della Sommaria nel 1477 per libri a stampa spediti per la vendita nelle province del Regno, e dalle "litterae passus" a più riprese concessegli per il trasporto di libri.
Alcune delle edizioni stampate dal Riessinger in società col D. hanno una dichiarata destinazione universitaria: "in fiorenti Studio" (ibid., 811), "ob utilitatem almi Studii parthenopei" (Gesamtkatalog der Wiegendrucke, 1226, 3658); altre appaiono invece organiche al programma di riforma dell'amministrazione del Regno avviata da Ferdinando I: è il caso dei Ritus Magnae Curiae Vicariae (due edizioni: D. Reichling, Appendices ad Hainii-Copingeri Repert. bibliographicum, 309 e Hain, 5665), delle Constitutiones federiciane (Hain, 5665, I) e di Carlo e Roberto d'Angiò (ibid., 5665, II). Nel colophon delle Constitutiones angioine è chiaramente espressa la funzione civile attribuita alla diffusione a stampa di queste raccolte di leggi in quanto funzionali ad una corretta amministrazione della giustizia in tutto il Regno e perciò strumento indispensabile per la realizzazione di un regime di uguaglianza dei sudditi nei confronti del potere centrale considerato presupposto irrinunciabile alla realizzazione della pace sociale. R questo un tema ampiamente sviluppato dal D. nella dedica al sovrano della seconda edizione dei Ritus Magnae Curiae Vicariae (1479; Hain, 5665) ed è con gli attributi di "iustitiae cultor" e "iustitiae zelator" che Ferdinando compare costantemente nei colophones delle edizioni deltuppiane.
Partito da Napoli nel 1478 Sisto Riessinger, il D. ne rilevò le attrezzature per continuare in proprio l'attività tipografica e a tal fine dovette assumere come compositore Martino da Amsterdarn: questi infatti, in una testimonianza resa intorno al 1491 ad un processo intentato contro il D. da Leonardo Caracciolo, dichiarava di essere da quattordici anni al servizio dell'editore napoletano. La fine della collaborazione col Riessinger segnò una brusca svolta nell'attività editoriale dei D., cui si accompagno inizialmente un notevole incremento della produzione che raggiunse livelli molto alti negli anni 1478-79 (dieci edizioni) per poi decrescere progressivamente negli anni 1480-82 (in tutto sei edizioni) e apparentemente esaurirsi completamente nel biennio 1483-84, al quale non è riferibile nessuna delle edizioni a noi pervenute. Altrettanto significativi sono i dati relativi alle scelte editoriali operate dal D. negli anni 1478-82: si verifica infatti un notevole ridimensionamento della produzione giuridica, in quanto, delle diciotto edizioni attribuibili alla stamperia, solo cinque propongono testi di diritto. A fronte del decremento di questo settore sta invece un incremento della produzione di testi letterari (Filocolo e Fiammetta del Boccaccio; Commedia di Dante; Eroidi volgarizzate e l'anonimo Innamoramento di Rinaldo) cui si affianca la stampa di opere di divulgazione medico-scientifica (Libro del perché di Girolamo Manfredi e la Practica medicinae di Bernard de Gordon) e devozionali (il Quadragesimale di Bartolorneo Orsini ed il Tractatus fidei di Francesco da Gaeta, vescovo di Squillace).
La diversificazione degli indirizzi editoriali trova una prima giustificazione nella crisi del mercato dei testi giuridici che già nel 1476 il Riessinger e il D. si trovarono a fronteggiare, riuscendo a superarla solo per l'intervento di Giovanni Battista Bentivoglio, come testimonia la dedica a lui indirizzata della Lectura super usibus feudorum di Andrea di Isernia (Reichling, 364): "Caruissemus honore, caruissemus utilitate, caruissemus libertate si auxiliati nos quidem tuis fortunis et bonis ac tua pietate non fuissemus: dum libros studii nostri, licet caducos, licet non summis miniis decoratos, pignori essent proprio argento illos conservasti".
Proprio le difficoltà economiche incontrate in passato dovettero convincere il D. dell'opportunità di procurarsi dei finanziatori con i quali dividere, secondo una prassi peraltro diffusa, gli oneri ed i rischi connessi con l'edizione di testi particolarmente impegnativi: in questo senso un ruolo di assoluto rilievo svolse Bernardino Geraldini assumendosi le spese di sette delle sedici edizioni uscite in questi anni dai torchi del Del Tuppo.
D'altra parte, le disposizioni emanate da Ferdinando per promuovere il commercio librario e l'esenzione dai diritti di passo e dogana estesa nel 1475 anche ai libri a stampa, se da un lato favorivano l'attività degli imprenditori locali, dall'altro costituivano un incentivo all'importazione e al commercio di libri stampati fuori del Regno, comportando di fatto un restringimento dello spazio di mercato. Di questa situazione un riflesso si ha nelle vicende che accompagnarono l'edizione della Commedia stampata dal D. nel 1479 (Hain, 5937) e che è stata a lungo, erroneamente, ritenuta la prima edizione napoletana del poema. In questa occasione il D. incontrò una forte opposizione da parte di un ignoto ebreo, che probabilmente era un mercante e disponeva di un certo numero di copie dell'opera da smerciare, il quale con tutti i mezzi cercò di impedire che la progettata edizione vedesse la luce; la controversia fu poi risolta in favore dell'editore napoletano dall'intervento degli Eletti dei seggi cittadini. Il D. si sdebitò dedicando a loro l'edizione: la prefazione costituisce l'occasione per una violenta requisitoria antiebraica che sfrutta anche, abilmente, il clima di intolleranza determinatosi in seguito all'uccisione del beato Simone pretestuosamente attribuita dal vescovo di Trento alla comunità ebraica. Ma nella dedica non c'è solo questo: in realtà i toni violenti con i quali il D. denuncia l'"hebraica pravità" servono a meglio far risaltare i meriti dell'editore che con la propria opera ritiene di aver contribuito non poco al prestigio del Regno ed alla gloria del re stesso "quale in omni libro sta nominato".
Èevidente che qui l'editore napoletano utilizza tematiche ampiamente diffuse nella cultura contemporanea e abbondantemente sfruttate da altri editori, ma è anche vero che egli fu l'unico a Napoli a fare un uso frequente della prefazione nelle proprie edizioni, e a sfruttare tale spazio per presentare Ferdinando come il principale garante dei diritti dei suoi sudditi: un'immagine perfettamente consona ai programmi di un re che vide continuamente insidiato il proprio ruolo da un baronato riottoso. Quando con la cosiddetta "congiura dei baroni" lo scontro divenne aperto e Ferdinando fu costretto a sedare con la forza e il tradimento, nel sangue, la ribellione, allora egli ricorse proprio al D. perché provvedesse a stampare il testo dei processi contro i principali congiurati per poi provvedere a diffonderli presso tutte le corti d'Europa, in modo che la repressione si giustificasse come un atto di giustizia. Per il D. i processi contro i baroni si risolsero in un grosso affare: per la stampa del testo di quello istruito contro Antonello Petrucci e Francesco Coppola (Hain, 13.382) ricevette 120 ducati di cui 83 per le spese di stampa e 37 per le duecento copie consegnate alla corte, per quella del processo contro Pirro Del Balzo, Antonello Sanseverino e Girolamo Sanseverino, di cui furono fatte due tirature in sei mesi (Hain, 13.383; e Reichling, 691) ricevette 450 ducati per mille copie.
Due sole edizioni testimoniano oggi l'attività della tipografia del D. negli anni 1481-82, mentre il non esserci pervenuta alcuna edizione riferibile al biennio successivo sembrerebbe suggerire una crisi o comunque un ridimensionamento di essa. Premesso che l'assenza di stampe databili a quegli anni non è elemento sufficiente a documentare una pausa nella sua attività editoriale, va sottolineato che alcuni episodi sembrano avvalorare l'ipotesi di un suo rallentamento e comunque segnalare una fase di rinnovamento.
Nel 1485 il D. pubblicò il proprio volgarizzamento dell'Aesopus moralisatus e della Vita di Esopo che lo precede (Hain, 353), dedicandolo ad Onorato Caetani al cui intervento finanziario si doveva l'edizione: "et sì stato causa collo tuo aiuto et roba farmelo mectere in luce". L'Aesopus è stampato con caratteri romani appartenenti ad una serie nuova rispetto a quelli usati per le precedenti edizioni; allo stesso modo, sempre a partire dal 1485, il D. farà uso di due nuove serie di caratteri gotici. Al rinnovo del corredo tipografico fece seguito il trasferimento della tipografia in una casa situata nel "seggio" di Capuana, all'incrocio del vico de' Zuroli col vico S. Chiara, casa acquistata dal D. circa intorno al 1486 dal fratello Gaspare e per il cui possesso nacque poi una controversia giudiziaria con Leonardo Caracciolo, destinata a protrarsi dal 1491 al 1497.
Un'altra controversia giudiziaria relativa ad accordi non rispettati per la stampa di un messale oppose, fra 1487 e 1493, il D. a Giovan Marco Cinico, il copista della biblioteca reale che nel 1476 gli aveva procurato l'esemplare del Novellino da lui dato alle stampe. La lite si risolse in favore del D. al quale venne riconosciuto un indennizzo di 94 ducati (T. De Marinis, La Biblioteca napoletana dei re d'Aragona, I, Milano 1952, p. 44). Esito più felice ebbe invece la società editoriale fra il D. e il "magister stampae Cristianus teotonicus", da identificarsi con Cristian Preller anche se a noi non sono giunti, o non sono riconoscibili, i prodotti di questo accordo.
L'edizione della Vita e favole di Esopo inaugura l'ultima fase dell'attività del D. e costituisce anche l'unica testimonianza di un suo impegno letterario, dal momento che i versi da lui composti in onore di Alfonso principe di Calabria sono andati perduti (cfr. la dedica dei Ritus Magnae Curiae Vicariae, Reichling, 309).
Nel volgarizzare le favole di Esopo il D. si accostava ad un testo di grande e continua fortuna in tutto il Medioevo e che già aveva conosciuto un buon numero di edizioni a stampa sia nella redazione latina sia nella versione di Accio Zucco: dovette essere proprio ilsuo partecipare ad una cultura media e attardata, che va di pari passo con la sua marginalità rispetto ai circoli umanistici napoletani, a suggerirgli di accostarsi ad un testo di salda tradizione scolastica e di grande impatto. Nel volgarizzare l'Aesopus, il D. si rivela scrittore non dotato di particolari mezzi espressivi: la sua prosa raggiunge gli esiti più felici nel racconto della vita, anche se nell'uso del mezzo linguistico non riesce ad andare oltre la contaminazione del dialetto napoletano con latinismi presi di peso dal suo modello e con forme e vocaboli letterari.
Maggiore impegno ed originalità il D. dispiegò nella traduzione delle favole, sforzandosi di incrementare la funzione moralisticodidattica del testo, arricchendolo di un complesso apparato originale di carattere didascalico-narrativo, col quale tendeva a confermare ed attualizzare i contenuti dell'apologo attraverso lo svolgimento della morale (tropologia) accompagnato da un proprio commento e dal racconto di vicende esemplari. L'edizione dell'Aesopus si presenta arricchita da un eccezionale corredo iconografico che ne fa uno dei prodotti più interessanti dell'arte tipografica, napoletana: si tratta di ottantotto xilografie (ventitré ad illustrare la Vita e sessantacinque le Favole) e di un froniespizio che incornicia la pagina sui quattro lati, opera di un anonimo incisore attivo a Napoli fino al 1492 e probabilmente originario dell'Europa settentrionale, in quanto nelle sue realizzazioni si incontrano elementi propri della miniatura francese e fiamminga uniti a motivi ornamentali derivati dalla miniatura spagnola.
All'ultima fase dell'attività editoriale del D. sono riconducibili ventinove edizioni, nella maggioranza di opere di facile smercio e a volte ristampe di edizioni apparse presso altri tipografi: l'ultima di queste, il Breviarium Aversanum (Gesamtkatalog, 5270), è databile al 1494, anteriormente alla morte di Ferdinando d'Aragona. Con la crisi della dinastia aragonese non dovette però cessare completamente l'attività della tipografia perché nel 1498, durante il breve regno di Federico, il D. venne incaricato della stampa di centodue copie di una prammatica e di centocinquanta di una "protesta" del re contro Antonello Sanseverino da distribuirsi nel Regno ed in Europa, da cui ricavò un compenso complessivo di 16 ducati.
Il D. ebbe una figlia, Ilaria, che sposò il musico e familiare di Federico d'Aragona Pietro di Bruges: nel 1499 il D. fu chiamato in causa dal genero che reclamava il pagamento della dote e con sentenza del 16 sett. 1500 venne condannato a pagare il dovuto.
L'ultimo documento che attesta il D. come ancora vivente è un contratto rogato in data 4 genn. 1501 nel quale compare come testimone; non si hanno testimonianze più tarde che egli fosse ancora in vita.
Edizioni: gran parte delle prefazioni del D. sono state pubblicate in M. Fava-G. Bresciano, La stampa a Napoli nel XV sec., II, Leipzig 1912, pp. 36-67; l'edizione della sola Vita di Esopo è in Masuccio Salernitano, IlNovellino (con append. di prosatori napolet. del '400), a cura di G. Petrocchi, Firenze 1957, pp. 457-530, mentre un'edizione integrale del volgarizzamento basata sulla princeps è stata curata da C. De Frede: Aesopus, Vita et fabulae, Napoli 1968.
Fonti e Bibl.: C. Minieri Riccio, Biografie degli accademici alfonsini detti pontaniani, Napoli s.a. [1882], pp. 35-38; C. De Lollis, L'Esopo di F. D., Firenze 1886 (con l'edizione di alcune favole); G. Rua, Di alcune novelle ined. dell'"Esopo" di F. D., Torino 1889; E. Percopo, Nuovidocumenti sugli scrittori e gli artisti dei tempi aragonesi, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XVIII (1893), pp. 533 ss.; G. Persico Cavalcanti, La prima edizione napol. della Divina Commedia, in Riv. delle biblioteche e degli archivi, IX (1898), pp. 1-5; M. Fava-G. Bresciano, La stampa a Napoli, cit., I, Leipzig 1911, pp. 28-46; A. Mauro, F. D. e il suo "Esopo", Città di Castello 1926; L. Donati, Di alcune ignote xilografie del XV secolo nella Biblioteca Vaticana, in Gutenberg Yahrbuch, IX (1934), pp. 73-106; Id., Discorso sulle illustrazioni dell'"Esopo" di Napoli, in Bibliofilia, L (1948), pp. 53-107; G. Petrocchi, Masuccio Guardati e la narrativa napoletana del Quattrocento, Firenze 1953, pp. 21-35; Testi non toscani del Quattrocento, a cura B. Migliorini-G. Folena, Modena 1953, pp. 112 ss.; B. Migliorini, Panorama dell'italiano quattrocentesco, in Rassegna della letteratura ital., LIX (1955), pp. 193-231; C. De Frede, Sul commercio dei libri a Napoli nella prima età della stampa, in Boll. dell'Istituto di patol. del libro, XIV (1955), pp.62-78; S. Gentile, Postille ad una recente ediz. di testi narrativi napoletani del Quattrocento, Napoli 1961, pp. 13-16, 28-33; R. Frattarolo, Studi di bibliografia stor. e altri saggi, Roma 1977, pp. 113-17; P. Giannantonio, Il "Novellino" di Masuccio e l'"Esopo" di F. D. in Masuccio novelliere saternitano dell'età aragonese. Atti del Convegno, Salerno 9-10 maggio 1976, I, Galatina 1978, pp. 109-33; M. Santoro, La stampa a Napoli nel Quattrocento, Napoli 1984, pp. 39-43; P. Farenga, La volgarizzazione della storia nell'"Esopo" di F. D., in Atti del Convegno su "La storiografia umanistica", Messina, 22-25ott. 1987, in corso di stampa.