DEL FURIA, Francesco
Nacque a Pratovecchio (prov. di Arezzo) da Paolo e Margherita Mercatelli il 28 dic. 1777. Terminati gli studi elementari, nel 1788 A. M. Bandini, bibliotecario della Laurenziana di Firenze, che lo aveva conosciuto a Pratovecchio dove si trovava a villeggiare, lo condusse a Firenze per aiutarlo a continuare gli studi nei quali già eccelleva e, in seguito, lo raccomandò a monsignor A. Franceschi, arcivescovo di Pisa, che lo sistemò nel seminario di S. Caterina a spese del granduca Ferdinando III. Qui il D. rimase dal 1792 al 1798, esercitandosi nello studio delle lettere classiche e semitiche sotto la guida dell'abate G. Fantoni; qui dette i primi saggi della sua perizia nelle lingue antiche, traducendo in latino l'orazione di Procopio Gazzeo in onore dell'imperatore Anastasio (poco prima ritrovata in Venezia e data alle stampe da J.-B. d'Ansse de Villoison), e nel dicembre 1797 augurò il buon anno al Bandini con un'ode anacreontica sopra la pace (stampata con varianti nel 1814, per il ritorno in Toscana di Ferdinando III, insieme con altre poesie greco-latine: Bello exstincto pacibus perfectis Ferdinando III..., Firenze 1814). Il 6 sett. 1798 passò nel convento di S. Pancrazio di Firenze, dove sotto la direzione del padre Romualdo Maria Tacci si dedicò allo studio delle lingue arabica e siriaca.
Le intenzioni del Bandini nei confronti del suo pupillo si leggono nel testamento: egli voleva che il D. fosse "provvisto di un posto di lingue orientali, ascritto al ruolo de' professori di Pisa per risedére come altri fanno in Firenze alla custodia della celebre raccolta di codici orientali adunati dagli eroi medicei, e che dal reale palazzo di Pietro Leopoldo I furon fatti passare alla Laurenziana". L'intenzione si realizzò presto: proprio quando la fortuna sembrava averlo abbandonato per la partenza dalla Toscana del suo protettore Ferdinando III e del cambiamento del quadro politico, nel 1801 il D. assunse in Marucelliana l'incarico di vicebibliotecario rimasto vacante, e il 18 ag. 1802 si sostituì al can. Francesco Pasquale Buoni e nelle funzioni di vicebibliotecario della Laurenziana (che il Buoni aveva dal 1797) e nell'insegnamento della lingua greca presso lo Studio fiorentino. Fino a che, con la morte del Bandini esattamente un anno dopo, il D. fu eletto a sovrintendere entrambe le biblioteche.
Il Bandini lasciò dunque al suo protetto, oltre a un'annua pensione, l'importante eredità di queste due biblioteche fiorentine, che il D. continuò a reggere per tutta la vita: e per lui il D. scrisse il necrologio (pubblicato poi in E. De Tipaldo, Biografie degli italiani illustri, I, Venezia 1834, pp. 138-56; ripubbl. con "note e aggiunte del can. Dionisio Brunori in occasione dell'apertura del nuovo Museo Bandiniano", Fiesole 1913).
Bibliotecario, lettore di lingua greca, e dal 1812 accademico della Crusca: la sua vita, i suoi interessi, i suoi studi ruotano tutti intorno a queste tre attività nelle quali fu infaticabile e sempre molto assiduo.
Come bibliotecario, ebbe presto un compito notevole: nel 1808, unita la Toscana all'Impero francese, e quindi aboliti in Toscana come altrove i conventi, il D. fu incaricato dalla giunta imperiale, insieme con altri collaboratori, di esaminare il materiale per formare una "nota delle cose più belle da conservarsi". Tra i manoscritti, passati poi alla Biblioteca Laurenziana, ce n'era uno, presto casus belli di una incresciosissima vicenda, meglio nota come la "questione della macchia". In questo codice il D. trovò un Esopo, che pubblicò quasi subito. Un altro filologo francese, Paul-Louis Courier, che esaminò il manoscritto quando ancora si trovava alla badia fiesolana, vi aveva trovato un inedito sconosciuto di Longo Sofista, che in seguito sottopose al D. perché, insieme con Gaspero Bencini lo aiutasse nella trascrizione, poi pubblicata dallo stesso Courier. Il codice, proprio alle carte contenenti l'inedito, fu deturpato da una macchia d'inchiostro mentre veniva consultato dallo studioso francese: il D. accusò il Courier di avere deteriorato il prezioso codice con intenzione, affinché nessun altro potesse adoperarlo, e nel 1810 pubblicò una lettera al sig. Domenico Valeriani: Della scoperta e subitanea perdita d'una parte inedita del libro I de' Pastorali di Longo, nella Collezione d'opuscoli scientifici e letterari (X, Firenze 1809, pp. 49-70), da lui fondata nel 1807 e che continuò fino al 1819.
Mentre la polemica sulla macchia si trascinò per decenni, tra accuse, contraccuse e violenti libelli (P.-L. Courier, Lettre a M. Renouard libraire sur une tache faite à un manuscript de Florence [Tivoli 1810]; Lettere di S. Ciampi, F. Del Furia e di G. Bencini intorno alcune varianti del noto supplimento di Longo, Venezia 1830), il D. continuò ad assolvere il suo compito di bibliotecario con serietà: arricchì le due biblioteche di importanti collezioni, riordinò i manoscritti e l'epistolario del Bandini in Marucelliana, continuò l'indice dei codici laurenziani che si conserva manoscritto in Laurenziana (Catalogus codicum manuscriptorum Graecorum, Latinorum, Italicorum etc. qui a saeculo XVIII exeunte usque ad annum 1846 saeculi inseq. in Bibliothecam Mediceam Laurentianam translati sunt... cui accedunt Petri De Furia... notae et additiones nonnullae, tomi 4), ricoprendo anche incarichi di Prestigio quando prese parte nel 1844 alla commissione per il riordinamento delle biblioteche fiorentine.
Numerosissime ricerche e studi su manoscritti laurenziani e marucelliani sfociarono nelle molte relazioni tenute presso la Società Colombaria, di cui fu socio e segretario perpetuo (Illustrazione di un papiro greco, pubbl. poi negli Opuscoli, cit., XVII, Firenze 1813, pp. 65-102), o in pubblicazioni a sé stanti, come Il podagroso di Luciano, traduzione inedita dell'ab. Ant. Maria Salvini, in Collezione, cit., I, Firenze 1807, pp. 54-77; dal ms. Laur. pl. 89 inf., cod. 59: Vespasiano da' Bisticci, Vite di illustri fiorentini, in Arch. stor. ital., s. 1, IV (1843), pp. 303-78, cui segue alle pp. 381-416, la Vita del re Alfonso d'Aragona, dal cod. Maruc. 76.
Questi studi svelano la vasta cultura del D., interessata a più di un aspetto della ricerca bibliotecaria ed erudita in generale, e certo per questa fu eletto deputato alla compilazione del Vocabolario della Crusca, il 31 maggio 1812, attività per la quale preparò a più riprese diverse dissertazioni, come si legge negli Atti dell'Accademia medesima (t. I-III), di cui fu anche accademico residente fino dalla rifondazione il 23 genn. 1812, e per tre volte arciconsolo nel 1821, 1839 e 1846.
Nel 1830 dovette giudicare nella sua veste di accademico le opere presentate al concorso quinquennale: istituito da Napoleone con un premio annuale di 1.000 scudi, conservato poi quinquennale dal granduca di Toscana, il concorso intendeva premiare l'opera di letteratura italiana più notevole, sia inedita sia di recente pubblicazione. Il D. già nel 1810 aveva fatto parte della commissione giudicatrice, ed ora, nel 1830, si trovò coinvolto in una accesa polemica con gli altri giurati, specie con il collega della Riccardiana G. Bencini, il quale violentemente attaccava una delle opere a concorso, le Operette morali di G. Leopardi edite per la prima volta a Milano nel 1827, che invece il D. riteneva opera degna d'attenzione. Vinse la Storia d'Italia dal 1789 al 1814 di C. Botta, ma "dopo quasi un secolo, è facile a noi riconoscere, più che non lo riconoscessero gli stessi amici del Leopardi, che la Crusca ebbe torto" (Ferretti, p. 59).
Fu buon giudice dunque il D. in questo caso: e spaziava con facilità dai contemporanei agli antichi, come quando pubblicò D. Cavalca, Specchio de' peccati ridotto a miglior lezione per opera di F. Del Furia (Firenze 1828), o come quando lesse all'Accademia della Crusca la sua famosa lezione Se il Pataffio sia opera di ser Brunetto Latini, perdimostrare che l'opera non poteva essere di Brunetto, lezione pubblicata poi nel 1829 nel t. II degli Atti dell'Accademia. Famosa davvero se si guarda all'accanimento con il quale tanti anni dopo (1921), le sue affermazioni vengono tutte contestate e smontate da Antonio Padula, in occasione del VI centenario dantesco.
In effetti il D. fu, più che un grande studioso, un grande erudito: molto calzante e la definizione di E. Sestan quando parla dei bibliotecari che collaborarono all'Archivio storico italiano, tra cui il D.: "erano brave persone, ferrate e catafratte nelle loro pedanterie, modeste, ma utili nei limiti della loro competenza, pazienti e assidue nel riempire schede e cataloghi, nel collazionare manoscritti, assorte nelle loro occupazioni cartacee".
Anche i suoi studi di letteratura greca, e più in generale di orientalistica, in parte già accennati di necessità perché continuamente si intrecciano con la sua attività bibliotecaria, non hanno lasciato una durevole traccia: si possono ricordare Dei sofisti greci, loro carattere e stato dell'eloquenza dei medesimi avanti e dopo il secolo di Costantino (in Atti d. Accademia italiana di scienze, lettere ed arti, I [1810], pp. 93-115), o la Illustrazione di un talismano arabico (nella Collezione, cit., VIII, Firenze 1809, pp. 3-24), o ancora Saggio di poesia arabica (ibid., I, Firenze 1807, pp. 9-38).
Ma anche la sua opera più consistente, l'edizione di Esopo con traduz. latina a fronte (Fabulae aesopicae quales ante Planudem ferebantur... cura ac studio F. De Furia, I-II, Firenze 1809; ediz. ripetuta poi a Lipsia l'anno successivo, in un sol volume diviso in più parti), è nelle edizioni moderne duramente criticata, specie da A. Hausrath (Corpus fabularum aesopicarum, I, Leipzig 1962, p. XVIII). Considerato però ai suoi tempi un valente grecista, l'edizione esopiana gli procurò l'associazione alla Accademia di Berlino, oltre che a ventitré accademie italiane.
Insegnava lingua e letteratura greca presso lo Studio fiorentino e, come era allora abitudine, si riuniva con altri colleghi nella libreria Magliabechiana per tenervi letture e dotte dissertazioni. Proprio in questa biblioteca, ora Nazionale centrale, sono conservati i suoi manoscritti e il suo carteggio (84 manoscritti quasi tutti di argomento filologico, classico, orientale, e volgare; quasi 2.000 lettere a lui indirizzate): li offrì al granduca la seconda moglie Teresa, ricevendo in cambio un dono di 150 zecchini, nel 1858.Il D. morì il 19 ott. 1856 a Firenze, lasciando diversi figlioli, dei quali Pietro, sacerdote, proseguì la carriera paterna al servizio della Biblioteca Laurenziana.
Fonti e Bibl.: Nella Bibl. nazionale di Firenze è il catalogo dei manoscritti del D. (Cat. mss. 66), che inventaria anche il carteggio - di cui esistono al Cat. tutte le schede - e che reca a cc. 10-13 un elenco quasi completo delle sue opere edite. Altri scritti a Firenze, Bibl. Marucelliana, C. 36. Si vedano ancora per il carteggio: Parma, Bibl. Palatina, Carteggio Pezzana (26 lett. del D. al Pezzana); Bologna, Bibl. universitaria, cod. 2087 (due lett. del D. a P. Pozzetti); Pisa, Bibl. universitaria (lett. del D. a J. Rosellini); altre lettere sono segnalate alla Biblioteca universitaria di Amsterdam da F. Novati, Lettere di D. nella collez. Diederichs di Amsterdam, in Rass. bibliogr. d. letter. ital., IV [1896], p. 19 n. Altre fonti a: Fano, Bibl. Federiciana, ms. Polidori 198 (F. L. Polidori, necrologio del D.; cfr. A. Sorbelli, Inventari..., XXXVIII, Firenze 1928, p. 148); Firenze, Bibl. Laurenziana, Archivio Laur., filze 4-6; D. Moreni, Bibliografia stor.-ragionata d. Toscana, I, Firenze 1805, p. 73; Gazzetta universale [Firenze], 11 nov. 1809; Corriere milanese, 23 genn. 1910; P.-L. Courier, Lettere dall'Italia (1799-1812). Aggiuntavi la polemica per la macchia d'inchiostro sul cod. Laurenziano con un facsimile della macchia, Lanciano 1810; G. Prezziner, Storia del pubblico Studio e delle società scientifiche e letter. di Firenze, Firenze 1810, pp. 248 ss. (ristampa anastatica Bologna 1975); L'Archivio storico italiano. Avviso e programma dei compilatori…, in Archivio storico italiano, s. 1, I(1842), pp. V-XIII; III (1842), pp. V-X; F. L. Polidori, F. D., ibid., n. s., IV (1856), pp. 248-55. Si vedano, inoltre, G. Bardelli, Elogio del cav. prof. F. D., Firenze 1857, pp. 3-29; A. Vannucci, Ricordi della vita e delle opere di G. B. Niccolini, I, Firenze 1866, p. 269 n.; C. Paoli, D'un frammento papiraceo greco già illustrato da F. D., in Archivio stor. italiano, s.4, t. VI (1880), pp. 335-36; Lettere di G. Capponi e di altri a lui, a cura di A. Carraresi, I, Firenze 1882, pp. 8, 210-21; II, ibid. 1883, pp. 35, 94 s.; H. Omont, P.-L. Courier et la tache d'encre du manuscrit de Longus de Florence, in Revue critique, n. s., X (1885), pp. 378-87; E. Teza, Quattro parole ined. di P.-L. Courier, in Cultura, VI (1885), pp. 742-49; G. Vitelli-E. Rostagno-N. Festa, Indice dei codici greci laurenziani non compresi nel catal. del Bandini, in Studi ital. di filol. classica, I (1893), p. 130; Notizie, in Riv. delle biblioteche, X (1899), p. 12; R. Gaschet, L'affaire de la tache d'encre sur le manuscrit de Longus à la Bibliothèque Laurentienne d'après des documents inédits, in Bulletin italien, VI (1906), pp. 54-73; G. Ferretti, Leopardi e la Crusca, in Giorn. stor. d. letter. ital., LXXI (1918), pp. 55 ss.; A. Padula, Brunetto Latini e il Pataffio, Milano-Roma 1921; C. Frati, Diz. bio-bibliogr..., Firenze 1934, pp. 193 ss.; Per la storia dell'"Archivio stor. italiano", in Arch. stor. ital., XCIII (1935), p. 133 (una lett. del D. a G. Polvani); D. Fava, La Biblioteca naz. centrale di Firenze e le sue insigni raccolte, Milano 1939, pp. 96, 125; E. Sestan, Lo stato maggiore del primo "Archivio storico italiano", in Arch. stor. ital., CIII-CIV(1945-1946), pp. 3, 10, 18-22; B. Righini, I Periodici fiorentini, I, Firenze 1955, p. 42 (il D. redattore de L'Ape); A. M. Salvini, Manetone, degli effetti delle stelle, a cura di R. Pintaudi, Firenze 1976, pp. 15-18, 156, 163-67.