DEL BENE, Francesco
Figlio di Bene di Bencivenni e di monna Cara Bardi, nacque probabilmente intorno all'ultimo quarto del sec. XIII, ignoriamo se a Firenze, dove la famiglia risiedeva da tempo ed aveva beni nel sesto di Borgo, o nel contado, a Peretola o a Petriolo, dove i Del Bene avevano possessi immobiliari. Rimasto orfano del padre in una data collocabile tra il 1296 e il 1298, egli venne posto sotto la tutela dello zio materno Lapo di Iacopo Bardi e di altri due mercanti, Giovanni di Donato e Lapo di Guazza. Aveva già raggiunto la maggiore età nel novembre del 1302, quando stipulò un contratto d'acquisto di un appezzamento di terreno sito nel popolo di S. Biagio a Petriolo. Dieci anni dopo seguì a Napoli lo zio Lapo, ambasciatore presso il re Roberto: partito il 30 dic. 1312, giunse a destinazione il 31 genn. 1313. Scopo di tale viaggio fu forse quello di allargare le sue conoscenze nella città campana, sino alla quale avrebbe più tardi esteso i suoi affari, inviandovi un suo agente di commercio. Nel 1315, rinchiuso nelle Stinche (le carceri fiorentine in cui venivano detenuti i prigionieri per debiti e i condannati a vita) perché, secondo quanto afferma Scipione Ammirato (copia in Carte Dei), non si era presentato in quell'anno a diverse rassegne militari, fu liberato grazie all'intervento dello zio Lapo.
Il 1° sett. 1318 costituì in Firenze, insieme con Domenico di Bartolo Bardi e con Perotto Capperoni, una compagnia commerciale intitolata "Francesco del Bene e compagni", per l'esercizio dell'arte di Calimala. Di tale compagnia non ci è pervenuto l'atto costitutivo; sappiamo tuttavia che il suo fondaco si trovava in via di Calimala, nel popolo di S. Michele in Orto, e che era di proprietà di Lapo e di Tano di messer Giovanni Chiaramontesi, ai quali la società pagava un canone annuo d'affitto di fiorini 45 d'oro.
I libri contabili della compagnia, ora conservati tra le Carte Del Bene nell'Archivio di Stato di Firenze, ci forniscono interessanti ragguagli sull'attività e sull'amministrazione dell'azienda: si tratta del Libro nero, compilato allo scopo di preparare i bilanci; del Libro delle compravendite, dove sono registrate tutte le spese e tutti gli introiti provenienti dalla vendita dei panni; del Libro entrata e uscita di cassa di contanti. Come sottolinea il Sapori in uno studio sulla Compagnia del D., quest'ultima era, per capitali e giro d'affari, un'impresa di tipo medio, una delle tante attive in Firenze, ma ben differenziata sia rispetto alle grandi compagnie dei Bardi e dei Peruzzi, degli Acciaiuoli e degli Alberti, sia rispetto alle aziende minori, che tuttavia l'arte di Calimala (l'arte del commercio internazionale) si può dir quasi non conoscesse. Pur essendo "ordinata all'ordine di Calimala", la compagnia del D. non si limitava soltanto alla contrattazione dei panni "franceschi", ma trattò anche ogni altra sorta di articoli, come partite di vino e di lino, a patto che si profilasse la prospettiva di sicuri guadagni. La compagnia fu posta in liquidazione il 1° ag. 1322, e dopo il bilancio del 31 di quello stesso mese si procedé al suo scioglimento.
Il D. accrebbe notevolmente il già cospicuo patrimonio immobiliare - costituito essenzialmente da case e da terreni - lasciatogli dal padre con acquisti fatti sia nel contado - a Peretola e a Petriolo - sia in città, dove fra l'altro comprò, nell'aprile del 1326, una casa nel popolo di Ss. Apostoli, in cui egli abitava, per 500 fiorini d'oro. Ebbe l'abitudine di annotare anno per anno, in appositi quaderni, tutte le rendite delle sue proprietà e tutte le spese di casa (vedi Pagine del libricciolo personale di Francesco Del Bene Bencivenni con intestatura anteriore all'anno 1355 (1298-1321), in Nuovi testi fiorentini del Dugento, a cura di A. Castellani, II, Firenze 1952, pp. 703-07). Come si può desumere dai documenti, faceva regolarmente prestiti a persone del contado, a lavoratori delle sue terre, ad abitanti di altre città.
Ebbe anche una parte notevole nella vita pubblica: ricoperse per due volte la carica di priore (nei bimestri agosto-ottobre 1322 e dicembre 1325-febbraio 1326). Nel luglio del 1322 ebbe l'incarico di tenere la chiave della cassa della condotta e il relativo registro dell'entrata e dell'uscita. Secondo quanto afferma Scipione Ammirato (in Carte Dei), fu gonfaloniere della Compagnia della Vipera nel 1326.
Il 9 sett. 1326 dettò il suo testamento a ser Albizo Tosi; morì cinque giorni dopo, il 14 sett. 1326, a Firenze.
Aveva sposato, come il padre, una Bardi, monna Tana, da cui aveva avuto quattro figli: due femmine, Ghetta e Lisa, e due maschi, Iacopo - che si distinse nella vita politica - ed Amerigo. Ghetta sposò Banchello di Manente Buondelmonti, portandogli una dote di 900 fiorini d'oro (11 maggio 1316); Lisa sposò Francesco di Meo Acciaiuoli, portandogli una dote di 490 fiorini d'oro (13 giugno 1328).
Anche il D., come era allora consuetudine delle persone facoltose, ebbe conti correnti presso i principali banchi fiorentini del tempo: presso quello dei Bardi, presso quello dei Peruzzi, presso quello degli Acciaiuoli. Risulta dal Libro segreto della Compagnia dei Bardi, che il D. tenne in deposito presso quella Compagnia, all'interesse del 7%, una somma che dal 1° luglio 1310 al 1° luglio 1318 oscillò sulle 10.000 libre a fiorini e che si era ridotta a circa 8.510 libre nel 1326, quando alla sua morte il conto fu intestato agli eredi. Da un quaderno di ricordanze dei suoi figli Iacopo ed Amerigo veniamo a sapere che il D. aveva estinto poco prima di morire il conto corrente che aveva presso i Peruzzi, mentre presso la compagnia di Dardano Acciaiuoli rimaneva ancora depositato a suo nome un credito di 326 fiorini d'oro, pari a libre 472 a fiorini. Un indice del cospicuo patrimonio da lui accumulato fornisce l'ingente somma di 500 fiorini d'oro, che il D. legò per testamento alla beneficenza, somma che fu distribuita dai suoi esecutori testamentari - Giotto Fantoni, della Compagnia dei Peruzzi, e Cino del Migliore, direttore contabile della Compagnia dei Bardi - fra conventi, ospedali, poveri dei vari sesti, monasteri, e per costituire la dote delle figlie di conoscenti del defunto. Fiorini 26 d'oro furono spesi per un crocifisso fatto fare per la chiesa dei Ss. Apostoli, e fiorini 6 d'oro per una tavola per l'altare di S. Biagio a Petriolo. Rivela la devozione del D. e di sua moglie Tana una pergamena rilasciata dal frate Ervevio, maestro dell'Ordine dei frati predicatori, con la quale si concedeva ai due coniugi ed ai loro figliuoli l'affiliazione al corpo mistico dell'Ordine e li si rendeva partecipi dei tesori spirituali di quest'ultimo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Dei, VIII, n. 42, cc. 4, 7v-8; Ibid., Carte Del Bene, nn. 1 cc. 3v ss., 2, 3, 4, 24, 25, 28 c. 1, 47 b. I, 50 cc. 80, 92-109, 196 ss., 200, 206 s., 239, 242; Ibid., Carte Dell'Ancisa, CC, c. 812; Ibid., Carte Pucci, II, n. 47; Ibid., Diplomatico, Acquisto Caprini, n. 79/5; Ibid., Priorista di Palazzo, cc. 42, 44v; Ibid., Priorista fiorentino Mariani, I, c. 66; Ibid., Raccolta Sebregondi, n. 569; Firenze, Arch. Ginori Lisci, Fondo Bardi, n. antico 183, cc. XVII, LXII, LXXIIv; n. antico 184, c. XXXIXv; Guerra tra' Fiorentini e Pisani dal MCCCLXII al MCCCLXV scritta in ottava rima da Antonio Pucci, in Delizie degli eruditi toscani, VI (1775), cantare III, p. 238; Marchionne di Coppo Stefani, Cronica fiorentina, in Rer. Ital. Script. 2 ed., XXX, 1, a cura di N. Rodolico, rubr. 411, p. 148; A. Sapori, Per la storia dei prezzi a Pistoia. Il quaderno dei conti di un capitano di custodia nel 1339, in Bull. stor. pistoiese, XXIX (1926), p. 96; Id., Una compagnia di Calimala ai primi del Trecento, Firenze 1932, pp. 23, 25-28, 30, 37, 38 n., 43, 46, 48, 53, 146 n., 205, 212 n., 223, 230 n., 244, 246 n., 247 n., 249, 251-55, 301, 343, 345, 355, 359 s., 373; Id., L'attendibilità di alcune testimonianze cronistiche dell'econ. medievale, in Studi di storia economica (secc. XIII-XIV-XV), I, Firenze 1955, p. 29; Id., I mutui dei mercanti fiorentini del Trecento e l'incremento della proprietà fondiaria, ibid., pp. 194, 202; Id., Case e botteghe a Firenze nel Trecento (La rendita della proprietà fondiaria), ibid., pp. 305 s.; H. Hoshino, Francesco di Iacopo Del Bene cittadino fiorentino del Trecento. La famiglia e l'economia, in Annuario dell'Istituto giapponese di cultura, IV (1966-67), pp. 31 s., 68; F. Melis, Documenti per la storia econ. dei secc. XIII-XVI, Firenze 1972, pp. 58, 105, 386, 566.