DEL BALZO, Francesco
Nacque nel 1410 da Guglielmo, conte di Montescaglioso e Bisceglie e duca di Andria (non da Giacomo, principe di Taranto, come afferma il Toppi), e da Antonia Brunforte. Sposò Sancia di Chiaramonte, sorella di Isabella, moglie di Ferdinando d'Aragona, re di Napoli, da cui ebbe Pirro, Angliberto ed Antonia.
Quando nel 1433 il principe di Taranto si volse contro Luigi III d'Angiò, protetto dalla regina Giovanna II di Napoli, il D., insieme con il padre, aderì alla ribellione dell'Orsini. Così, come "ribelli, disobbedienti e collegati, fautori e complici" di quest'ultimo, persero il bosco e il territorio di San Gervasio, vicino Venosa, e Monte Serico, che furono dalla regina concessi alla duchessa di Sessa. Si deve arrivare al 1443 per ritrovare un'altra testimonianza sul D., che in quell'anno partecipò al primo Parlamento convocato da Alfonso d'Aragona, che aveva concluso vittoriosamente l'anno prima la lotta per l'acquisto del Regno. Sceso in Italia l'imperatore Federico III, poco prima che scoppiasse la guerra diretta soprattutto contro Francesco Sforza, divenuto due anni prima duca di Milano, il D. gli fu inviato incontro, mentre egli, lasciata Roma, si dirigeva a Napoli. Il 4 ag. 1453 il sovrano lo nominava consigliere ordinario del Sacro Regio Consiglio, con la provvigione annua di 1.000 ducati.
Morto Alfonso d'Aragona (27 giugno 1458), il D. si mantenne fedele a Ferdinando, che lo inviò poco dopo presso Pio II a rallegrarsi dell'elezione ed a prestargli omaggio, insieme con Cicco Antonio Guindazzo. Mentre già era scoppiata la rivolta dei baroni, che stavano per trovare un capo carismatico in Giovanni d'Angiò, nel giugno dell'anno dopo il D. riceveva, insieme con Iacopo della Ratta, arcivescovo di Benevento, le istruzioni per andare a rappresentare il re alla Dieta di Mantova "pro cruciata et aliis negociis Regni". Erano soprattutto questi ultimi a stare a cuore al sovrano, che in alcune istruzioni dell'ottobre invitava gli ambasciatori, giunti a Mantova nell'agosto, ad adoperarsi per ottenere aiuti e consensi per la difficile situazione determinatasi nel Regno, piuttosto che ad impegnarsi per la crociata. Il D. rimase a Mantova per tutta la durata della Dieta e nel gennaio 1460 trattava con Orsatto Giustinian perché questi fornisse un prestito senza interessi al re, che l'avrebbe garantito con pegni.
Tornato nel Regno, il D. prese attiva parte alla lotta armata che vi si svolse, e quando, dopo essere stato assediato in Andria da Giovanni Antonio Orsini, gli si arrese, si rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al duca Giovanni. Non si hanno altre notizie sul D. fino al 30 apr. 1480, quando a Napoli fu uno dei testimoni dell'atto con cui re Ferdinando confermava quello del 26 sett. 1472, che fissava il matrimonio della nipote Isabella con Gian Galeazzo Sforza.
Il D. morì, secondo alcuni in fama di santità, molto probabilmente nel 1482, come afferma la lapide posta sulla sua tomba, piuttosto che nell'agosto del 1483, come sostiene Notar Giacomo (Cronaca di Napoli, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845, p. 150).
Il suo corpo è ancora custodito, mummificato, nella chiesa di S. Domenico ad Andria. Sovrasta l'arca un busto attribuito ora a Domenico Gagini, che lo rappresenta vestito da terziario con un collare su cui è inscritto il motto "Ne quid nimis" ripetuto due volte. La scultura era stata commissionata dai domenicani di quel convento per riconoscenza della protezione e degli aiuti accordati loro dal D. e posta vicino all'altare. Al momento della morte del D. essa fu collocata sopra l'arca e posta nel coro e solo in seguito ai restauri della chiesa del 1772 finì nella sacrestia, dove è ora. Il nome e le qualità del D. furono cantate in due ottave di un Poematon... de brevitate vitae humanae, anonimo rifacimento e ampliamento di una precedente Danza o Trionfo della morte, stampato posteriormente al 1488.
Il famoso copista Giovanni Marco Cinico trascrisse per il D. due codici: un Aristotele volgare, datato 13 ag. 1466, conservato nella Bibl. dei padri dell'oratorio (Pil. XV, 7) a Napoli e un Rosarium Grammatice, scritto nel 1467, che ora è alla Nazionale di Parigi, (Lat. 18524). Nella medesima biblioteca è conservato un altro codice miscellaneo (Ital. 97), che forse appartenne al D. e che contiene nelle ultime carte una relazione sulla visita fatta da Niccolò V al corpo di s. Francesco d'Assisi nel 1449, in forma di lettera e sottoscritta dal Del Balzo. In essa l'autore testimonia di avere saputo da Iacobo Cavallina, allora vescovo di Ariano, come questi apprese dalle labbra del card. Eustorgio Agnesi, poco prima della di lui morte, il modo in cui si era svolta la visita di Niccolò V al corpo di s. Francesco. Il papa era accompagnato dal suddetto cardinale, da un vescovo francese e dal segretario Pietro di Nocito. Guidati da un guardiano furono ammessi, prima il papa solo, poi tutti gli altri, davanti al corpo del santo, che "integro incorrupto" stava eretto in piedi, presentando le sacre stimmate "cum lo sangue frisco". Nella cappelletta c'erano anche i corpi dei dodici compagni del santo. La lettera termina con la testimonianza formale del D., che dice di aver scritto tutto ciò per comando di Eleonora d'Aragona e "reducte da le lectarate in latino". I termini cronologici della lettera, scritta in un'aspra prosa volgare, sarebbero compresi fra il 1451, data di morte del cardinale Agnesi, e il 1463, anno fino al quale il Cavallina fu vescovo di Ariano, se essi non contrastassero con l'età della destinataria, nel 1463 tredicenne.
In questo codice quattrocentesco la lettera si presenta, come è chiaramente specificato dal D. stesso, nella forma in cui l'autore l'aveva scritta, cioè, in volgare. Essa ebbe una fortuna enorme e una vicenda testuale travagliatissima. In primo luogo la futura duchessa di Ferrara scomparve come destinatario e si formarono due tradizioni, una che riteneva destinatario della lettera un Antonio vescovo di Andria, l'altra che ne riteneva destinatario Consalvo di Cordova (giunto in Italia non prima del 1495). Essa fu stampata (come diretta a Consalvo) per la prima volta nel 1556, in portoghese, e successivamente in spagnolo, in francese e in italiano, mentre correvano versioni latine stampate e manoscritte. Un altro elemento variabile della tradizione furono le presenze qualitative e quantitative dei santi sepolti con s. Francesco; una tradizione vuole che ci fosse il corpo di s. Domenico, una quello di s. Egidio. Tutto il contenuto della lettera, anche nel suo nucleo centrale, che aveva trovato tanta fortuna anche iconografica, fu sconfessato poi dal ritrovamento del corpo di s. Francesco nel 1818.
L'altro parto letterario del D., anch'esso di argomento agiografico, è datato 15 sett. 1451. Intitolato Historia inventionis et translationis gloriosi corporis s. Richardi Anglici confessoris et episcopi Andriensis, fu edito nel 1659 nell'Italia sacra di F. Ughelli-N. Coleti (VII, Venetiis 1721, coll. 1257-62) e negli Acta Sanctorum Iunii (II, Antverpiae 1698, pp. 248 ss.) da manoscritti diversi e infine nelle successive edizioni delle due opere. La costatazione però, fatta per la lettera di cui si è parlato precedentemente, che il D. non conosceva a sufficienza il latino per potersene giovare per una composizione, fa ritenere che la versione latina stampata, che aveva avuto una certa diffusione manoscritta, non sia in realtà l'opera del D., così come egli l'aveva stesa, ma una traduzione latina fatta da qualche "letterato" dell'originale in volgare.
L'Historia inventionis comincia con la descrizione di Andria; continua con il ricordo dell'incitamento avuto da un tale Tasso di cercare il corpo del santo, nascosto durante la lotta di Giovanna I contro il re di Ungheria; narra come in chiesa il 23 apr. 1438 si congregarono il vescovo Giovanni Dondi, il Tasso, lo scrivente e il figlio e rinvennero il corpo, insieme con reliquie e testimonianze scritte, inviate poi al cardinale di Taranto.
Anche del D. sono i Miracula del santo, contenuti nella p. 251 degli Acta Sanctorum citati.
Fonti e Bibl.: Regis Ferdinandi primi instructionum liber, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, p. 275; Regesto della Cancelleria aragonese di Napoli, a cura di J. Mazzoleni, Napoli 1951, p. 18; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, II, Firenze 1651, pp. 243 ss.; N. Toppi, De origine tribunalium..., II, Neapoli 1659, pp. 129 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, p. 195; Acta Sanctorum Octobris, II, Antverpiae 1768, pp. 930-41; R. D'Urso, Storia della città di Andria, Napoli 1842, pp. 91 s., 102-13; G. Mazzatinti, Sulla leggenda della visita fatta da Nicolò V al corpo di s. Francesco, in Miscell. francescana, I (1886), pp. 18-21; N. F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, p. 408; D. de Fabriczy, Un busto del Quattrocento in Andria, in Rassegna d'arte, VII (1907), pp. 51 ss.; G. B. Picotti, La Dieta di Mantova..., Venezia 1912, pp. 147, 160, 192, 200, 220, 234, 280, 339, 442, 532; T. De Marinis, La biblioteca napol. dei re d'Aragona, I, Milano 1952, p. 46; II, ibid. 1947, pp. 145, 176 s.; B. Croce, Aneddoti di varia letter., I, Bari 1953, pp. 114 s.; C. Santoro, Un registro di doti sforzesche, in Arch. stor. lomb., s. 8, IV (1953), p. 143; H.-W. Kruft, D. Gagini..., München 1972, pp. 45, 69, 237, tavv. 82, 83; G. D'Agostino, Il Mezzogiorno aragonese, in Storia di Napoli, IV, 1, Napoli 1974, p. 236; P. Litta, Le famiglie celebri ital., s. v. Orsini, tav. XII; Rep. fontium hist. Medii Aevi, IV, p. 152.