DE' NOBILI (Cherea), Francesco
Nacque a Lucca e fu attivo nella prima metà dei sec. XVI: le scarne notizie biografiche coincidono con quelle riguardanti la professione di attore, vissuta con intensità. L'identificazione è il primo sintomo di una pratica professionistica che distingue il D. dai dilettanti - cui quasi esclusivamente erano affidati gli avvenimenti spettacolari del tempo - e l'immedesimazione è denunciata dallo pseudonimo, tratto dal personaggio dell'Eunuchus di Terenzio, probabilmente il pezzo forte del repertorio del De' Nobili.
L'assunzione di pseudonimi di tale tipo è d'altronde abitudine diffusa e sintomatica: Tommaso Inghirami a Roma si fa chiamare "Fedra", dall'Hyppolitus di Seneca, e, fra Venezia e Padova, Angelo Beolco assume tout court il nome del personaggio da lui stesso creato, Ruzante.
Grazie agli studi di A. D'Ancona e V. Rossi - e a quelli recenti di G. Padoan, per l'area veneta, e di F. Cruciani, per l'ambito romano - la vita artistica del D. è ricostruibile almeno in parte. In una lettera del 15 dic. 1514 di Agostino Gonzaga alla marchesa Isabella d'Este, si fa riferimento a recite tenute dal D. a Maritova e quindi, per la contiguità politicogeografico-cortese, forse anche a Ferrara. L'indicazione può valere per gli anni immediatamente precedenti il 1508 (e rivelerebbe un apprendistato alla fiorente scuola attorica mantovana, "uno dei nodi creativi della cultura teatrale del Rinascimento") o per un breve soggiorno in quella città dopo il dicembre 1509 o dopo Il 1513 (Cruciani). In ogni caso, il Sanuto nei suoi Diarii registra il 23 sett. 1507 la recita di una commedia in casa di Caterina Corner, "la rezina di Cipry", per le nozze di "sier Philippo Capello": probabilmente la pièce rappresentata era il volgarizzamento (Menechin) dei Menaechmi plautini e, secondo Padoan, l'interprete doveva essere il D., il quale il 10 genn. 1508 proprio con quella commedia inaugurò la sala "a San Canzian in Biri", una delle primissime sale a pagamento: nella stessa nota, il Sanuto dà notizia di una rappresentazione dell'Asinaria e di "egloge pastoral" tenuta dal D. durante una festa.
Con la messinscena di volgarizzamenti, il D. sembra riprodurre in Venezia gli esordi ferraresi del teatro classico in volgare: provocò comunque un "salto di qualità" nella vita spettacolare veneziana, attardata rispetto alle forme di sperimentazione dei milieux aristocratici settentrionali. La città lagunare, infatti, indugiava ancora in abitudini rappresentative che privilegiavano forme popolari e cittadine (feste sull'acqua, cacce al toro, momarie) o religioso-statali (processioni, ma non sacre rappresentazioni): il primo impulso a modalità spettacolari autonome venne dalle Compagnie della Calza, organizzazioni di nobili dilettanti. Inoltre, va ricordata la familiarità del D. con la famiglia Sanseverino, in particolare con il condottiero Gasparo, detto Fracasso (di cui egli divenne segretario intorno al 1512), fratello di quel Giovanni Francesco, conte di Caiazzo, che protesse e favorì a Milano Bernardo Bellincioni e ne fece rappresentare in casa sua il 31 genn. 1496 la Comedia di Danae. A ribadire la sensibilità e il gusto per gli avvenimenti spettacolari dei Sanseverino, B. Zambotti nel suo Diario menziona Fracasso fra gli spettatori della "storica" rappresentazione alla corte di Ferrara dei Menechini del 25 genn. 1486, la prima "che diventa di per sé occasione di spettacolo e richiamo di pubblico, in un luogo appositamente attrezzato" (Tissoni Benvenuti).
Il successo che il D. ottenne a Venezia con la rappresentazione dei volgarizzamenti è registrato dal Sanuto con lapidaria e pregnante acutezza "vadagna e tien in festa la terra"): è probabile che ancora del D. si tratti a proposito della.recita del 25 febb. 1508, sempre a S. Canciano, del Truculentus di Plauto.
Il 10 sett. 1508 il D. avanzò una richiesta di privilegio di stampa al Senato veneziano: la supplica ebbe esito positivo, ma risulta che il privilegio fu venduto cinque giorni dopo "gratia domine Elena quondam s. Hieronimi Barbadici" (Arch. di Stato di Venezia, Collegio, Notatorio, reg. 16, f. 29r). Benché dunque non utilizzato dal D., il documento permette di ricostruire il repertorio dell'attore e l'importante funzione di tramite fra cultura cortigiana e mondo spettacolare cittadino.
L'elenco comprende testi moderni (El buphone, El mago - quest'ultimo attribuibile secondo Padoan a Pier Antonio Caracciolo), un dramma sacro (La vita di Joseph di Pandolfo Collenuccio, già recitato a Ferrara da attori provenienti da Mantova, e che il D. riprese nel 1523, come risulta dall'edizione Venezia, Zoppino, 1525), una tragedia (La tragedia di Demetrio re, di Antonio Cammelli detto il Pistoia, più nota come Filostrato e Panfila), quindici volgarizzamenti plautini, il solo Eunuchus terenziano, e, infine, "quatro egloge".Ma la prosperità veneziana del D. ebbe breve spazio: la popolarità di una tipologia spettacolare inedita, quale la rappresentazione di volgarizzamenti, il crescente carisma personale dello "straniero" D. e l'audacia della sua richiesta di convertire ad uso teatrale un luogo pubblico di grande prestigio come la loggia di Rialto, convinsero il governo della Signoria a vietare su tutto il territorio le recite di "comedie, tragedie et egloge" - e il Sanuto ne accolla la responsabilità interamente al De Nobili. Più che tale decreto, fu la guerra di Cambrai a porre temporaneamente fine alla vita spettacolare veneziana, tanto che solo migliorando le sorti belliche - e permanendo il divieto - se pur timidamente si ripresero nel 1511 le consuetudini rappresentative.
Durante la fase più critica della guerra, il D. svolse attività diplomatiche recapitando, a nome della Signoria, una lettera ad Isabella d'Este da parte del marito, prigioniero dei Veneziani, e informando il governo della Serenissima delle operazioni militari in Romagna: grazie a questi meriti e alla familiarità con Gasparo Sanseverino, di cui era diventato segretario, e con lo stesso marchese di Mantova, il D. riprese la sua attività di attore recitando il 14 giugno 1512, in casa Gradenigo, presente Fracasso, un'egloga pastorale e una tragedia, e, poco dopo, il 6 febb. 1513, nella casa dello stesso Sanseverino alla Giudecca, una "comedia di pastori" - tipologia spettacolare da inserire nella momentanea ondata di favore verso il contado con cui la Signoria e Venezia ricambiarono l'inattesa fedeltà dei "villani" durante la guerra, dando luogo ad una moda teatrale di breve durata (Padoan).
Essendo ormai al servizio del Sanseverino, il D. lo seguì a Roma, allettato, forse, anche dall'elezione al soglio pontificio di Leone X, di cui era nota la passione per il teatro. Le notizie intorno al soggiorno romano del D. sono incerte: secondo il Neiiendam, il D. sarebbe già presente a Roma nel febbraio 1510, per organizzare la rappresentazione di commedie in casa dei cardinale Francesco Sanseverino - fratello di Fracasso - in occasione dei festeggiamenti per le nozze di Francesco Maria Della Rovere con Eleonora Gonzaga. Ma in realtà la documentazione sulla presenza del D. nella città papale data dal 1514.
In quell'anno appunto, nella già citata lettera a Isabella, Agostino Gonzaga dà notizia di una "comedia nova in versi" composta e recitata dal giovane D.; ancora secondo il Neiiendam, egli avrebbe partecipato alla replica romana della Calandria tenuta nel dicembre del '14, mentre Paolo Giovio menziona a proposito soltanto l'intervento di "nobiles comoedos" e V. Rossi smentisce che la commedia del Bibbiena comparisse nel repertorio veneziano del D. nel 1522. Più probabile, perché suffragata almeno da una nota di pagamento, la partecipazione del D. alla rappresentazione dei Suppositi nel carnevale del 1519, svoltasi negli appartamenti Cibo in Vaticano con scene di Raffaello. Collazionando una serie di dati, il Neiiendam ipotizza pure che il D. intervenisse nella messinscena della Mandragola del 1520: poiché il 4 sett. 1518 Sanuto registra che a Firenze si erano radunati "tutti li buffoni che in Roma si ritrovano et tra l'altri è andato Cherea", al fine di allestire la rappresentazione della commedia di Machiavelli del 7 settembre; poiché Paride Grassi ricorda una commedia" potius ridiculam quanivis moralem" recitata per le feste dei Ss. Cosma e Damiano del 27 sett. 1520; poiché Giovio riferisce che la replica romana fu fatta con la scena, l'apparato e gli attori della messinscena fiorentina; e poiché, infine, risultano pagamenti al D. per il settembre, l'ottobre e il novembre del '20, il Neiiendam conclude a favore della presenza del D. in quell'occasione.
Comunque, anche a Roma il D. rimase legato a Fracasso e lo favorì presso la Signoria veneziana, al servizio della quale il Sanseverino voleva porsi: secondo il Rasi, alla sua morte nel 1519 il condottiero lasciò in eredità all'attore 300 ducati. Il Sansovino sostiene che il D. abbandonò Roma "per lo sacco infelice di quella città, sotto papa Clemente VII", e dunque nel 1527: il Sanuto invece registra di nuovo il D. a Venezia nel 1522. D'altra parte, questa non è l'unica imprecisione dovuta al Sansovino: la sua affermazione che il D. inventò il "recitar all'improvviso" ha creato una fama smentita peraltro dal repertorio stesso dell'attore.
In ogni caso, la fama e il repertorio del D. si arricchirono con l'esperienza romana, che gli aveva offerto la possibilità di veder recitare "Fedra" Inghirami e, se non altro, di conoscere le commedie senesi e le messinscene di Calandria. Suppositi e Mandragola. Al suo rientro a Venezia, egli fu subito invitato a partecipare alle recite che si tennero nel palazzo ducale per l'interessamento di Marco Grimani, il nipote del nuovo doge, e il 2 febb. 1522 vi recitò una tragedia.
Gli anni 1520-26 furono particolarmente fecondi per la vita teatrale veneziana, soprattutto per la presenza di Angelo Beolco e il fiorire di iniziative spettacolari. Dopo la chiusura nel 1521 della sala di S. Canciano, se ne aprì un'altra a pagamento presso il convento dei crociferi ("Crosechieri"): il 9 febbr. 1522 il D. vi recitò una "comedia over cosa d'amore di Philarete innamorato in Charitea e una Caliandro lo conseglia et per via di uno orbo fo aiutato et ebbe l'amata: et li intermedii fo Zuan Polo con suo fiol" (ed è da sottolineare la compresenza di un'altra importantissima componente delle consuetudini spettacolari veneziane, il virtuosismo dei buffoni). Il 13 febbraio rappresentò la Mandragola:si trattò della prima messinscena veneziana della commedia - sempre con intermezzi "di Zuan Pollo e altri bufoni" - che però il Sanuto registra con freddezza, più interessato all'enonne concorso di pubblico e alla sospensione per questo della recita. che fu portata a termine soltanto nella replica del 16 febbraio. Sempre ai Crociferi, il D. recitò una "comedia nova in versi" il 4 genn. 1523 e un'altra "bellissima" il 16. La misura della popolarità del D. è data dal fatto che gli fu concesso di tenere una recita sacra nella chiesa di S. Trovaso il 17 maggio (La vita di Joseph). Inoltre, sebbene il carnevale del 1524 pare che non contemplasse rappresentazioni teatrali, forse per la linea moralistica del nuovo doge, Andrea Gritti, che, pur amando buffoni e attori, non tollerava oscenità (G. Padoan), il 5 maggio lo stesso Gritti invitò il D. a recitare a palazzo una commedia.
Il D. furoreggiò anche negli anni 1525-26: il 3 genn. 1525 recitò per i Compagni Valorosi a ca' Querini Stampalia l'Orba, cioè la Cecaria o Dialogo di tre ciechi di Antonio Epicuro; il 20 febbraio a Murano, a ca' Molin, mise in scena un'altra commedia, e il 27. sempre per i Valorosi, la commedia di "Tizone neapolitano" (la perduta Germusia di Tizzone Gaetano da Pofi, secondo Padoan) "cum intermedii di poesie et soni"; per il giovedi grasso organizzò un carro "con uno armato a l'antiga"; il 25 maggio recitò durante un pranzo a palazzo "una comedia amorosa" (forse la Comedia amorosa de amicitia del Pistoia, sempre secondo il Padoan che accoglie così un suggerimento di A. D'Ancona); il 2 luglio fece una "comedieta" alla Giudecca, a ca' Trevisan, presenti il patriarca di Aquileia e i duchi di Urbino. Il 5 febbr. 1526 replicò i Menaechmi "a Sant'Aponal in cha' Morexini": il Sanuto sottolinea il fatto che i committenti erano modesti ("Zuari Francesco Beneti daçier e alcuni soi compagni"), che lo spettacolo era popolare e a pagamento ("se intrava per bolletini") e svolto in "loco picolo". Particolarmente significativa per la ricostruzione della struttura di una rappresentazione drammatica e dell'organizzazione spettacolare veneziana - e, ovviamente, per l'eccellenza dei protagonisti -, è la recita tenuta in una sola sera in casa Trevisan alla Giudecca, il 7 febbr. 1526 dopo un banchetto, di tre commedie, "una per Cherea, l'altra per Ruzante e Menato a la vilanescha, l'altra per el Çimador, el fiol di Zan Pollo, bufona". La festa rischiò di tramutarsi in un incidente diplomatico con gli "oratori francesi": forse ne fu responsabile il Beolco - che da allora il Sanuto non menziona più - o lo stesso D., accusato già l'anno prima di aver divulgato la falsa notizia di una vittoria francese. Ma il 25 apr. 1526 il D. è di nuovo interprete a palazzo ducale di una "comedieta" con "baletti" e "uno cavallo contrafato con la pelle che parea vivo", strumento indispensabile ad acrobazie e ad azioni pantomimiche.
Alla scomparsa dalle scene veneziane del Beolco seguì presto quella del D.: la commedia del carnevale del 1527, per un banchetto di Tommaso Contarini, fu l'ultima che egli rappresentò a Venezia. Prendendo probabilmente a pretesto l'insuccesso della "momaria" da lui organizzata per il giovedì grasso, il D. tornò all'attività politica assumendo servizio come cancelliere presso il conte di Caiazzo, Roberto Sanseverino: l'amicizia che in questa nuova veste strinse con l'ambasciatore ungherese Foys gli permise di fornire informazioni su alcune operazioni militari alla Signoria veneziana, preoccupata dalle iniziative turche, e di porsi come punto di appoggio per gli ungheresi di passaggio. Da un'annotazione del Sanuto del 15 genn. 1532, risulta che l'oratore d'Ungheria fu ospite del D., in ca' Duodo, a S. Giovanni Nuovo, e così pure, tra gli altri, il duca di Atri (2 marzo 1533). Tra il gennaio e l'aprile 1532, il Sanuto ricorda il soggiorno dei D. in Ungheria - durante il quale, nota Padoan, a "iBudapest" si recitò un magnus ludus che satireggiava Alvise Gritti, figliastro del doge - e il suo ritorno a Venezia. Ma, da allora, del D. non si hanno più notizie.
Perdendo Beolco e il D., la vita spettacolare veneziana subì un arresto, cui fece riscontro una intensa attività editoriale, soprattutto di volgarizzamenti plautini, tra il 1528 e il '32, ad opera forse dello stesso D. (G. Padoan). Mentre la stagione della rivisitazione del teatro classico in volgare si avvia ad esaurire la sua funzione storica e teatrale, l'impulso ad una prospettiva di teatro-spettacolo, impresso dai balli e dalle canzoni di Ruzante e le trovate scenografiche e acrobatiche dei D., continua nella grande tradizione dei buffoni e costituisce un contributo fondamentale alla pratica teatrale rinascimentale, non solo veneziana.
Fonti e Bibl.: La maggior parte delle notizie sul D. provengono da M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-1902, VII, pp. 152, 243, 311, 342, 701; IX, p. 536; X, pp. 223, 873; XIII, p. 506; XIV, pp. 132, 241, 325; XV, p. 531; XXII, p. 138; XXXVI, p. 306; XXXVII, pp. 396, 621, 639, 653, 671; XXXVIII, pp. 347, 376; XXXIX, p. 157; XL, pp. 785, 789; XLI, p. 219; XLII, pp. 478, 540; XLIV, pp. 120, 171 s., 257; LII, pp. 281, 293, 369; LIV, pp. 306, 311; LV, pp. 338, 345; LVI, p. 77; LVII, p. 568. La lettera di A. Gonzaga ad Isabella d'Este si legge in G. Moncallero, Precisazioni sulle rappresentazioni della "Calandria" nel Cinquecento, in Convivium, n. s., VI (1952), p. 838. Il Diario ferrarese di B. Zambotti è citato nell'ed. a cura di G. Pardi, Bologna 1934-37, p. 187, e i Diarii di P. Grassi sono citati nell'ed. parziale a cura di P. Delicati-M. Armellini, Roma 1884, p. 76. Una lettera dei D. al marchese di Mantova, che testimonia della loro familiarità, è edita in A. Luzio-R. Renier, La coltura e le relaz. letter. di Isabella d'Este..., in Giorn. st. d. letter. ital., XXXIII (1899), p. 55; P. Giovio, De vita Leonis X..., Florentiae 1549; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare, per J. Sansovino, Venetia 1581, p. 168; V. Rossi, introd. a A. Calmo, Le lettere, Torino 1888, pp. XIV-XXI; A. D'Ancona, Origini del teatro ital., Torino 1891, II, p. 111 e passim;L. Rasi, Icomici ital., Firenze-Parigi 1897-1905, ad vocem;P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata, Bergamo 1910-12, II, ad Ind.;K. Neiiendam, Le théâtre de la Renaissance à Rome (1480 environ à 1530), in Analecta Romana Instituti Danici, V (1969), pp. 136, 165, 174 s.; M. Baratto, Tre saggi sul teatro (Ruzante, Aretino, Goldoni), Venezia 1971, pp. 15, 26, 29; L. Zorzi, Tradiz. e innovaz. nel repertorio di A. Calmo, in Studi sul teatro veneto fra Rinascimento ed età barocca, a cura di M. T. Muraro, Firenze 1971, pp. 221-240; E. Povoledo, Le bouffon et la Commedia dell'Arte..., in Les fétes de la Renaissance, études réunies par J. Jacquot et E. Konigson, Paris 1975, III, pp. 253-266; L. Zorzi, Note sul motivo della scena a portico, in Ilteatro e la città, Torino 1977, pp. 293-326; G. Padoan, Momenti del Rinascimento veneto, Padova 1978, ad Ind.;N. Pirrotta, Li duo Orfei. Da Poliziano a Monteverdi, Torino 1981, pp. 48, 85; G. Padoan, La commedia rinascimentale a Venezia..., in Storia della cultura veneta, 3, Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, a cura di G. Arnaldi-M. Pastore Stocchi, Vicenza 1981, III, pp. 352, 391-98, 409-19 (ora in G. Padoan, La commedia rinascimentale veneta, Vicenza 1982, pp. 35-40, 45 s., 48, 49 n., 79-90, 94 ss., 98, 113); M. T. Muraro, La festa a Venezia..., ibid., pp. 333 s.; F. Cruciani, Teatro del Rinascimento. Roma 1450-1550, Roma, 1983, pp. 9, 11, 39, 167, 173, 309, 344, 351, 361, 381, 385, 440 ss., 451, 474, 479, 480 ss., 485, 654; M. Pieri, La scena boschereccia nel Rinascimento ital., Padova 1983, pp. 28, 50, 53, 114; A. Tissoni Benvenuti, introd. a Ilteatro del Quattrocento. Le corti padane, Torino 1983, pp. 9-26.