MEDICI, Francesco de’
MEDICI, Francesco de’. – Nacque a Firenze nella notte tra il 16 e il 17 ott. 1614, figlio sestogenito (quarto dei maschi) del granduca di Toscana Cosimo II e di Maria Maddalena d’Austria, sorella del futuro imperatore Ferdinando II.
Il nome gli fu imposto in memoria dello zio, Francesco di Ferdinando I de’ Medici, morto di febbri tifoidee pochi mesi prima. Subito dopo la nascita il M. fu battezzato in palazzo Pitti dall’arcivescovo di Firenze, Alessandro Marzi Medici. Padrino fu, tramite il suo ambasciatore, il re di Polonia Sigismondo III, cognato del granduca, in quanto aveva sposato in seconde nozze Costanza, sorella di Maria Maddalena d’Austria.
La vita del M. è strettamente intrecciata, fin dalla primissima infanzia, a quella del fratello Mattias. I due erano quasi coetanei, essendo Mattias nato appena un anno prima.
Il loro legame emerge dalle lettere scambiate quotidianamente dai funzionari addetti alla loro cura (Giovan Battista Nardi, Iacopo Medici, il medico Guido Guidi) con la madre Maria Maddalena: ricche di notizie sullo stato di salute, le frequenti malattie, i progressi educativi e i piccoli fatti quotidiani (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 6073).
Alla morte di Cosimo II (28 febbr. 1621), per volontà testamentaria di questo, Maria Maddalena esercitò la tutela dei figli e, insieme con la suocera Cristina di Lorena, la reggenza per conto di Ferdinando II, che assunse il governo dello Stato il 14 luglio 1628. L’educazione dei principi, fortemente influenzata dallo zelo religioso controriformistico della madre e dalla sua concezione solenne e fastosa della regalità, fu affidata a religiosi, alti prelati ed esponenti della nobiltà patrizia, come il gesuita Tommaso Antonelli, il senese conte Orso Pannocchieschi d’Elci (il funzionario più vicino alla granduchessa) e il balì Giovanni Altoviti. In particolare, la formazione del M., per il quale si pensava fin da bambino a una carriera militare, fu affidata a Fabrizio Barbolani di Montauto, il quale oltre che buon letterato era un esperto comandante avendo combattuto nelle Fiandre.
Malgrado i disegni materni, non sembra che il M. avesse una spiccata inclinazione per le arti guerriere, né per altri campi particolari, mostrandosi semmai a suo agio nella vita di corte, nei ricevimenti, nelle feste e nella caccia. Durante una battuta fuori porta S. Frediano, all’età di 14 anni, in seguito a una caduta da cavallo si fratturò una gamba. Un ritratto fattogli a quest’epoca dal pittore di corte, J. Sustermans, lo mostra, malgrado l’armatura, come un giovinetto dalle fattezze snelle, delicate ed eleganti (Firenze, Galleria degli Uffizi).
Alla fine del settembre 1631, insieme con il fratello Mattias, il M. accompagnò la madre nel viaggio alla volta della corte imperiale di Vienna. La presenza dei due principi alla testa del folto seguito non era casuale. Fra gli scopi del viaggio, sollecitato dallo stesso imperatore Ferdinando, oltre alla riconferma della fedeltà toscana alla causa dell’Impero e il conseguimento dell’appoggio imperiale alle trattative allora avviate per un matrimonio tra Giovan Carlo de’ Medici e la principessa Anna Carafa di Stigliano, era anche l’offerta di un consistente aiuto militare, al quale si accompagnava la richiesta di accogliere il M. e Mattias nelle file dell’esercito imperiale guidato da Albrecht von Wallenstein. Nel corso del viaggio, il 1° nov. 1631, la granduchessa morì improvvisamente a Passau.
Nelle numerose lettere inviate al granduca Ferdinando II, loro fratello, i due relazionano sull’andamento del viaggio, sui luoghi attraversati e sull’accoglienza ricevuta, sui loro allegri svaghi, specialmente di caccia, spesso firmando congiuntamente le missive (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 6070). Dopo la morte di Maria Maddalena, i due principi ricevettero dal granduca l’ordine di proseguire il viaggio per portare, in veste di ambasciatori, la luttuosa notizia all’imperatore, e offrire, con l’assistenza dell’arcivescovo di Pisa, Giuliano de’ Medici, e di monsignor Niccolò Sacchetti, ambasciatore toscano a Vienna, un contingente militare di 6000 fanti e 1000 cavalieri e il loro servizio personale nell’esercito. L’8 dic. 1631 su richiamo del granduca i principi si accomiatarono dalla corte imperiale, «satisfattissimi» (ibid., cc. n.n.) dell’accoglienza ricevuta, lasciando alla diplomazia il compito di perfezionare le condizioni del loro ingresso nell’esercito di A. von Wallenstein.
Nella primavera del 1632, i successi militari del re di Svezia Gustavo Adolfo causarono nuove pressanti richieste di sussidio da parte dell’imperatore ai principi italiani, che si mostrarono nei fatti assai poco propensi a corrispondere. Da parte sua, Ferdinando II acconsentì a un donativo di 100.000 scudi (contro i 300.000 richiesti) e all’invio di un consistente quantitativo di armi e munizioni. A «più convincente riprova del suo attaccamento» all’imperatore, il granduca disponeva «che i principi Mattias e Francesco si portassero in Germania a servirlo come volontari», con l’occasione essi avrebbero appreso l’arte della guerra da Wallenstein «che si era offerto di dirigerli come propri figli» (Galluzzi, p. 328).
Dietro questa determinazione di Ferdinando II c’era il desiderio di rinverdire, favorendo lo sviluppo delle virtù guerriere nei due giovani fratelli, i fasti militari della dinastia che, dopo una serie di prove non certo esaltanti date da alcuni Medici della generazione precedente, erano ancora legati soprattutto alla figura di don Giovanni de’ Medici, figlio di Cosimo I.
Il M. e Mattias partirono il 3 luglio 1632 «con onorevole accompagnatura di gentiluomini e servitù» (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 6379, ins. 3, c. 242), nella quale spiccava la presenza di monsignor Giovanni Altoviti, già ambasciatore presso la corte imperiale e precettore dei due, e Lorenzo Guicciardini, nella duplice veste di segretario e militare. Più che a una spedizione militare il seguito appariva commisurato a un viaggio di rappresentanza. Dopo avere fatto tappa a Vienna, dove furono accolti con affetto dallo zio imperatore, alla metà di settembre il M. e Mattias giunsero al campo imperiale presso Norimberga. Di lì a poco ebbero il battesimo del fuoco nella grande battaglia di Lützen (16 nov. 1632), alla quale presero parte, malgrado l’ordine contrario di Wallenstein, con buona dose di giovanile incoscienza, fino a essere sfiorati da un colpo di cannone. La notizia dell’evento, amplificata dagli osservatori, arrivò alla corte toscana ammantata dei toni enfatici di eroismo e supremo sprezzo del pericolo.
Al di là di questo episodio, i due principi furono testimoni dei disastri della guerra, riportando nelle loro lettere la desolazione delle distruzioni dei villaggi e del territorio. Oltretutto, dopo un’iniziale accoglienza positiva, Wallenstein, deluso dall’entità dell’impegno militare e finanziario del granduca di Toscana, cominciò a considerare come un impaccio la loro presenza, sottoponendoli a una serie di umiliazioni. Dapprima ritardò la promessa concessione dei gradi di comando adeguati al loro rango, poi tolse loro i reggimenti appena assegnati, tanto da metterli nella condizione di dover abbandonare temporaneamente l’armata (luglio 1633).
In una lettera al granduca del febbraio 1634, il M. esprime anche a nome del fratello il timore che Wallenstein (la cui posizione si andava intanto facendo sempre più difficile per gli aperti sospetti di sue trattative dirette con il nemico) potesse procedere contro di loro «havendoci scoperti contrari a’ suoi disegni, oltre che haverà saputo quanto haviamo fatto referire alla corte del suo tradimento» (ibid., 4472, c. 33). La lettera, che prosegue con la richiesta di autorizzare prudenzialmente i due ad abbandonare il campo imperiale, adombra quindi anche un ruolo concreto da loro svolto nel denunciare il tradimento del generale. La richiesta fu approvata dal granduca, cosicché al momento dell’uccisione di Wallenstein (25 febbr. 1634), i due principi si erano già rifugiati sotto la protezione dell’imperatore nel castello di Neustadt.
Con il più favorevole scenario creatosi con la scomparsa del generale, parevano finalmente concretizzarsi le prospettive di un adeguato impiego dei principi nei ranghi imperiali, tuttavia la perdurante situazione di incertezza e inattività cominciava a pesare sempre più sullo spirito dei due, fiaccandone l’anelito guerriero. È ancora il M., il più giovane e senz’altro il meno propenso alla carriera militare, a farsi interprete presso il granduca di questo stato d’animo (ibid., cc.93-94, lettera del 17 marzo 1634). Quando nel maggio riprese la marcia del riorganizzato esercito imperiale, il M. e il fratello Mattias erano ancora nelle sue file e, una volta posto l’assedio alla città di Ratisbona, prestarono servizio a cavallo. Frattanto la peste cominciava a mietere vittime tra gli assedianti, compreso il seguito toscano, e, sebbene all’inizio fossero contagiati solo i servitori e la «gente bassa», la preoccupazione cresceva (ibid., c. 195v, lettera di L. Guicciardini del 15 luglio 1634). Di lì a pochi giorni anche il M. si ammalò e, benché all’inizio i medici escludessero la peste, le sue condizioni si aggravarono rapidamente.
Il M. morì a Ratisbona il 25 luglio 1634, fedelmente assistito da L. Guicciardini.
A nulla valse l’intervento del medico imperiale inviato ad assisterlo: «il male si è rivelato maligno e traditore e della più velenosa peste che si possa vedere» (ibid., c. 207r, lettera di L. Guicciardini del 25 luglio 1634). Mentre Guicciardini comunicava il decesso a Firenze, il corpo del M. fu trasportato a Bolzano, presso il monastero dei frati zoccolanti, in attesa di istruzioni dal granduca. La tragica notizia raggiunse una corte in festa per le nozze tra Ferdinando II e Vittoria Della Rovere, ai primi di agosto. Ferdinando II volle che fossero tributate al fratello esequie solenni, che ebbero luogo il 30 ag. 1634 nella basilica di S. Lorenzo, dove era stato allestito un sontuoso apparato funebre su progetto di Alfonso Parigi, che insieme con Stefano Della Bella curò anche lo svolgimento della cerimonia. Nell’orazione pronunciata da Ferdinando Bardi, come pure nella descrizione delle esequie composta per l’occasione da un altro giovane patrizio fiorentino, Andrea Cavalcanti, al rimpianto per l’immatura morte dello sfortunato principe si univa la celebrazione delle sue virtù eroiche, intrecciate a quelle della dinastia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 4388, 4389, 4471, 4472, 6070, 6073; Miscellanea medicea, 4, 8; 55, 6; 106, 14; 298, 2; 357, 49; Firenze, Biblioteca nazionale, G. Capponi, 261: Diario di corte di Cesare Tinghi, I, c. 604r; F. Bardi, In morte del ser.mo principe F. di Toscana…, Firenze 1634; A. Cavalcanti, Esequie del ser.mo principe F. celebrate in Firenze dal ser.mo FerdinandoII, granduca di Toscana suo fratello…, Fiorenza 1634; P. Pomo, Delle guerre di Ferdinando II imperatore, e Gostavo Adolfo re di Svezia. Saggi d’historia…, Venezia 1638; R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici, Firenze 1781, VI, pp. 319-353; L. Cantini, Legislazione toscana, XVI, Firenze 1805, p. 181; L. Grottanelli, La Riforma e la guerra dei Trent’anni. Ricordi storici studiati sulla corrispondenza degli ambasciatori toscani, Firenze 1899, p. XXVI; G. Pieraccini, La stirpe de’ Medici di Cafaggiolo, Firenze 1924, pp. 521-523; E. Galasso Calderara, Un’amazzone tedesca nella Firenze medicea del ’600: la granduchessa Maria Maddalena d’Austria, Genova 1985, passim; C. Sodini, La morte di F. di Cosimo II dei Medici, in L’Aldilà. Rivista di storia della tanatologia, V (1999), 2, pp. 7-25; Id., L’Ercole tirreno. Guerra e dinastia medicea nella prima metà del ’600, Firenze 2001, ad ind.; P.A. Bigazzi, Firenze e contorni. Manuale bibliografico e biobibliografico…, p. 126, Firenze 1893.
F. Martelli