LEMENE, Francesco de
Nacque a Lodi, il 19 febbr. 1634, dal conte Antonio e da Apollonia Garati, della famiglia del giurista Martino. Il casato paterno era tra i più nobili e antichi della città; il padre e il nonno avevano seduto nel Collegio dei giudici. Ebbe due fratelli maggiori: Alfonso e Luigi, generale della Congregazione somasca.
Fu avviato agli studi nella città natale da precettori religiosi, i somaschi Francesco Bovio e Giovanni Battista Scopa, quest'ultimo anche poeta (Poesie domestiche, e postume, Belluno 1697). Dodicenne, il L. redasse una versione poetica del Guerrin meschino di Andrea Mangiabotti da Barberino, opera poi probabilmente smarrita dallo stesso autore. La formazione proseguì nel collegio dei nobili di Novara, retto dai gesuiti, dove il L. studiò lettere umane in un clima di rigoroso classicismo (eccezionalmente egli ottenne il permesso di comporre versi in volgare). Di nuovo a Lodi, studiò filosofia e teologia nella scuole dei barnabiti; poi, per compiacere i familiari, si iscrisse all'Università di Pavia per studiare diritto; nel 1654, costretto ad abbandonare la primitiva sede universitaria forse a causa di un incidente con la giustizia, risultava frequentare i corsi dello Studio di Bologna, ma si laureò a Pavia l'anno seguente.
Durante il periodo bolognese il L. assecondò la sua vocazione poetica, componendo i suoi primi lavori di maggiore impegno: l'adattamento della commedia spagnola di Juan Ruiz de Alarcón, La verdad sospechosa - che il L. credeva di Lope de Vega - con il titolo L'error del nome; un prologo teatrale per una recitante e il primo canto del poema eroicomico Della discendenza e nobiltà de' maccaroni (fu pubblicato a Milano nel 1675, poi a Modena, presso il Soliani, senza data, insieme con il Radicone, poema in ottave in tre canti di P.J. Martello; entrò poi a far parte delle raccolte autorizzate dal L.).
Conclusi gli studi, nello stesso 1655 si recò a Roma, forse con l'intenzione di intraprendere la carriera ecclesiastica. Nell'occasione entrò in contatto con l'Accademia degli Umoristi, ma l'improvvisa morte del padre lo richiamò in patria, dove iniziò una vita dedita all'amministrazione del cospicuo patrimonio terriero e ai diletti studi letterari, rinunciando alle occasioni che si affacciarono durante la sua esistenza di intraprendere una faticosa e incerta carriera altrove. In precedenza, secondo Muratori (1708, p. 191), egli avrebbe già rifiutato una lettura nell'Università di Pavia.
A Lodi il L. divenne instancabile animatore della locale vita culturale e mondana: ridiede lustro all'Accademia dei Coraggiosi, organizzò concerti, balli e rappresentazioni teatrali, a cui partecipò di persona come autore e attore, diede vita nella sua casa a una brillante conversazione letteraria. Pur circondata da quest'aura quietamente provinciale, la fama del L. non tardò a diffondersi ed egli poté tessere negli anni una serie ininterrotta di relazioni con letterati e potenti, come testimoniano - oltre al sistema di dediche e commissioni in cui si inquadrano in larga parte i suoi componimenti - il ricco epistolario, per lo più inedito, e l'affiliazione a numerose accademie: l'Arcadia di Roma, con il nome pastorale di Arezio Gateatico, l'Accademia Fiorentina, i Ricoverati di Padova, i Concordi di Ravenna, gli Accesi di Bologna, gli Affidati di Pavia. Il duca di Mantova Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers gli conferì il titolo di conte, trasmissibile ai suoi nipoti e discendenti.
Nel 1660 ottenne l'elogio di Anton Giulio Brignole Sale, a cui aveva spedito alcuni sonetti. Del 1661 è l'opera musicale Eliata, rimasta inedita, composta probabilmente durante un soggiorno romano in quell'anno e apprezzata, secondo quanto testimonia Muratori (1708, p. 195), dalla regina Cristina di Svezia.
L'argomento è tratto dalla storia spagnola, nell'epoca precedente all'invasione musulmana. Il L. rielabora molto liberamente la leggenda secondo cui l'ultimo re cristiano, Rodrigo, avrebbe perso il regno a causa della violenza usata alla figlia del conte Julián. La vicenda è incentrata sulla conversione al cattolicesimo della principessa mora Eliata, che sposa Rodrigo.
Del 1676 è la rappresentazione e la stampa, a Lodi, della favola boschereccia Il Narciso, scritta per Cristina di Svezia e musicata da C. Borzio.
Contemporaneamente incominciarono gli incarichi amministrativi e diplomatici affidatigli dall'amministrazione civica. Nel 1660 il L. si recò a Venezia per accogliere il vescovo di Lodi Pietro Vidoni, allora legato pontificio in Polonia, diretto a Roma per ricevere la porpora. La carica di decurione, assunta nel 1664, comportò missioni presso personalità del governo spagnolo. In questa veste, nel 1666 accolse a Genova Margherita Teresa d'Austria, figlia di Filippo IV di Spagna e sposa dell'imperatore Leopoldo I, in viaggio per Vienna, e lo stesso anno recitò l'orazione funebre latina nel corso delle esequie per la morte di Filippo IV (Philippus, magnus pietate, magnitudine pius). Organizzò le feste pubbliche in onore del governatore di Milano Juan Thomás Henríques de Cabrera y Toledo conte di Melgar, in visita a Lodi, e nell'occasione compose dieci madrigali per la sua consorte. Nel 1672-73 ebbe la carica di oratore residente della sua città a Milano (per l'occasione l'amico V.M. Maggi gli indirizzò il sonetto "O gran Lemene, or che orator vi fe'"), ma rassegnò le dimissioni prima dello scadere del mandato, accampando motivi generici, ma in realtà desideroso di recuperare la quiete lontano da gravosi uffici.
Dopo aver rinunciato persino al matrimonio, per amor di tranquillità, il L. continuò ad animare la vita culturale cittadina. Sovrintese alla costruzione del coro del santuario dell'Incoronata, per cui chiamò artisti di alto livello.
Il pittore Stefano Maria Legnani affrescò l'emiciclo della volta dell'abside con L'incoronazione di Ester, su soggetto del L.; gli stucchi furono affidati all'architetto Carlo Silva da Milano; gli stalli di legno all'intagliatore Andrea Lanzani da Milano.
Nel 1680 una grave malattia fece diffondere addirittura la notizia della sua morte. Probabilmente fu questo fatto che spinse il L. a prendere la decisione di distruggere gran parte dei suoi versi profani e di dedicarsi alla poesia di argomento sacro. Primo frutto di questo nuovo corso fu il Dio (due edizioni, a Parma e a Milano, nel 1684), dedicato al "vicedio" Innocenzo XI e consistente in sette trattati che celebrano con una serie di sonetti e di inni il Padreterno, muovendo da solide proposizioni teologiche (negli argomenti in prosa che precedono i sonetti si trovano riferimenti alla Summa theologica di s. Tommaso). Inizio della cosiddetta Arcadia devota, il Dio consacrò la fama del Lemene. L'opera fu rapidamente ristampata (Venezia 1685, Milano 1692 e 1698, Bologna 1694) e riscosse ampi consensi anche tra personalità di alto lignaggio e fuori dai confini patri: fu letta dall'imperatrice Eleonora Maddalena del Palatinato-Neuburg e Cristina di Svezia scrisse personalmente al L. per elogiarla.
La produzione successiva del L. privilegia d'ora in avanti il registro sacro, senza tralasciare però la produzione profana, in cui egli continuò a praticare il repertorio pastorale, con accenti di franca sensualità e spensierato edonismo, approfondendo la sua personale ricerca melodica che lo pone come personalità rappresentativa della fase di passaggio dal barocco all'Arcadia. Compose inni, cantate devote, oratori su soggetti tratti da vite di santi: di s. Filippo Neri (La carità, Il cuore; Il secolo trionfante. Versi musicali per la festa secolare di s. Filippo Neri, Lodi 1695), di s. Antonio da Padova (Il sacro Arione), della beata Panacea (Il premio e la pena), la Morte di s. Giuseppe, la S. Cecilia; una collana di cantate sacre dialogate nel Rosario di Maria Vergine (dedicato all'imperatrice Eleonora: due edizioni nel 1692, a Milano e a Bologna); un'Orazione alla beatissima Maria. Ottennero successo due drammi che furono messi in musica da artisti affermati. Lo scherzo scenico La ninfa Apollo, scritto per Cristina di Svezia, fu musicato dapprima da Carlo Agostino Badia (Milano 1692) e poi a due mani da Francesco Gasparini e Antonio Lotti (Venezia 1709). La favola boschereccia Endimione fu rappresentata, con musiche di P. Magni e G. Griffini, a Lodi nel 1692 e ivi stampata (2a ed. Milano 1693); una seconda rappresentazione a Mantova nel 1698, poi, con musiche di Giovanni Bononcini, a Vienna nel 1706 e nel 1720; infine fu rappresentata dal fratello di questo, Antonio Maria, a Napoli nel 1721. Un'altra favola per musica scritta per la regina di Svezia, Il giudizio di Paride, è andata perduta. Del 1694 è la cantata Giacobbe al fonte (Lodi 1700), ultima poesia per musica del L., richiestagli da Roma dal cardinale Pietro Ottoboni.
Il grande interesse per la poesia del L. suscitato dal Dio portò alla prima raccolta complessiva della produzione lirica, sacra e profana, del poeta, che finora non si era preoccupato di dare un assetto ordinato alla sua produzione. A indurlo a dare alle stampe le sue poesie contribuì in maniera determinante il fatto che nel 1691 uscì, con il titolo Raccolta di poesie, sacre, eroiche, e varie, un'edizione pirata, assai scorretta, a cui il L. tentò di opporsi bloccando gli esemplari ancora presso lo stampatore e sostituendo le carte in cui erano stati impressi componimenti di altri autori o sue opere giovanili che egli non desiderava divulgare. L'anno dopo egli fece uscire sotto la sua supervisione le Poesie presso l'editore milanese C.G. Quinto. Allo stato delle ricerche non risultano copie sopravvissute dell'edizione pirata, e quindi non è possibile giudicare con sicurezza; l'impresa dolosa - il responsabile pare fosse un conoscente dell'autore - testimonia la diffusione incontrollata delle poesie del L., probabilmente nelle copie manoscritte in possesso di amici e conoscenti o in fogli volanti, anonimi: si mescolavano apocrifi, redazioni scorrette, poesie sconfessate. Questo interesse è confermato dalla successiva stampa, a Milano nel 1693, di una scelta di componimenti dell'edizione Quinto con il titolo Dio. Sonetti, ed inni del signor Francesco de Lemene, riproposta a Bologna nel 1694, con l'aggiunta del Narciso e della Ninfa Apollo, che erano stati tralasciati dall'edizione milanese. Un'ulteriore edizione, in due volumi, uscì a Parma e a Milano nel 1698-99: come dichiara lo stampatore, dipende dall'edizione Quinto, ma con l'aggiunta di inediti: l'Endimione, 22 sonetti e 3 oratori. Una nuova Raccolta di poesie, completamente indipendente dalle precedenti, uscì a Lodi nel 1699, divisa in due parti: l'una di rime sacre, l'altra di profane.
Intanto, la morte del fratello maggiore Alfonso, nel 1694, costrinse il L. a occuparsi dell'intero patrimonio di famiglia, rinunciando al decurionato, che non aveva mai deposto, nonché a numerose richieste di componimenti d'occasione che gli venivano rivolte. Ultima inattesa fatica, lontana dalle eleganze della lingua letteraria in cui si era sinora espresso, fu la commedia in tre atti, in dialetto lodigiano, La sposa Francesca, stampata a Lodi nel 1709, che condivide alcuni aspetti delle innovazioni teatrali dell'amico Carlo Maria Maggi (delle cui commedie in dialetto milanese il L. fu estimatore e promotore), e riscosse il plauso di G. Baretti, che la considerava superiore all'intera produzione in lingua. In dialetto il L. compose pure esercizi di riscrittura in chiave comico-realistica di famosi luoghi della Gerusalemme liberata: il Sofronia e Olindo (1a ed., a cura di C. Vignati, Milano 1852) e, secondo quanto afferma il Ceva (pp. 125 s.), la famosa ottava "Deh mira - egli cantò - spuntar la rosa" (XVI, 14).
Il L. morì a Milano il 24 luglio 1704.
Fu sepolto con solenni esequie pubbliche nella chiesa di S. Francesco dei minori osservanti; per pubblico decreto la sepoltura fu ornata con un bassorilievo marmoreo e un epitaffio latino. Una lapide gli fu eretta anche nel Bosco Parrasio a Roma e in sua memoria uscirono vari componimenti poetici.
Opere. Scelta di liriche ne I lirici del Seicento e dell'Arcadia, a cura di C. Calcaterra, Milano-Roma 1936, pp. 445-472, e in Parnaso italiano, VII, Poesia del Seicento, a cura di C. Muscetta - P.P. Ferrante, Torino 1964, pp. 905-913; La sposa Francesca, a cura di D. Isella, Torino 1979; un'antologia di Poesia e teatro, a cura di E. Cazzolani - G. Coletto, Lodi 1985; una di Poesie diverse, a cura di A. Anelli, Milano 1991; Scherzi e favole per musica, a cura di M.G. Accorsi, Bologna 1992; Raccolta di cantate a voce sola, a cura di E. Canonica, Parma 1996 (alle pp. LIV-LVII un'utile sinossi della produzione sacra e profana del L.). L'edizione Quinto delle Poesie è stata edita in anastatica a Lodi nel 1990. In larga parte inedito il ricco epistolario: due copialettere sono a Milano, Biblioteca Ambrosiana, e Lodi, Biblioteca comunale.
Fonti e Bibl.: Per la bibliografia completa si rinvia alla Nota bio-bibliografica di F. da Lemene, in Raccolta di cantate a voce sole, cit., pp. LVII-LXIII. F. Redi, Bacco in Toscana, Firenze 1685, pp. 24, 129; G.M. Crescimbeni, Comentari intorno alla sua Istoria della volgar poesia, II, 1, Venezia 1730, p. 524; L.A. Muratori, Della perfetta poesia italiana, I, Modena 1706, pp. 138-140, 279 s., 366 s., 549; T. Ceva, Memorie d'alcune virtù del signor conte F. de L. con alcune riflessioni su le sue poesie… rivedute e accresciute in questa nuova edizione, Milano 1706; L.A. Muratori, Vita di F. de L. lodigiano, detto Arezio Gateate, in Le vite degli Arcadi illustri… pubblicate… da Giovan Mario Crescimbeni, Roma 1708, pp. 189-198; Notizie istoriche degli Arcadi morti, III, Roma 1721, pp. 58 ss.; I. Carini, L'Arcadia dal 1690 al 1890. Memorie storiche, Roma 1891, pp. 270-285; C. Vignati, F. de L. e il suo epistolario inedito, in Arch. stor. lombardo, XIX (1892), pp. 345-376, 629 s.; A. Franzoni, F. de L., Lodi 1904; A. Oliva, F. de L. (1634-1704), Bergamo 1958; W. Binni, L'Arcadia e il Metastasio, Firenze 1963, pp. 60-67; Id., Il Settecento letterario, in Storia della letteratura italiana, a cura di E. Cecchi - N. Sapegno, VI, Il Settecento, Milano 1988, pp. 357-359 e passim; C. Di Biase, Arcadia edificante, Napoli 1969, pp. 527-611; C. Delcorno, Per il carteggio Redi - Lemene: tre lettere inedite di F. de L., in Culture regionali e letteratura nazionale. Atti del VII Congresso dell'Associazione internazionale per gli studi di lingua e letteratura italiana, … 1970, Bari 1970, pp. 217-226; G. Folena, La cantata e Vivaldi, in Id., L'italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino 1983, pp. 262-281 passim; M.G. Accorsi, Pastori e teatro: dal melodramma al dramma ebraico, in La colonia Renia. Profilo documentario e critico dell'Arcadia bolognese, a cura di M. Saccenti, Modena 1988, II, pp. 291-297; Gli Arcadi dal 1690 al 1890. Onomasticon, a cura di A.M. Giorgetti Vichi, Roma 1977, ad vocem; The New Grove Dictionary ofmusic and musicians (ed. 2001), VII, p. 155.